Recensione di Carlo Tomeo
Accade talvolta che assisti a uno spettacolo teatrale diviso in due parti, i classici due tempi, dove, dopo aver visto il primo, rimani insoddisfatto, ma nel secondo tempo tutto si ribalta e alla fine, quando mediti all’uscita del teatro, ti rendi conto che quello che hai visto è stato qualcosa di bellissimo. E così rivaluti tutto: comprendi anche che quello che nel primo tempo hai trovato inutile e che potrebbe addirittura averti disgustato, è stato fondamentale per tutta la tessitura drammatica.
Merito dell’autrice, ma merito soprattutto del regista che ha saputo calarsi nel clima descritto nella commedia, mettendo maggiormente in luce, nei momenti più critici, certi aspetti sia della recitazione che dell’humus ambientale.
Tanto per cominciare sul fondale appaiono le scritte delle didascalie e dei versi di Bukowsky, in primis quella di “The Aliens” che fanno da supporto a tutta la commedia.
Poi la scenografia volutamente sgradevole, formata da oggetti di recupero e che funge da servitù posto sul retro di un bar. Questa scenografia, oltre a donare realismo alla commedia, aggiunge l’antipatia iniziale che lo spettatore è portato a provare nei confronti dei protagonisti, che appaiono trasandati in abiti sgualciti e dall’apparenza sporchi.
The Aliens era il nome di un gruppo musicale che i due protagonisti trentenni KJ e Jasper volevano formare e che avevano deciso di chiamare in quel modo dal titolo dell’omonima poesia di Bukowsky, di cui sono ammiratori.
La commedia è stata scritta dalla Baker nel 2010 e l’ambientazione è comunque riferita al primo, sia pur imprecisato, decennio del 2000, Bukowsky era già morto ma aveva ancora i suoi ammiratori sia delle sue opere sia della sua filosofia di vita (che poi una si compenetri nell’altra è appena il caso di accennarlo).
KJ ha abbandonato l’università e soffre di una malattia che gli vieta di bere alcool, Jasper non ha nemmeno ultimato le scuole superiori e ora sta scrivendo un romanzo, naturalmente ispirandosi alla scrittura di Bukowsky. Entrambi gli uomini vivono una vita senza occuparsi di nulla di particolare perché nulla nella società li stimola.
Trascorrono la giornata sdraiati su sedie in disuso collocate nel patio annesso a un bar. La sosta nel patio è vietata ai clienti perché contiene bidoni per la raccolta della spazzatura, cassette di plastica che fungono da contenitori di bottiglie e altri oggetti che usa il proprietario del locale.
Ma KJ e Jasper se ne fregano del divieto e usano le sedie e le cassette sulle quali allungare i piedi, continuando a trascorrere le loro giornate nel luogo.
Quando Evan, un ragazzo appena assunto, si accorge della loro presenza, li invita timidamente a lasciare quello spazio vietato alla clientela. Ma i due intrusi sono troppo più grandi di lui e hanno facile gioco: non solo non prendono in considerazione l’invito, ma decidono di portare il ragazzo dalla loro parte e, nel trascorrere del tempo, questo avviene fino al punto che Evan si affeziona ai due.
Nel primo tempo si assiste ai silenzi e alle (poche) chiacchiere dei due protagonisti che ricordano piccoli frammenti delle loro storie passate. Gli unici momenti che, a una prima analisi, possono interessare gli spettatori sono la lettura che fa Jasper di due pagine del suo romanzo e il duetto della loro prima canzone composta quando avevano deciso di formare la band.
Il secondo tempo inizia con la sola presenza nel patio di KJ e il ritorno da un campeggio di Evan. Quello che accade dopo mette in luce la vera natura psicologica dei personaggi che non sono più sgradevoli ma appaiono vittime sacrificali di una società malata nei sentimenti.
Parlo della generazione successiva a quella che era figlia dell’epoca dei riflusso dopo il ’68, dove, caduti gli ideali, all’uomo non è rimasto che vivere una vita solo apparentemente più evoluta. In realtà degli sbagli dei nonni e dei genitori nell’educare i loro figli e nipoti, i ragazzi di oggi ne stanno pagando le conseguenze. E da duri che appaiono, come abbiamo visto KJ e Jasper nel primo tempo, diventano anime sofferenti e indifese come i personaggi del secondo tempo.
Gli attori Giovanni Arezzo, Francesco Russo e Jacopo Venturiero sono stati molto bravi e credibili,ciascuno nella sua parte
Silvio Peroni, che già ci aveva entusiasmato nelle sue precedenti regie (“Cock” nella stagione 2014/15 e “Costellazioni” (2015/16), in questa stagione teatrale con “The Aliens” ha messo a segno il suo terzo colpo di maestria.
Per ricollegarmi al discorso iniziale non posso che dire che la trovata dei due tempi mai come in questo caso si è rivelata felice.
Il pubblico presente a questa prima nazionale è parso soddisfatto e plaudente: ciò significa che Silvio Peroni ha saputo trovare la maniera giusta per fare arrivare il messaggio.
The Aliens
di Annie Baker
traduzione Monica Capuani
con Giovanni Arezzo, Francesco Russo e Jacopo Venturiero
regia Silvio Peroni
produzione Kora.t/Pierfrancesco Pisani
le musiche e le canzoni originali sono di Michael Chernus, Patch Darragh e Eric Gann
Prima nazionale
In scena al Teatro Filodrammatici di Milano fino al 26 marzo.