King Lear
Teatro Eliseo
28 gennaio 2020
Dopo due allestimenti da lui interpretati e diretti (1984 e 1999), Glauco Mauri torna a vestire i panni di Re Lear questa volta sotto la direzione di Andrea Baracco.
King Lear è una storia di guerra, ambizione e sopraffazione, di falsità e tradimenti, una storia di figli contro i padri e di padri contro i figli, ma il King Lear di Baracco è soprattutto la storia di un padre stanco che sente avvicinarsi la propria fine, ha paura e cerca conforto nell’amore delle figlie, nella loro devozione.
In quella regressione che accompagna la vecchiaia quando è segnata da una demenza senile, il padre cerca protezione, diventa figlio dei propri figli, pur volendo ancora esercitare l’autorità genitoriale, reclamata anche a gran voce, ma solo per mantenere un minimo di aderenza a ciò che si è stati e al ruolo genitoriale.
Lear è di certo un re, anzi forse è soprattuto re, perché un uomo con un’investitura così importante mette al primo posto il proprio regno, il potere, l’ambizione e le responsabilità. Il Lear di Baracco, però, interpretato magistralmente da Glauco Mauri, è solo un uomo, vecchio e debole, la cui mente vacilla, ma che con ostinazione e orgoglio cerca di resistere al decadimento fisico e mentale e cerca aiuto nella figlie, cerca conforto, compassione, pietà ed esige rispetto per non sentirsi completamente perso, morto prima del tempo.
Tornerà Re solo alla fine, quando, avendo attraversato il dolore e la follia, rinsavirà in tempo per riconoscere l’amore e la devozione della figlia Cordelia, da lui precedentemente disconosciuta e diseredata. Sarà Re nelle sue braccia, nel calore e nell’affetto di quell’unica figlia sincera che saprà amarlo e rispettarlo fino alla fine, riconoscendogli l’autorità e l’onore che si devono ad un padre.
Glauco Mauri mette nel proprio Lear l’esperienza e le sofferenze di una vita, della sua vita, e questo si sente.
Sul palco con lui un Roberto Sturno giusto e misurato, esprime il contraltare di Lear.
Tra loro e con loro un folto gruppo di attori e attrici alcuni dei quali regalano ottime interpretazioni.
Bravissimo Francesco Sferrazza Papa nei panni di Edgar, ma ancor di più in quelli di Tom, nella sua follia inventata: luce nell’oscurità della tragedia e guida nella cecità del padre.
Aleph Viola riesce a rendere pungente, fastidiosa come ortica, l’ambiguità a tratti melliflua di Edmund, velenoso come un serpente e raccapricciante nel suo diabolico piano.
Enco Curcurù fornisce una buonissima e solida prova nelle doppie vesti di Kent e del fedele servo in maschera di Lear, riuscendo a colorare il personaggio nelle sfumature.
Dario Cantarelli è il matto, personaggio reso surreale eppure quanto mai aderente alla realtà. Interessanti la presenza scenica e la prova attoriale di Francesco Martucci.
Non hanno altrettanta potenza le interpreti femminili, Linda Gennari (Goneril), Aurora Peres (Regan) ed Emilia Scarpati Fanetti (Cordelia). Brave, non c’è che dire, ma meno incisive.
La drammaturgia è quella classica di Shakespeare, ma la regia di Baracco, la traduzione di Letizia Russo, la riduzione e l’adattamento di Andrea Baracco e Glauco Mauri, i costumi di Marta Crisolini Malatesta, le musiche di Giacomo Vezzani e Riccardo Vanja, le proiezioni di Luca Brinchi e Daniele Spanò, le luci di Umile Vainieri portano segni di contemporaneità non sempre tutti condivisibili.
Baracco osa, si mette in discussione e corre il rischio e ciò è apprezzabilissimo, eppure sembra mancare uno slancio, come se rimanesse in bilico tra la tradizione e una volontà di innovazione. Si resta come sospesi in attesa di uno squarcio, uno strappo che non arriva.
Quello che forse mancava come aspettativa personale, il regista lo condensa in chiave diversa nella scenografia funzionale e nel dinamismo continuo della scena.
Le lettere a caratteri cubitali che compongono la scritta King Lear e ruotano offuscando la maestà e lasciando l’uomo; la struttura in legno e metallo che copre l’intera larghezza sullo sfondo del palco fungendo sopra da ballatoio e dotata sotto di pannelli velati che aprono ad accessi nascosti; i ripetuti passaggi dall’alto al basso e viceversa e le frequenti entrate dalla platea determinano un dinamismo costante.
Infine da notare l’interessante inserimento del monologo di Amleto, “Essere o non essere”, che sgorga dalla bocca di Gloucester (Roberto Sturno).
Re Lear
di William Shakespeare
Traduzione Letizia Russo
Riduzione e adattamento Andrea Baracco e Glauco Mauri
Regia Andrea Baracco
Con Glauco Mauri, Roberto Sturno
e con Dario Cantarelli, Enzo Curcurù, Linda Gennari, Paolo Lorimer, Francesco Martucci, Laurence Mazzoni, Aurora Peres, Emilia Scarpati Fanetti, Francesco Sferrazza Papa, Aleph Viola
Scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
Musiche Giacomo Vezzani e Riccardo Vanja
Luci Umile Vainieri
Produzione Compagnia Mauri Sturno
Fondazione Teatro della Toscana