Letizia Forever. Teatro Verdi di Milano, 10 febbraio 2017
Recensione di Carlo Tomeo
“Letizia Forever è un testo teatrale di Rosario Palazzolo scritto nel 2007 e che nel 2016 è stato rieditato insieme ad altri due testi successivi nel volume “IDDI, Trittico della disperazione” .
Il pubblico entra in sala all’inizio del monologo mentre viene diffusa la voce di Viola Valentino che canta “Romantici”: sul palcoscenico una donna con una folta barba scura, un vestito di poco prezzo e un paio di ciabatte rosa ai piedi. Quella donna è interpretata da Salvatore Nocera e si chiama all’anagrafe Letizia Mossa, ma lei si fa chiamare Letizia Forever . La musica proviene da un registratore che viene azionato dalla donna stessa e dal quale fuoriesce un vociare confuso, inafferrabile nelle parole e nel significato, proveniente dalla registrazione di un nugolo di attori esterni e che si interrompe quando la donna spegna l’apparecchio. Letizia, seduta su una sedia costituente l’unico arredo di scena, che è completamente nuda e quasi buia. A circa un metro dal suo capo una sfera stroboscopica rotante in uso nelle discoteche degli anni ’80, quelli che Letizia definisce i più belli da lei vissuti, prima che arrivasse il decennio successivo che le complicò l’esistenza e le portò solo dolore.
Letizia è una donna del proletariato siciliano, parla nel suo dialetto ed è lì seduta per raccontare la sua vita. Nata il 6 gennaio del 1963 a Palermo, data che per tutti si associa alla Befana titolo che solitamente e scherzosamente viene attribuito alle donne nate in quel giorno. Ma Letizia ci tiene a precisare che il 6 gennaio è anche il giorno consacrato a Santa Raffaela, spagnola, fondatrice delle ancelle del Sacro Cuore di Gesù di Madrid, morta a Roma nel 1925. E di questo se ne fa un merito.
Inizia il racconto della sua infanzia fino a quando a 17 anni conobbe “l’uomo della sua vita”, che però la madre le impedì di sposare in quanto l’uomo si stava trasferendo a Milano dove avrebbe lavorato come tranviere. E così i due attuarono la classica”fuitina” per andare a vivere nella città del nord, densa di promesse per Letizia, già incinta della prima figlia che sarà chiamata Graziella, cui seguirà Michelino, a lei il più affezionato, l’unico che la va a trovare nel posto dove vive adesso.
E così che scopriamo che la donna non vive in un posto qualsiasi: potrebbe essere una casa di cura per psicopatici, o addirittura il carcere dove sta scontando la pena per aver ucciso il marito dopo aver scoperto che lui la tradiva. E questo accadeva all’inizio dei maledetti anni ’90.
Letizia ogni giorno è costretta a narrare della sua vita mentre viene azionata quella che lei chiama una musicassetta (ed è in realtà il lettore di un CD) che diffonde una canzone tra le sue preferite, rigorosamente appartenente agli anni ’80, perché, secondo una teoria della musicoterapia, nell’ascoltare la musica, vengono alla luce della coscienza umana i segreti dell’inconscio e, parlando, possono essere involontariamente esplicitati anche quelli. Ed è ciò che serve a chi l’ascolta e che, siccome ogni tanto lei spegne l’apparecchio per divagarsi con altri ricordi, viene sollecitata con uno squillo che la richiama all’ordine perché lei faccia in modo di ridiffondere la musica sulla quale dovrà riprendere a raccontare.
Un racconto fatto nel suo idioma siciliano che, secondo lei, ha preso un poco anche dell’accento milanese, dove ha vissuto negli ultimi anni. Ma questa è soltanto una sua idea, in realtà il suo linguaggio, ora lento , ora ossessivo e veloce, tanto che, chi non conosce il siculo farebbe fatica a comprenderla, e invece riesce a comprendere tutto, perché lei parla non solo con la voce, ma con i gesti delle mani, con l’espressione del viso che mostra entusiasmo per cose che possano apparire banali ma che per lei rappresentano valori importanti. La sua, del resto, è una cultura che deriva da anni di lettura di “Sorrisi e Canzoni”, ed è da quella rivista che, per esempio, conosce tutte le biografie dei cantanti che erano le star dei fatidici a lei cari anni ’80. Quando canta Franco Simone, si chiede quale sia il nome e quale il cognome e la cantante di “Comprami” viene chiamata Viola Valentina, e anche qui si domanda quale dei due possa essere il nome di battesimo.
Apparentemente Letizia è lieta di raccontarsi, non mostra, se non ogni tanto in uno sguardo che volge alla tristezza il ricordo dei torti subiti. Sa che il meglio della vita lo ha già vissuto, non mostra di aspirare ad altro e lei resterà, nel bene o nel male, Letizia, meglio, Letizia Forever, dove quel “per sempre” acquista l’iniziale maiuscola, come un cognome, che a sua volta denota un’identità che dia essenza anche a quelli che possono essere considerati rifiuti della società, sono persone reali con un unico difetto: essere deboli, e incapaci di affermazione.
Ma chi è, realmente questo personaggio di Letizia Forever e perché in una visita che riceve dal figlio Michelino a un certo punto questi la saluta chiamandolo “papà”? E se Letizia Forever fosse il marito della semplice Letizia nata nel 1963?
Del resto in un breve discorso che Letizia fa sul teatro mette in luce il fatto che quello che avviene sulla scena non è la vita reale ma la rappresentazione di una vita tra le tante che lo possono essere.
Rosario Palazzolo scrisse e ha riveduto un testo bellissimo e ha curato un’ottima regia, facendosi complice di Salvatore Nocera affinché questi adoperasse tutta la sua bravura nel rendere un personaggio femminile credibile e indimenticabile.
Vale la pena ricordare che “Letizia Forever” risultò vincitore della Biennale Marte Live (Sicilia) 2014 e del Premio Festival Teatri di Vetro 2014.
Letizia Forever
testo e regia di Rosario Palazzolo
con Salvatore Nocera
e con le voci di Giada Biondo, Floriana Cane, Chiara Italiano, Rosario Palazzolo, Chiara Pulizzotto, Giorgio Salamone
scene Luca Mannino
luci Toni Troia
assistente alla regia Irene Nocera
coproduzione Teatrino Controverso / T22 / Acti Teatri Indipendenti
in scena al Teatro Verdi fino all’11 febbraio.