7 marzo 2018
Recensione di Carlo Tomeo
Durante questa settimana, in cui il giorno 8 ne ricorre la festa, il Teatro San Babila omaggia le donne mettendo in scena una commedia recitata solo da attrici le quali interpretano figure femminili che, durante un periodo della loro vita, hanno gestito la vita familiare composta prevalentemente da bambini e uomini anziani. La commedia è ambientata, infatti, durante la grande guerra e gli uomini sono chiamati a combattere al fronte, lasciando le loro abituali attività grazie alle quali mantenevano le proprie famiglie.
È un periodo storico lungo quattro anni e quattro mesi, durante il quale le donne di varia estrazione sociale si ritrovano a dover far fronte ai bisogni più elementari per la sopravvivenza delle loro famiglie. E scoprono così per la prima volta una forma di solidarietà, tutta femminile, la cui nascita e il cui svolgimento costituisce l’ossatura della commedia.
Protagonista è la signora Margherita, ricca moglie di una imprenditore la cui fabbrica costruisce autocarri e che viene fatto prigioniero dagli austriaci. La donna, che finora era dedita ad acquisti voluttuari, a partite a bridge e a cene con amici ricchi quanto lei, si ritrova improvvisamente che la fabbrica, che finora le permetteva una vita agiata, rimane sguarnita di mano d’opera maschile e non sarebbe più in grado di continuare l’attività. Ma ecco che si presenta l’occasione di prendere lei in mano la situazione e di evadere egregiamente tutte le commesse che altrimenti verrebbero annullate, assumendo donne che sono in grado di svolgere le stesse mansioni degli uomini chiamati al fronte.
L’idea le viene fornita da una donna del proletariato chiamata Comunarda, madre di un ragazzo impiegato nella fabbrica che è dovuto partire anch’egli per il fronte. È lei a procurare le donne che sono in grado di sostituire gli uomini anche nei lavori più pesanti. Iniziano così i primi rapporti tra due gruppi di donne, ciascun gruppo di estrazione sociale completamente opposta l’una all’altra. E con i primi successi che le operaie conseguono, nascono anche le prime rivendicazioni sociali per ottenere quei benefici che venivano loro negati, non ultimo il salario più basso rispetto a quello percepito dagli uomini.
Nello stesso tempo c’è chi rema contro ed è un uomo che, grazie alle sue conoscenze altolocate, è rimasto in patria, imprenditore di una fabbrica simile e che vorrebbe impossessarsi anche di quella di Margherita.
La storia si ingarbuglia e, per non fare spoiler, mi fermo qui. Dirò solo che da un periodo doloroso come quello della grande guerra nascono i primi segnali della solidarietà femminile, che sembra spegnersi, quando gli uomini tornano a casa dalla guerra e si entra in piena epoca fascista. Ma ormai il seme è stato piantato e dopo la seconda guerra mondiale sarà diventata una pianta che ancora adesso non ha raggiunto la crescita totale ma quei diritti che un secolo fa alle donne erano negati oggi sono riconosciuti, anche se ce sono ancora altri che stanno aspettando di vedere la piena luce.
La commedia ha un taglio tradizionale, con dialoghi divertenti alternati a momenti di malinconia dove è facile essere vittima di commozione. Il carattere di ogni personaggio è ben definito all’inizio della pièce, nel bene e nel male, per poi acquisire una forma di comune umanità benevole in ciascuna di loro, quando si arriva ai momenti più difficili da affrontare e che possono essere risolti solo mettendo in atto l’uguaglianza totale di tutte.
Margherita, la ricca signora borghese, dominatrice ed egoista, interpretata da una superlativa Paola Gassman fa da contraltare alla proletaria Comunarda, che Paola Tiziana Cruciani caratterizza in modo verosimile, pronunciando anche le battute più divertenti, oltre a un amaro monologo verso la fine. Le altre attrici sono tutte ben inquadrate nelle parti che devono rappresentare. Non mancano, c’è da dirlo, la ripetitività di alcune battute (come il nome della segretaria che non viene mai chiamata col suo vero nome da Margherita) e forse una piccola “sforbiciatina” nel primo tempo farebbe guadagnare più ritmo alla commedia e toglierebbe quel poco di sovraccarico tematico che sembra eccedere in alcuni degli argomenti trattati.
Detto questo, non rimane che invitare i lettori a non perdere quest’opera che ha più di un punto di merito: innanzitutto la eccezionale bravura di tutte le interpreti le quali regalano quasi due ore di “divertissement” e poi il soggetto che inquadra bene la condizione femminile, malgrado l’ambientazione si riferisca a un secolo fa, ma, come detto prima, è ancora in via di soluzione finale.
Tutte a casa
di Giuseppe Badalucco e Franca De Angelis
regia Vanessa Gasbarri
con Paola Gassman, Mirella Mazzeraghi, Paola Tiziana Cruciani
e con Claudia Campagnola e Giulia Rupi
scene Francesco Ghisu
costumi realizzati da Sartoria Costumepoque
produzione Pragma
si ringrazia Roberta Cucchi dell’ufficio stampa
in scena al Teatro San Babila di Milano fino al l’11 marzo
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