Macadamia nut brittle
15 | 17 maggio .15
TRITTICO FURIOSO
focus ricci/forte
drammaturgia ricci/forte
regia Stefano Ricci
con Anna Gualdo, Giuseppe Sartori
Fabio Gomiero, Piersten Leirom
movimenti Marco Angelilli
Produzione ricci/forte
in collaborazione con Garofano Verde
Si sta svolgendo in questi giorni, presso il Teatro India, ricettacolo culturale e meraviglioso spazio geografico e mentale della Capitale, il Trittico Furioso di Ricci/Forte.
E’ andata in scena ieri la prima delle tre repliche previste per Macadamia nut brittle.
Macadamia nut brittle è, cronologicamente, il primo spettacolo che compone il Trittico Furioso; presentato per la prima volta nel 2009, ha riscosso un immediato successo.
In questo allestimento al Teatro India, invece, l’ordine delle opere è stato sovvertito, con l’intento, probabilmente, di cercare un unicum che le colleghi, un filo rosso che, pur nel mischiare le carte, consenta allo spettatore di tirare le somme della drammaturgia di Ricci/Forte.
Macadamia nut brittle è un’opera in cui la poetica e la drammaturgia dei due autori è forse maggiormente espressa e condensata: l’esprimersi per immagini; il continuo simbolismo; il racconto della vita delle vite sempre crudo, reale, selvatico; l’uso di un linguaggio quotidiano; il sesso come mero strumento e unica arma di comunicazione-non-comunicazione; l’utilizzo esasperato dei luoghi comuni dei nostri giorni, degli eventi sociali che caratterizzano la società di oggi.
Esasperazione che è specchio stesso del costume contemporaneo, in cui tutto è sbattuto in faccia, tutto è alla mercé di tutti senza essere realmente disponibile.
Il Macadamia nut brittle è un delizioso gelato della Haagen Dazs con base alla vaniglia, pezzi di noci di macadamia caramellate e crema mou confezionato in un accattivante barattolo colorato: strati di gusti diversi e diverse sensazioni al palato, così come il sesso può essere declinato in molti modi e appartenere a molti e diversi gusti; confezione ricca e appariscente così come il corpo deve essere sempre atletico e piacente per invitare ad un godimento immediato.
Il mondo suggerito/propinato/imposto dai media è un mondo di consumismo materiale ed esistenziale: si è reali solo se si è visti da qualcuno, meglio se questa visibilità è una notorietà di massa; si esiste solo se metti la tua vita sui vari social network o se compari in una qualsiasi trasmissione televisiva.
L’individuo si scioglie nella massa e la massificazione obnubila le menti e soffoca l’individualismo.
Siamo tutti prodotti commerciali di un mondo che ci vuole in un certo modo.
In un simile contesto è difficile crescere per un adolescente, capire quale possa essere il suo ruolo nella società; i parametri a cui conformarsi sono tanti e labili e mutano in continuazione. In questo mutamento centrare se stessi diventa difficile perché mancano punti di riferimento solidi, stabili e di valore.
Macadamia nut brittle è la storia di tre adolescenti che vivono la loro vita adeguandosi a questa società massificata che sostituisce i contenuti col contenitore, obbligando ad apparire e annientando l’essere.
Ad essi fa da contraltare una donna, appassionata di serie televisive tanto da farne l’unico motivo di esistenza in cerca, però, di punti di riferimento in un mondo privo di amore.
Macadamia nut brittle racconta di un’adolescenza che sembra non finire mai e in cui ogni atto, gesto e parola sono conformi ai messaggi mediatici che provengono da tutto ciò che ci circonda.
Allora, in un mondo così falsato, in cui le mode e le tendenze cambiano repentinamente, tutto va consumato freddo; tutto deve essere ottenuto e sfruttato subito.
Non esiste l’attesa, ogni cosa deve essere immediatamente disponibile e catturata prima che la prenda qualcun altro.
I personaggi di Macadamia nut brittle sono adolescenti decentrati che non hanno avuto modo e tempo di scoprire se stessi; vivono tutto come se fosse una serie televisiva, paragonando ogni aspetto della propria esistenza con i telefilm o le soap opera, cercando in ogni persona che incontrano qualcosa che possa ricordare loro un divo della tv, sperando di poter esser essi stessi somiglianti a qualche volto noto.
Non esistono forme pensanti, i pensieri vengono già offerti precostituiti dai media.
In questo mondo finto e bugiardo, l’individuo si annichilisce e perde la propria progettualità. Non esiste la voglia di crescere perché il futuro è già finito.
Esiste una pandemia dettata da un peccato originale che non è cancellabile: il domani non esiste, la vita è una corsa verso il buio. Si finge solo che qualcosa abbia un senso.
Eppure sotteso a tutto questo c’è sempre una grande ricerca di amore, un bisogno viscerale di amare e di essere amati.
Si genera allora un vuoto esistenziale profondo e apparentemente incolmabile: un vuoto di senso, un vuoto a perdere, una vita a perdere.
Siamo individui usa e getta, viviamo relazioni usa e getta, creiamo pensieri con la data di scadenza.
Anche il sesso, allora, diventa fine a se stesso, puro godimento temporaneo, nient’altro che istinto camuffato dalla fantasia personale che fa illudere il soggetto che sia amore.
Il sesso diventa solo un riempitivo: riempire ed essere riempiti fisicamente per colmare un vuoto che non finisce mai. Anzi, il vuoto aumenta sempre più e il sesso deve prendere forme sempre più estreme per poter occupare quello spazio infinito, quel buco nero dell’anima (“una cicatrice ti ricorda che sei stato qualcuno per qualcun altro”).
Eppure c’è un barlume di risveglio, si avverte un ridestarsi della coscienza: nel momento in cui “i tuoi sogni finiscono qui, sei fuori dal gioco” è allora che capisci che devi crescere, che devi uscire da quel guscio fatto di niente e diventare grande; devi fuggire dalla fantasia e abbandonarne i suoi eroi.
E allora questi “eroi” muoiono e la nostra coscienza ne prende atto preparando per loro un bel funerale. Arriva il momento di togliersi di dosso quella pelle, di strapparla via da noi, con dolore perché ormai è talmente attaccata a noi da sembrare vera. Fa male: si soffre nello scoprire di essere grandi.
E’ ora di crescere: “questi siamo; noi tutti a farci male; ci confezioniamo il nostro teatrino umano. Bisogna imparare a vivere soli, terremotati da noi stessi”.
Sul fatto se ci si riesca o meno c’è un contraddittorio in corso.
Il mio punto di vista, la mia interpretazione è stata nichilista: alla fine non si cresce, ognuno indossa nuovamente la propria maschera e torna nel suo mondo fantastico. C’è un tentativo di uscire fuori e affermarsi come individuo, ma mancano il coraggio e la forza. Si sta meglio in un mondo dove tutti mentono.
Eppure, parlando con lo stesso Stefano Ricci, autore insieme a Gianni Forte e regista, l’intenzione era totalmente diversa: una volta presa consapevolezza della necessità umana reale di crescere, allora, possiamo impossessarci nuovamente della nostra fantasia e dei nostri eroi, filtrandoli, però, questa volta, con una nuova consapevolezza.
C’è una voglia di riscatto; abbiamo bisogno di portarci appresso qualcosa di un tempo andato, di una giovinezza perduta, qualcosa un cui ci si possa accoccolare ogni tanto.
Macadamia nut brittle è sicuramente uno splendido spettacolo sul desiderio di rimanere sempre giovani che molti di noi (tutti?) vivono; rappresenta la paura di lasciare un mondo comodo, facile, per prendersi la responsabilità di se stessi, delle proprie azioni e prendersi cura degli altri; la paura di lasciare un mondo in cui basta apparire per esistere e non devi necessariamente essere, anzi in cui è richiesto di non essere, di non portare alcuna individualità.
Uno spettacolo complesso, non c’è che dire, e non immediato: gli elementi costitutivi sono talmente tanti e il ritmo così serrato che non è possibile bloccarli al volo come in un’istantanea (oggi, forse, dovrebbe dirsi come in un selfie).
C’è bisogno di lasciare sedimentare le immagini e far sì che salgano dall’inconscio e tornino alla mente per poterle decifrare.
Anche il linguaggio, sebbene sempre semplice e diretto, senza fronzoli semantici, va ad aggiungersi ai diversi livelli strutturali dell’opera creando un poliedro che va visto e interpretato in tutte le sue facce.
Rispetto a Still life (2013) sicuramente Macadamia nut brittle è un testo più complicato sia nella gestione scenica da parte degli attori, che per la comprensione da parte dello spettatore.
Là, i vari livelli erano sullo stesso piano, avvicinati e immediatamente fruibili, qui lo spettatore è chiamato ad uno sforzo maggiore, e questo ci sta benissimo, perché i temi affrontati e i modi utilizzati sono su registri diversi.
Macadamia nut brittle è un lavoro in cui lo sforzo fisico dei protagonisti è portato all’eccesso; gli attori sono atleti su un campo sportivo; poche le scene statiche. Tutto è un correre e rincorrersi, un prendersi, afferrarsi, scagliarsi contro l’altro e dall’altro fuggire.
Marco Angelilli ha fatto anche qui un enorme lavoro.
Oltre alla grande prova fisica, va sottolineato che nella prima parte di questo intenso spettacolo, c’è un meraviglioso pezzo di improvvisazione che vede protagonisti i quattro attori in serrati monologhi legati l’uno all’altro: gli attori sono chiamati ad interpretate la scena improvvisando su un canovaccio comune e mantenendo una continuità ognuno con il discorso che lo ha preceduto. E’ questo un grandissimo momento dello spettacolo che dà conferma della eccezionale capacità attoriale di questi interpreti.
Anna Gualdo, protagonista storica di questo spettacolo sin dall’inizio, oltre ad essere una grandissima interprete, è una donna d’acciaio: viene presa, sollevata, sbattuta, picchiata, ma è lì, resiste tenace e forte, dimostrando una preparazione e concentrazione sconcertanti.
Fabio Gomiero, entrato, se non erro, nel 2010 in questa produzione, è splendido; così intenso, con lo sguardo ferale, la bocca che sembra una lama di coltello pronta ad aggredirti; così convincente nel suo masochismo autolesionista. Sempre preciso e centrato nel proprio ruolo.
Giuseppe Sartori, altra colonna presente sin dall’inizio di quest’avventura (2009), è un colosso; adoro il suo modo di recitare, la sua voce, lo sguardo a volte fiero, altre cattivo; il modo in cui gli occhi danno senso alle parole. Ha un tono e un registro di voce che catturano la mente. Splendido nel monologo sulla madre, Giuseppe è ipnotizzante. La sua fisicità messa al servizio delle opere di Ricci/Forte dà un risultato sublime.
Piersten Leirom alla sua prima apparizione in questo spettacolo di Ricci/Forte si inserisce perfettamente nel gruppo già costituito creando subito grande affiatamento; bravissimo e divertente, potrà offrirci belle e grosse sorprese.
Macadamia nut brittle è una grande opera di spessore dove è evidente la completa adesione degli attori al progetto drammaturgico, che viene vissuto e condiviso con passione.
E’ un grido d’amore disperato, dove l’amore è sempre cercato e rincorso; è uno schiaffo in pieno viso, una scossa elettrica per risvegliare le coscienze sopite dalla globalizzazione mistificatrice.