A Giancarlo Nicoletti il premio nazionale Franco Enriquez come Miglior Regista
E’ stato Giancarlo Nicoletti a ricevere il riconoscimento 2023 come Miglior Regista – per la messinscena dello spettacolo “I Due Papi” – alla XIX^ Edizione dell’ormai storico Premio Nazionale Franco Enriquez, sotto il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cultura.
Un riconoscimento importante per il trentottenne regista e drammaturgo che ha diretto Giorgio Colangeli (anch’egli premiato come miglior attore per lo stesso spettacolo), Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossini e Ira Fronten nella pièce scritta dal Premio Oscar Antony McCarten, che ha debuttato nel 2022 al Festival di Borgo Verezzi e la cui tournee proseguirà ancora nel 2023/24 nei più grandi teatri italiani.
“Il regista Nicoletti dirige con maestria una pièce di grande forza emotiva, toglie il velo di polvere dalle vesti dei protagonisti e ci consegna l’autenticità del messaggio evangelico. Scava nell’animo degli attori alla ricerca di una prova autentica e convincente come quella puntualmente confermata dai due protagonisti”. Questa la motivazione del Premio consegnato a Nicoletti lo scorso 30 Agosto nella tradizionale serata di gala al Teatro Cortesi di Sirolo, che ha visto, fra gli altri artisti premiati, Michele Placido, Filippo Timi, Valter Malosti e Rita Marcotulli.
“Fra i premiati di quest’anno sono uno dei pochissimi under 50, a conferma del fatto che per l’età media del nostro teatro nazionale sono poco più che un ragazzino. E penso sarebbe bello che la mia generazione – quella delle promesse disattese, dei nati degli anni Ottanta il cui percorso è stato, imprevedibilmente, più difficile di quello dei genitori – possa avere più spazio e visibilità a certi livelli. Perciò non voglio dimenticare il privilegio che ho e la responsabilità che ne consegue. Certo, c’è dietro abnegazione, gavetta, sacrificio e (forse) talento, ma da soli il teatro non si può mai fare. Sono felice, durante la serata di premiazione, di aver sentito parlare nuovamente di “teatro di parola” e di “centralità dell’attore”: credo siano concetti importanti, se vogliamo recuperare quell’imprescindibile rapporto col pubblico e un concetto più internazionale di “popolarità colta” nel teatro. E’ quello che abbiamo cercato di fare con I due Papi: penso che un buon regista debba usare la propria poetica come mezzo per il racconto, e non come fine; dimostrare, a tutti i costi e a volte forzando la mano, quanto siamo “originali” può essere un cattivo servizio al sistema teatrale e un deterrente per il pubblico. Ovviamente, tenendo in primo piano la dignità e la centralità del teatro d’arte.” questa la dichiarazione di Nicoletti poco prima di ritirare il premio.
Giancarlo Nicoletti è già conosciuto al pubblico per aver diretto spettacoli di grande successo come “Persone Naturali e Strafottenti” di Giuseppe Patroni Griffi e “L’Uomo, la Bestia e la Virtù” di Luigi Pirandello e per aver ricevuto il Premio Hystrio – Scritture di Scena nel 2016.
A Novembre debutterà al Teatro del Giglio di Lucca il suo nuovo e ambizioso progetto: “1984” di George Orwell con protagonisti Giancarlo Commare, Violante Placido e Ninni Bruschetta, per la produzione Goldenart di Federica Vincenti e Michele Placido.
I Due Papi: una storia di umanità, compassione e comprensione umana in una confessione a due voci
I Due Papi, testo teatrale di Anthony McCarten, autore premio Oscar per Bohemian Rhapsody, L’ora più buia e La teoria del tutto, da cui è stato tratto l’omonimo film di successo, rivive a teatro, al Sala Umberto di Roma, con Giorgio Colangeli,Mariano Rigillo e la regia di Giancarlo Nicoletti.
Il testo di McCarten, incalzante, avvincente e ironico, è una storia finta ispirata da fatti veri e racconta il rapporto tra Jorge Mario Bergoglio, oggi papa Francesco, e Joseph Aloisius Ratzinger, ovvero papa Benedetto XVI, con particolare attenzione al momento appena precedente alle dimissioni al soglio pontificio di quest’ultimo, con la conseguente elezione di Bergoglio a Papa nel 2013.
Soprattutto racconta il rapporto di due uomini diversissimi per estrazione, provenienza, cultura di origine e per storia personale, ma accomunati dalla stessa Fede e dal desiderio di svolgere al meglio la propria missione.
L’impianto registico appare sin da subito ben definito, chiaro e immediato nella sua apparente semplicità strutturale, in cui è possibile distinguere tre grandi quadri di azione.
Il primo quadro è dedicato a Papa Ratzinger (Giorgio Colangeli) in un momento di intimità e riservatezza, al di fuori della confusione del mondo e lontano dalle enormi responsabilità che tanto appesantiscono il suo spirito.
Lo troviamo ritirato in privato, in cucina, in attesa di consumare la cena assistito da una suora, interpretata dalla bravissima Anna Teresa Rossini, a cui il Papa confida di stare maturando il pensiero di dimettersi dal Pontificato.
In questo contesto intimo e personale, viene presentata la figura di Ratzinger nella sua globalità e umanità, ponendo l’accento sulla sua passione accademica e andando a sondare sempre più il suo stato emotivo e il suo senso di inadeguatezza nei confronti della carica che riveste.
Nel dialogo con la suora, Papa Ratzinger affronta diversi argomenti relativi alle posizioni della Chiesa su questioni cruciali, ma anche condivide con lei pensieri personali.
Il secondo quadro è dedicato a Bergoglio (Mariano Rigillo). Mentre celebra messa in un barrio di Buenos Aires, durante l’omelia confida ai fedeli la propria volontà di ritirarsi, dismettendo i panni di Cardinale per vivere da semplice parroco.
Alla fine della celebrazione, anche Bergoglio ha un colloquio con una suora (interpretata dalla brava Ira Fronten) che, sconcertata per la sua decisione, tenta di dissuaderlo.
Dalle parole di Bergoglio trapela nitidamente la figura di un uomo semplice che vive con naturalezza e spontaneità.
Questi primi due quadri si sviluppano in maniera omogenea e quasi parallela, offrendo una visione a tutto tondo dei due protagonisti, sia sotto il punto di vista dell’alta carica istituzionale e religiosa che ricoprono, sia sotto il punto di vista della loro umanità.
Il terzo quadro vede i due protagonisti a confronto a Castel Gandolfo.
Infatti, proprio poco prima di partire per Roma per chiedere di persona a l Pontefice di accettare le proprie dimissioni, Bergoglio riceve una chiamata nella quale gli viene comunicato che il Papa lo ha convocato per un incontro a Castel Gandolfo.
Qui, i due avranno un confronto intenso e animato, trovandosi in contrasto su ogni tipo di argomento affrontato.
Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, è il moralizzatore, il conservatore, il restauratore della Fede. Bergoglio, invece, è il “progressista”, il padre buono, il fratello degli indifesi, l’uomo tra gli uomini.
Oltre a confrontarsi sulle proprie idee tra conservatorismo e progressismo, i due si racconteranno, soprattutto Bergoglio, attraverso il proprio passato, le scelte difficili e i sensi di colpa, affrontando due diversi punti di vista di una stessa condizione: compromesso o cambiamento.
Alla fine i due si troveranno quasi di fronte un vicolo cieco: Bergoglio ha bisogno che il Papa accetti le sue dimissioni, ma questi, a sua volta, ha bisogno che egli resti, perché solo in questo modo egli potrà abdicare.
I Due papi è una storia di amicizia, umanità, compassione e comprensione umana; una confessione a due voci che riserva anche momenti leggeri e divertenti.
Nella sua regia, Giancarlo Nicoletti ha l’intelligenza e la capacità di sostenere e accompagnare un testo eccezionale e di grande forza, ottimamente ed efficacemente tradotto da Edoardo Erba, con semplicità e lucidità, senza ricorrere a soluzioni d’effetto, ma concentrando la propria direzione sul lavoro con gli attori.
Ciò gli riesce anche grazie alla coinvolgente interpretazione di due grandi attori come Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo, anch’essi, come i due personaggi che interpretano, provenienti da percorsi diversi, eppure perfettamente in sintonia.
Con loro sul palco ricordiamo ancora la preziosa presenza di Anna Teresa Rossini insieme a Ira Fronten e Alessandro Giova.
La regia di Nicoletti, che per questo spettacolo ha vinto il Premio Nazionale Frano Enriquez 2023 XIX edizione come Miglior Regista Teatro Classico e Contemporaneo, poi, si riconosce e distingue in questo spettacolo più nelle piccole cose, nei dettagli.
Ne sono esempio certi richiami tra un atto e l’altro come le voci della cronaca televisiva che riporta l’elezione di Papa Ratzinger a inizio spettacolo e quelle che, alla fine del secondo atto, annunciano l’elezione al Pontificato di Bergoglio.
O, ancora, la scelta di mettere in sottofondo, a inizio primo atto, un mash up delle musiche di tre canzoni degli ABBA, eseguito dalla Royal Philarmonic Orchestra, che poi saranno riprese nel quadro dedicato a Bergoglio quando canticchia Dancing Queen, sempre brano degli ABBA.
Sempre a proposito delle musiche, poi, troviamo un inserto rock ad opera dei Baustelle e alcuni passaggi di musica classica.
L’allestimento dello spettacolo è impreziosito dal bellissimo impianto scenico di immediato impatto realizzato da Alessandro Chiti, che è valso allo spettacolo il premio “Mulino Fenicio 2022” per la miglior scenografia.
Una scenografia composta da pannelli in sequenza sulla linea del palco che danno un senso di profondità e immersività e sui quali di volta in volta compaiono bellissime immagini di Roma e dei giardini di Castel Gandolfo.
Scenografia che raggiunge l’apice con la riproduzione dei meravigliosi affreschi della Cappella Sistina, e che restituisce anche un efficace simbolismo nella rappresentazione dei graffiti che a Buenos Aires ricordano i desaparcidos.
Infine, vanno citati i bei costumi di Vincenzo Napolitano e Alessandra Menè.
Fa piace sottolineare che la versione teatrale italiana de I Due Papi è l’unica produzione al mondo autorizzata dall’autore.
Goldenart Production – Viola Produzioni – Altra Scena – I due della città del sole
su licenza di Muse of Fire Production Ltd e in collaborazione con Festival Teatrale di Borgio Verezzi
presentano
Giorgio Colangeli Mariano Rigillo
I DUE PAPI
di Anthony McCarten
Traduzione Edoardo Erba
con la partecipazione di Anna Teresa Rossini
e con Ira Fronten e Alessandro Giova
Scene Alessandro Chiti
Costumi Vincenzo Napolitano – Alessandra Menè
Disegno luci e fonico David Barittoni
Regia Giancarlo Nicoletti
Spettacolo vincitore del premio “Mulino Fenicio 2022” per la miglior scenografia
Goldenart Production – Viola Produzioni – Altra Scena – I due della città del sole
su licenza di Muse of Fire Production Ltd e in collaborazione con Festival Teatrale di Borgio Verezzi
presentano
Giorgio Colangeli Mariano Rigillo
I DUE PAPI
di Anthony McCarten
Traduzione Edoardo Erba
con la partecipazione di Anna Teresa Rossini
e con Ira Fronten e Alessandro Giova
Scene Alessandro Chiti
Costumi Vincenzo Napolitano – Alessandra Menè Disegno luci e fonico David Barittoni
Regia Giancarlo Nicoletti
Spettacolo vincitore del premio “Mulino Fenicio 2022” per la miglior scenografia
SALA UMBERTO
DALL’11 AL 30 APRILE
I due papi – Sala Umberto dall’11 al 30 aprile
Dall’autore premio Oscar per Bohemian Rhapsody, L’ora più buia e La teoria del tutto arriva il testo teatrale da cui è stato tratto un film Netflix di grande successo. Dieci anni fa Benedetto XVI sbalordiva il mondo con le sue dimissioni le prime dopo più di sette secoli. Cosa ha spinto il più tradizionalista dei Papi alla rinuncia e a consegnare la cattedra di Pietro al radicale ed empatico cardinale argentino?
Interpretato da due grandi attori del nostro panorama, Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo, “I due Papi” è stato accolto come ‘un lavoro strepitoso’ al suo debutto al Festival di Borgio Verezzi.
Il testo teatrale di Anthony McCarten – incalzante e profondo, avvincente e ironico – è stato adattato per il cinema e nominato come miglior sceneggiatura agli Oscar e ai Golden Globe; la produzione italiana – unica al mondo autorizzata dall’autore – è firmata dal regista Giancarlo Nicoletti.
L’imponente scena di Alessandro Chiti, che riproduce dai giardini di Castel Gandolfo alla terrazza di San Pietro fino all’iconica Cappella Sistina, ha ricevuto il Premio “Mulino Fenicio” per la Migliore Scenografia.
Non fatevi ingannare dal titolo perché “I Due Papi”non vuole tediare con nessuna soporifera dissertazione teologica. Fra documento storico, humor e dramma, lo spettacolo ripercorre non solo i giorni frenetici che portarono dalla rinuncia di Benedetto all’elezione di Francesco, ma anche le “vite parallele” di due uomini molto diversi, accomunati dallo stesso destino. E, soprattutto, ci racconta la nascita di un’amicizia – speciale e inaspettata – fra due personalità fuori dall’ordinario. Al centro di tutto, una domanda senza tempo: quando si è in crisi, bisogna seguire le regole o la propria coscienza?
Quando ho visto per la prima volta la pellicola di Netflix sono rimasto stupito dall’efficacia e della cifra teatrale della scrittura di Anthony McCarten. Scoprire, da lì a poco, che il film era tratto da un testo teatrale dello stesso autore (sovrapponibile quasi del tutto alla sceneggiatura cinematografica) è stata una piacevole riconferma della prima impressione. La successiva lettura del testo della commedia mi stupiva nuovamente, perché la forza dell’incontro/scontro fra i due protagonisti – sullo sfondo di una vicenda storica che resterà probabilmente un unicum dei tempi contemporanei – all’interno della dimensione teatrale acquista, a mio avviso, una forza, un’urgenza e una capacità di penetrazione ancor più grande che al cinema.
Perché il cuore di questo incontro e del dialogo fra Ratzinger e Bergoglio – che sia veramente avvenuto o meno non importa – ci riguarda tutti, in quanto uomini, trascendendo dalla dimensione religiosa o spirituale, e oltre il pruriginoso interesse che sempre suscitano le questioni vaticane.
Perché I due Papi parla, anzitutto, di due uomini e, allo stesso tempo, parla di tutti gli uomini. Parla del potere, di come a volte sia difficile, se non impossibile, per un solo uomo il fardello delle responsabilità e ci pone l’interrogativo di quanto, veramente, sia giusto o meno perseverare o se non valga la pena, a volte, scendere dalla propria croce. Parla del rapporto tra l’uomo e Dio, dell’etica, delle aporie e degli interrogativi di ogni giorno della contemporaneità che corre, lasciandoci il dubbio se sia giusto sposare i tempi o ammettere l’esistenza di un che di immutabile ed eterno.
Parla dell’essere umano, di quanto possiamo essere grandi e piccoli al tempo stesso, di come il dubbio e la difficoltà del vivere siano uguali a ogni latitudine e in qualsiasi posizione sociale. Credo che in questa universalità risieda il successo e l’apprezzamento trasversale, indipendentemente dal proprio credo, della pellicola di Netflix e, pertanto, il buono di riportare l’operazione al suo luogo di nascita: il teatro.
Uno spettacolo, quindi, che vuole poggiarsi su un testo eccezionale e di grande forza, che sa scandagliare l’animo umano restando sapientemente nel campo della commedia. Un’operazione al servizio di due grandi interpreti italiani, provenienti da percorsi diversi, eppure perfettamente adatti a una sfida del genere; un tentativo di regia contemporanea – diretta, di lavoro sugli attori, iconica ma senza sofismi – di gusto internazionale e con un occhio al pubblico, grazie anche alla traduzione del testo di Edoardo Erba e di un impianto scenico di grande impatto realizzato da Alessandro Chiti.
Per fare di questo I due papi uno spettacolo vivo, che sappia parlare a tutti e trasportarci in una dimensione altalenante e varia – in quanto a viaggio, dialettica e sensazioni – fra i massimi sistemi del cielo e la concretezza quotidiana della terra.
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