Teatro Lo Spazio
12 ottobre 2017
Sarà in scena fino al 22 ottobre 2017, al Teatro Lo Spazio, Tre sorelle, il nuovo spettacolo con la regia di Lorenzo De Liberato.
Protagoniste dell’opera, scritta da Anton Cechov nel 1900, sono le tre sorelle del titolo, figlie di un generale morto l’anno prima in cui ha inizio la storia: Masha, sposata giovane a un professore, Kulygin, che non ama; Olga, la maggiore, insegnante; Irina, la minore. Le tre sorelle sono ansiosamente in attesa di trasferirsi a Mosca per fuggire dalla mediocrità della vita di provincia.
Vivono col loro fratello Andrej, futuro possibile brillante intellettuale, innamorato di Natasha, donna cinica e cattiva che diventerà sua moglie.
La casa di famiglia è frequentata poi da giovani ufficiali, cadetti, un dottore, tutti personaggi differentemente complessi e dal colonnello Versinin, non più giovanissimo, infelicemente sposato e dedito alla speculazione filosofica.
Lo spettacolo, diretto da Lorenzo De Liberato e interpretato dai bravi Francesca Bellucci, Luisa Belviso, Alessandro De Feo, Ludovica Di Donato, Alessio Esposito, Lorenzo Garufo, Fabrizio Milano, Gioele Rotini, Marco Usai, Irene Vannelli, restituisce la poetica di Cechov, rappresentandone gli elementi principali: il passato che torna nei ricordi di famiglia, il suicidio come atto di contestazione e unica via di fuga, il desiderio sempre frustrato del cambiamento (Mosca diventa quel luogo fisico e ideale che si anela, ma che non si raggiunge mai), il lavoro inteso come emancipazione, la pigrizia, l’indifferenza, la noia e quel continuo sentirsi estranei, in casa propria, nella propria famiglia e nella propria città, da cui ne deriva la solitudine.
Anche l’amore è qualcosa di mai compiuto e concluso: Olga rimarrà signorina, Mascia vedrà sfumare il suo sogno d’amore col colonnello Versinin e Irina, a un passo dal matrimonio, perderà l’occasione tanto desiderata, l’ultima, di essere felice e trasferirsi a Mosca.
Tre sorelle è il dramma dell’assenza e della rassegnazione: i desideri e i sogni naufragano miserabilmente, la potenza non diventa mai atto, il tempo scorre vuoto e lento ripetendo sempre gli stessi momenti, rimanendo sospeso in un poter essere che non diventa mai divenire.
La messa in scena ben rappresenta tutto questo: la casa, vista dall’interno, è una gabbia in cui i personaggi vegetano e a cui tutti, sempre, comunque tornano e da cui non riescono a partire. Il freddo vuoto e la staticità del tempo vengono anche ben simboleggiati dalla “inquadratura” dell’esterno della casa attraverso un plastico.
Gli spazi sono ben utilizzati nello svolgimento dei vari momenti della storia: sul palco il tavolo da pranzo con le sedute e la credenza, in platea, nel primo atto, il salotto di vimini col carrello porta vivande riempito di bicchieri e liquori a cui continuamente quasi tutti attingono, nel secondo atto, una camera da letto; infine, il fondo della sala dà l’idea che la casa continui e la scena viene portata in altri punti della stessa non visibili grazie all’uso scenico di una scala. Spesso, mentre in un punto si svolge la scena centrale, in un altro i personaggi continuano a vivere nel loro tempo, nelle loro azioni e nei loro discorsi o solitudini.
Incisivi i cambi scena temporali che sono ben identificabili, ma senza strappi.
I protagonisti interpretano il mondo interiore dei personaggi: l’insofferenza, la solitudine, la frustrazione, l’amore deluso, quello non corrisposto, quello tradito.
Su tutti, il tempo scorre inesorabile, ma lento e immutabile: “è tutto lo stesso, sempre lo stesso”.
Il dramma di Cechov, però, nasconde anche elementi beffardi, ferocemente ironici: il barone Tuzenbach, a cui Irina aveva deciso di unirsi in matrimonio perché gentiluomo, muore il giorno prima delle nozze, ucciso dal violento Solenyi pretendente della stessa; Kulygin non vede o non vuole vedere la freddezza della moglie e la sua passione per Versinin e anche quando ne ha la prova davanti va avanti con rassegnazione.
Soprattutto è col personaggio di Natasha, davvero ben caratterizzato dalla verve e dalla espressività di Ludovica Di Donato, che la regia di De Liberato sottolinea il sarcasmo pungente di Cechov. Colorandolo di accenti maggiori rispetto a quelli che ne risulterebbero dalla lettura, sottolineandone fortemente la cattiveria, il cinismo, l’egoismo e l’arroganza, Natasha diventa l’elemento disturbante, il termine di contrasto con la rassegnazione e l’accidia di tutti quanti che restano impotenti di fronte a tanta caparbietà.
Alla fine nessuno, pur soffrendone, soccombe al tedio della quotidianità perché c’è sempre qualcosa di cui ridere e qualcuno pronto a farlo.
Ben assortito ed efficace il terzetto delle sorelle: Francesca Bellucci, Irene Vannelli e Luisa Belviso. Menzione speciale per quest’ultima che ha saputo appartenere completamente al proprio personaggio, Olga, trasmettendone il mondo interiore anche con la sola espressività.
Molto belle anche le interpretazioni di Marco Usai nei panni di Andrej e di Fabrizio Milano in quelli del colonnello Versinin.
Si avverte, però, nel complesso, una distanza tra i personaggi e un certo disallineamento tra le varie interpretazioni che, a volte, rende più faticosa una rappresentazione che per suo stesso soggetto è già lenta e complessa.
Interessanti i costumi di Giuseppe D’Andrea e Caterina Corallo e gli inserti musicali. Buono il disegno luci di Matteo Ziglio.
Tre Sorelle
di Anton Čechov
regia: Lorenzo De Liberato
aiuto regia Cristiano Demurtas
con Francesca Bellucci, Luisa Belviso, Alessandro De Feo, Ludovica Di Donato, Alessio Esposito, Lorenzo Garufo, Fabrizio Milano, Gioele Rotini, Marco Usai, Irene Vannelli
disegno Luci Matteo Ziglio
scenografia Laura Giusti, in collaborazione con Cecilia Fallongo
costumi Giuseppe D’Andrea Caterina Corallo
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