Il tango delle capinere di Emma Dante è la danza della vita di due innamorati.
Il tango delle capinere, nato come studio dal titolo “Ballarini”, facente parte della “trilogia degli occhiali”, è diventato un atto unico a se stante che, sulla scia dei ricordi, diventa rito consolatorio per una donna giunta sola alla fine della vita.
Un carillon suona una musica lontana, sottile sottile, appena percepibile; una musica carica di ricordi che riporta indietro nel tempo.
Una donna anziana cerca qualcosa in un vecchio baule. Da un altro baule, dietro, sulla diagonale opposta, esce un uomo anziano.
Si guardano e si sorridono con amore. Nei loro abiti vecchi e lisi, compiono movimenti lenti e affaticati. Nonostante gli acciacchi, le difficoltà e i colpi di tosse, accennano un ballo.
La coppia sta festeggiando un capodanno. I due vecchi amanti si sostengono, ridono e scherzano, complici e innamorati.
Sulla note di un carillon a manovella tornano indietro nel tempo e riprendono a ballare.
Accompagnati da alcune vecchie canzoni ( E se domani; Lontano Lontano; Il ballo del mattone; Se mi vuoi lasciare…e tante altre) si ritrovano sempre più giovani a festeggiare i capodanni della loro vita.
Il tango delle capinere è uno spettacolo che racconta una storia d’amore a ritroso nel tempo e lo fa in maniera ironica e leggera, ma, soprattutto, sprigionando una grandissima tenerezza e infondendo un enorme sensazione di nostalgia, ma anche di serenità.
I due appaiono uniti e innamorati in ogni stagione della loro vita, affrontando il passare del tempo sempre insieme e sempre con il sorriso e lo sguardo profondamente innamorato.
Si stuzzicano, si provocano bonariamente; si sostengono, forti di quegli atteggiamenti complici e ripetuti che sono solo loro, distintivi del loro modo di relazionarsi e dirsi “ci sono, sono qui con te, siamo noi e ci amiamo”.
A fargli da testimoni in questo lungo viaggio, le stelle nel cielo, che stanno lì da sempre e che, anche da morte, continuano a sprigionare la propria luce.
Sempre sulle note sottili del carillon, il cerchio si chiude sui ricordi nostalgici e commoventi della donna che, rimasta sola, ripone per un’ultima volta quei ricordi nel vecchio baule.
Emma Dante propone un altro spettacolo intenso e coinvolgente che si muove sulla scia dei ricordi, del tempo passato, raccontando un amore vissuto a pieno e che continua a rivivere nello spazio intorno a noi anche quando i protagonisti non ci sono più, riverberando tutto intorno come la luce delle stelle e riempiendo l’aria circostante.
Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco si muovono con delicatezza sul palco, facendosi testimoni di un sentimento che, sebbene vissuto nelle modalità personali dei due protagonisti, si fa universale.
Gesti piccoli e controllati, a volte lenti, altre volte più ritmati, che rivelano lo studio sulla fisicità dei personaggi e che vengono illuminati dall’espressività dei protagonisti.
Poche le parole recitate, in dialetto palermitano, ma perfettamente comprensibili, a lasciare spazio ad una musicalità generale che va oltre le note e le parole delle canzoni e si fa memoria, ricordo, nostalgia e serena accettazione di un tempo che è trascorso, ma che è stato vissuto intensamente e con amore.
Il tango delle capinere
di Emma Dante regia Emma Dante con Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco
in coproduzione con Teatro Biondo Palermo / Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale / Teatro di Roma – Teatro Nazionale / Carnezzeria / Théâtre des 13 vents, Centre dramatique national Montpellier / MA scène nationale – Pays de Montbéliard
In collaborazione con Sud Costa Occidentale
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
In Interno Bernhard – Minetti e Il riformatore del mondo di Thomas Bernhard, Glauco Mauroi e Roberto Sturno abbandonano il teatro classico per uno spettacolo potenzialmente destabilizzante
In Interno Bernhard – Minetti e Il riformatore del mondo di Thomas Bernhard, Andrea Baracco dirige Glauco Mauri e Roberto Sturno.
Thomas Bernhard, scrittore, drammaturgo, poeta e giornalista austriaco tra i massimi autori della letteratura del ‘900, non solo di lingua tedesca, considerava con disprezzo l’umanità e il proprio Paese (l’Austria) esprimendo nelle proprie opere tutto il risentimento e lo spregio per essi in forma, spesso, di monologhi serrati e severi, anche feroci, ma riservando anche spazio ad un’ironia pungente.
La Compagina Mauri Sturno porta su palco del Teatro Argentina di Roma uno spettacolo che compone le due opere di Bernhard divise nei due atti, ma collegate dallo spirito critico dell’autore e dall’atteggiamento dei due protagonisti verso il mondo.
Nel primo atto, Il riformatore del mondo, Roberto Sturno interpreta un vecchio intellettuale cinico, incattivito, aspramente polemico verso tutto e tutti, incapace di stare solo, ma intollerante alle relazioni umane, che vive rinchiuso nella sua casa con l’unica compagnia di una donna (Stefania Micheli) che non ha mai sposato, ma che considera la compagna della sua vita, nonostante il più delle volte la disprezzi e la tratti con superiorità.
L’uomo è in attesa di ricevere una rappresentanza dell’università e delle istituzioni per il conferimento di una Laurea honoris causa per il suo
trattato su come migliorare e salvare il mondo che ha suscitato grande scalpore.
Il punto, però, è che egli stesso disprezza quelle persone e ciò che rappresentano anche perché, se avessero letto e compreso il suo trattato, si sarebbero rese conto che la soluzione che egli propone per migliorare il mondo sia quella di eliminare l’intera umanità.
Questa convinzione ne esaspera l’atteggiamento polemico e ostile verso il mondo accademico e quello istituzionale.
In Minetti (ritratto di un artista da vecchio) il protagonista è un vecchio attore, un tempo celebre, che, dopo trent’anni di ritiro dalle scene, viene invitato a vestire nuovamente i panni del Re Lear in una piccola cittadina di provincia.
L’attesa del direttore del teatro (che non arriverà mai) nella hall di un albergo la notte di San Silvestro sarà animata da un lungo soliloquio, un flusso di coscienza inarrestabile in cui il vecchio attore rimesta nei ricordi e riflette sulla propria vita, sul proprio mestiere, sull’arte in genere e sulla società.
Ripercorrendo successi, delusioni e amarezze, il vecchio attore attende qualcuno che non arriverà mai in compagnia di una donna ubriaca (Stefania Micheli) che lo deride, un portiere d’albergo che lo tollera gentilmente e pazientemente (Roberto Sturno) e una giovane ragazza dapprima imbarazzata (Zoe Solferino), ma che sarà l’unico e ultimo momento di dolcezza per la vita dell’uomo.
Cosa hanno in comune Il riformatore e Minetti? Indubbiamente, dalle due storie raccontate e interpretate con magistrale bravura da Glauco Mauri e Roberto Sturno, lo spettatore riesce a cogliere i collegamenti tra le due figure.
I personaggi di Thomas Bernhard presenti nel progetto Interno Bernhard, sono due artisti, un intellettuale e un attore, delusi dal mondo, frustrati dall’imbecillità della società, soggiogati dalla preminenza di questa nei confronti del singolo.
Rappresentano l’ideologia di Bernhard e il suo disprezzo nei confronti della società austriaca (ma, per estensione, dell’umanità in genere) e la crisi dell’intellettuale.
Pensare, filosofare e fare arte non ha più senso: tutto è solo un folle elucubrare destinato al fallimento.
Lo scopo, allora, è quello di riflettere e far riflettere sul ruolo dell’intellettuale, dell’artista nella società.
Le arti (la recitazione per Minetti), la speculazione filosofica e intellettuale in genere (per Il riformatore) hanno come unica conseguenza quella dell’isolamento di chi le pratica, della chiusura in un mondo personale e folle che rende estraneo l’individuo alla società.
Il riformatore e Minetti condividono lo stesso atteggiamento nei confronti della vita, la dedizione assoluta alla realizzazione della propria vocazione, l’annullarsi nella propria missione e nei propri ideali.
I due personaggi, come in genere quelli di Bernhard, sono scomodi, sebbene Minetti susciti una certa compassione.
La loro verbosità fatta di reiterazioni e ridondanze impedisce il dialogo con l’altro, chiunque esso sia.
Possiedono una vocazione nichilista che annienta cose e persone, condannando alla solitudine.
Allo stesso tempo, denunciano l’incapacità della società di riflettere su se stessa.
Il titolo Interno Bernhard nasce dalla consapevolezza che sia Il riformatore che Minetti, pur sostanzialmente differenti, abitino lo stesso non-luogo da cui, se si riuscisse a entrare, non sarebbe più possibile uscire,
Infatti, le stesse scenografie dei due atti, pur nelle loro diversità, si assomigliano per struttura.
Interno Bernhard è una summa delle anime dei personaggi dell’autore che, a loro volta, ne esprimono il pensiero personale.
I lunghi monologhi sono una riflessione dura e feroce sul mondo in cui l’altro è spettatore muto di un dialogo a senso unico; sono considerazioni sull’isolamento dell’artista, sulla ricerca di una perfezione che non potrà mai essere trovata perché comporterebbe la fine dalla speculazione e la morte della ricerca stessa.
Il riformatore e Minetti si perdono nelle proprie idee dissolvendosi in esse e perdendo ogni contatto con la realtà, smarrendosi nella solitudine e in una sorta di follia, chiudendosi in un mondo personale.
Entrambi si perdono negli abissi del pensiero, tra ragione e follia; entrambi riservano acute battute, un’ironia pungente che suscita sorrisi consapevoli; entrambi vivono la loro vita tra realtà e finzione, interpretando le parti che si sono essi stessi assegnate.
Glauco Mauri e Roberto Sturno, affiancati da Federico Brugnone, Stefania Micheli, Zoe Zolferino, Giuliano Bruzzese, danno l’ennesima prova di gran teatro in un testo complesso e intellettuale che, però, anche grazie alla regia di Andrea Baracco arriva comprensibile al pubblico, stimolando una serie di riflessioni sullo stato della cultura e dell’arte ai nostri giorni.
Foto di Manuela Giusto
Glauco Mauri, a 92 anni (!!!) è ancora dominatore della scena, capace di camuffare ad arte certi piccoli inciampi recitativi fondendoli nel racconto del proprio personaggio.
Il suo Minetti trasuda malinconia e rabbia e la sua spiazzante umanità suscita compassione.
Non si possono non notare e mettere in luce le assonanze tra il personaggio Minetti e l’attore Glauco Mauri.
Minetti che si è sempre negato alla letteratura classica, viene interpretato da un gigante del teatro votato al classico e che in questa occasione si stacca dal repertorio che lo ha reso celebre per calarsi in un dramma politico, sociale e culturale non condiscendente verso i gusti del pubblico, ma potenzialmente destabilizzante.
Minetti, che dei classici salva solo il Re Lear di Shakespeare, tanto da continuare a recitarne alcuni pezzi ogni mattina davanti allo specchio per trent’anni e una versione completa una volta al mese.
Minetti che porta sempre con sé una valigia che contiene ritagli di giornale che celebrano la sua carriera di un tempo, ma, soprattutto, la maschera di Ensor (James Ensor, pittore del secondo Ottocento che con le sue opere esprimeva la propria critica della società), con cui interpretava il suo Lear.
Nel suo ruolo risalta l’attore Mauri che ha interpretato Lear in centinaia e centinaia di repliche (in un articolo de La Stampa si scrive di 500 repliche).
Foto di Manuela Giusto
Ne Il riformatore del mondo, Roberto Sturno dà un’altra prova da grande attore, riuscendo a trasmettere la rabbia e il disprezzo del proprio personaggio tanto da renderlo a sua volta disprezzabile da parte del pubblico, eppure sapendo anche rappresentarne la sofferenza intima, la frustrazione e la sincerità della speculazione intellettuale, e, soprattutto, il senso del suo pensiero.
Due attori che dominano la scena, ma con umiltà, mettendosi al servizio della parola. Mauri e Sturno occupano il centro della scena, ma nei loro soliloqui folli (o apparentemente folli), pieni di reiterazioni, ridondanze e giochi linguistici, riescono a rendere continuamente presente l’idea di ciò che sta fuori, di un mondo esterno che sembra rimanere in agguato.
La composizione dei testi rispetta la scrittura di Bernhard riuscendone a trasferire la struttura ritmica e il gioco costante tra etimologie e assonanze.
La regia di Andrea Baracco (aiuto regia Maria Teresa Berardelli), riesce a costruire due momenti diversi, ma non separati, connessi tra loro per senso e intensità, sia del messaggio che della messa in scena.
Scene che, pur nella differenza materiale, condividono il loro essere rifugio per l’uno e per l’altro, non luogo esistenziale in cui poter essere soli, nonostante la presenza di altri, e poter lasciare fuori il mondo tanto disprezzato.
Il connubio tra regia e scene (di Marta Crisolini Malatesta, così come i costumi) ben rappresenta il palcoscenico su cui si muovono i personaggi de Il riformatore e Minetti.
Soprattutto nel secondo atto, poi, sono evidenti e, per forza di cose, più stingenti: il sipario alle spalle di Minetti, dietro cui si svolge la festa di San Silvestro, popolata da personaggi vacui e anonimi, che indossano delle maschere (di lepre).
Anche quelli che passano nella hall dell’albergo indossano una maschera, ma la maschera che Minetti custodisce nella propria valigia, la maschera di Ensor, è “la più orrenda di tutte”.
Soprattutto, mentre le maschere degli altri nascondono celando alla vista, la maschera di Ensor, al contrario, simbolo di contestazione, non cela, ma rivela la verità, così come la follia di Lear/Minetti svela la verità. Una verità amara e crudele.
Infine, così come le scene del primo atto delimitano un luogo chiuso, delimitato nello spazio e nel tempo, e una dimensione statica in cui poca libertà di azione è possibile, allo stesso modo, nel secondo atto, il riferimento alla tempesta (ancora Lear) è un continuo richiamo a ciò che sta fuori, prima come eco, poi come potenza che travolge le barriere e copre tutto con la sua furia naturale.
Alla fine, Minetti non può far altro che abbandonarsi alla tempesta, farsi abbracciare da essa e farsi ricoprire dalla neve che cade copiosa, perché il mondo esterno ha vinto ancora una volta.
Era inevitabile e Minetti, così come Il riformatore, ha sempre saputo che sarebbe andata così.
In chiusura, è doveroso citare le musiche di Giacomo Vezzani e Vanja Sturno che accompagnano l’intera messa in scena e menzionare il trucco efficace di Roberto Sturno.
Interno Bernhard
IL RIFORMATORE DEL MONDO
MINETTI – Ritratto di un artista da vecchio
di Thomas Bernhard con Glauco Mauri, Roberto Sturno e con Federico Brugnone, Stefania Micheli, Zoe Zolferino, Giuliano Bruzzese Regia Andrea Baracco
Scene e costumi Marta Crisolini Malatesta Musiche Giacomo Vezzani, Vanja Sturno Aiuto regia Maria Teresa Berardelli Foto di Manuela Giusto
Opening Night di Marcos Morau è un omaggio al teatro che miscela realtà e visionarietà
Opening Night lo spettacolo di Marco Morau e de La Veronal, la compagnia di Barcellona fondata più di dieci anni fa, di cui è regista, coreografo e designer di scene, luci e costumi, è un omaggio di grande impatto visivo ed emotivo al teatro e allo spettacolo dal vivo in genere.
Il titolo rimanda all’omonimo di film di John Cassavetes in cui vita intima e vita artistica si scontrano nell’animo della protagonista.
E’ cosi che intende lo spettacolo in generale Morau: la vita pratica di un artista e il suo percorso artistico, sono strettamente collegati.
Nel suo lavoro è possibile ritrovare la vita personale dell’artista, le proprie paure, i propri desideri in un impianto visivo, fisico, coreografico e scenico di grande effetto.
La composizione coreografica di Morau è legata alla tradizione del teatro-danza, ma la stessa viene rivoluzionata dalla sua straordinaria visionarietà.
In Opening Night, il teatro viene visto e vissuto da dentro e da dietro: la scena si apre con la prima donna che, a fine spettacolo, esce sul palco per ricevere gli applausi.
Vestita di un elegante abito di velluto nero, tiene tra le braccia un grande mazzo di rose rosse. Accoglie gli scroscianti applausi e fa i suoi ringraziamenti in una lunga e commossa dichiarazione appassionata che è un inno d’amore per il teatro e per il pubblico.
Successivamente la scena si ribalta; il sipario si apre e svela un secondo sipario che viene fato calare dall’alto e che cela il retro palco di un teatro: muro grezzo, cavi elettrici, luci tecniche, contatori, griglie di areazione e porte.
Un via vai continuo e convulso di personaggi bizzarri lo anima, delineando un racconto delle esperienze che solo il teatro può riservare.
La bravura dei danzatori è sorprendente; la loro tecnica sopraffina; i movimenti, precisissimi, creano immagini e figure, raccontano storie ed emozioni.
Vibrano, all’unisono o più spesso in contrasto gli uni con gli altri, e in quel vibrare c’è tutta la passione per questo mondo.
Nel loro danzare, volare e vibrare, nelle continue entrate e uscite da quelle porte, i danzatori svelano le aperture del teatro, le sue botole e i personaggi che lo animano.
Morau è riuscito a creare un mondo surreale in cui movimento e immagine si abbracciano e si fondono.
Eppure, l’impressione è che qualcosa di tetro, di oscuro continui ad aleggiare sui personaggi di questo magico carosello.
Come se una certa oscura malinconia pervadesse sempre il cuore di tutti.
Il pubblico ha decretato il successo di Opening Night con applausi lunghi e commossi.
Il Teatro Argentina era colmo non solo di appassionati, ma di addetti ai lavori, artisti, danzatori, coreografi e tantissimi giovani provenienti da molte accademie che sono usciti da teatro commentando estasiati e con le lacrime agli occhi.
Crediti
Idea, direzione artistica e design: Marcos Morau Coreografia: Marcos Morau in collaborazione con i performer Performer: Mònica Almirall, Valentin Goniot, Núria Navarra, Lorena Nogal, Shay Partush, Marina Rodríguez Testo: Carmina S. Belda, Violeta Gil, Celso Giménez Assistente alla regia: Mònica Almirall Consulenze artistiche: Roberto Fratini Direzione tecnica: David Pascual Light designer: Bernat Jansà Direttore di scena, macchinari ed effetti speciali: David Pascual Sound design: Juan Cristóbal Saavedra Scenografia: Max Glaenzel Costume design: Sílvia Delagneau Sartoria: Mª Carmen Soriano Maschere: Juan Serrano – Gadget Efectos Especiales Produzione e logistica: Cristina Goñi Gestione della produzione: Juan Manuel Gil Galindo Co-produzione: La Veronal, Teatre Nacional de Catalunya, Centro de Cultura Contemporánea Condeduque e Romaeuropa Festival Con il supporto di: INAEM – Ministerio de Cultura y Deporte de España e ICEC – Departament de Cultura de la Generalitat de Catalunya
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