22-23 agosto,5-6-19-20 settembre, 3-4 ottobre ore 21.00
IL RACCONTO DI RICCARDO
ovvero la storia di un onesto mascalzone
uno spettacolo di Carlo Ragone e Loredana Scaramella
Musiche Originali eseguite dal vivo da
Mimosa Campironi
Produzione Politeama s.r.l.
IL RACCONTO DI RICCARDO 22/23 AGOSTO ORE 21.00 GLOBE
Il cantastorie, imbonitore di piazza che con la musica e la capacità affabulatoria intratteneva il pubblico, svolgeva insieme la funzione di informatore, di trasmettitore della tradizione orale e di raccoglitore di miti.
Negli Anni Sessanta i mezzi di comunicazione di massa hanno soppiantato questa forma di racconto di ciò che era successo di curioso o di tremendo nei paesi vicini o lontani.
In un teatro come il Globe, dove il contatto con il pubblico è potente e carnale, Carlo Ragone reinventa un modo di essere cantastorie coniugando la prassi antica con la musica e con un altro genere popolare tipico dello spettacolo dal vivo: il circo.
La comicità e la sentimentalità del clown si fondono all’ironia del cantastorie per creare il filo narrativo di una saga familiare dai toni rosa e neri.
Il cantastorie racconta e illustra la vita di Riccardo- re, politico, assassino, seduttore, – ne indossa i panni umani cantando e ballando, ricercando le orme di Viviani.
L’interazione e il confronto diretto col pubblico è momento fondamentale, creativo, in cui trionfa un linguaggio trasversale che vuole dare corpo con divertimento e gioco al più comico degli eroi tragici shakespeariani.
Intestamè è un prezioso gioiello teatrale dall’immenso valore artistico.
Pur non essendo uno spettacolo della tradizione shakespeariana, Carlo Ragone porta in scena questo monumento all’arte che era molto caro a Gigi Proietti, e, guardandolo, se ne può capire bene il perché.
Intestamè diventa così, oggi, un omaggio al modo del Maestro di raccontare con musica e parole.
Di Carlo Ragone e Loredana Scaramella,Intestamè è una storia dolce amara intinta nell’inchiostro acceso dell’ironia.
Alla morte del padre, un uomo ne legge il testamento: a lui, figlio prediletto, non spetta alcune bene materiale; niente casa, niente soldi.
Il padre nel suo testamento gli lascia solo poche enigmatiche parole: “A mio figlio Ferdinando ci lascio tutto. Tutto quello che non ho fatto.”
La scena, buia, prende luce debolmente mentre un uomo avanza con passo incerto, curvo, piangendo. In mano tiene una lettera: è il testamento del padre.
In sottofondo una musica malinconica.
Ci si potrebbe aspettare, a questo punto, un monologo sul lutto, pieno di dolore e rabbia per il mancato lascito.
Tutt’altro: Intestamè è un testamento di vita che insegna
, prima di tutto, come da un dolore possa nascere una risata, come ogni cosa possa essere messa in dubbio, ogni certezza rovesciata.
Con una certa irriverenza, gentile, non sfrontata, propone la via della leggerezza anche di fronte a un grande dolore.
L’uomo indossa la giacca del padre e, come per magia, ne rivive il passato, in una Napoli degli anni ’40, tra i bombardamenti e la fame (non solo: c’è la liberazione dai nazi-fascisti, l’arrivo degli americani, il boom economico dopo gli anni ’50, la scoperta dell’amore e il tentativo di andare andare altrove, espatriare).
Il quadro presentato non è direttamente la tragedia della guerra, ma una realtà descritta nei suoi infiniti colori e accenti, tra rimpianto, nostalgia e possibilità.
Un racconto vivo, un racconto di vita e non di morte; un racconto dolcemente malinconico.
L’uomo racconta la guerra, sì, ma lo fa mischiando il gioco del pallone ai bombardamenti, attraverso gli elementi della vita quotidiana.
Sono racconti della vita del padre, bambino durante la guerra. Attraverso quei ricordi ricostruisce un mondo reale fatto di cose piccole; la guerra è presente nei risvolti sulla vita quotidiana.
Carlo Ragone, sempre immenso, interpreta molteplici personaggi
a cui dona una luce vivida e una consistenza reale e lo fa con una carica potente, inesauribile, una potenza espressiva diretta, la parola rapida, pungente o divertente, modulando voce e toni per ogni personaggio, per ogni evento, per ogni storia raccontata.
Ruolo fondamentale, pari al valore della parola recitata e incarnata, è la gestualità con cui riesce a creare immagini dirette.
I gesti, le movenze, le espressioni del volto sono prolungamenti della sua interpretazione che accompagnano la parola, la supportano, la completano.
Numerosi sono poi gli inserimenti musicali cantati: anch’essi raccontano storie, rappresentate non solo dalla parola cantata, ma anche dai gesti e dalle espressioni.
Carlo Ragone affascina e incanta con la mimica e la capacità di parlare con il corpo,
dimostrandosi, oltre che un eccellente attore anche un bravissimo cantante e ballerino.
Molti gesti e passi sono volutamente caricati per accentuare l’espressività globale; altre espressioni e movimenti fluttuano leggeri nell’aria evocando immagini che sembrano essere lì presenti.
Sul palco, a supportare e completare una messa in scena potente e suggestiva, la presenza attiva e partecipativa del Quartetto William Kemp.
Nel caso di Carlo Ragone, definirne l’immensa bravura, l’attorialità oltre gli schemi, il movimento fluido e libero, l’espressività brillante, ma dominata, il gesto studiato, ma spontaneo, sarebbe limitarlo nel confine di ciò che la parola può esprimere.
Per lui, proprio perché il suo gioco teatrale è inesauribile e non limitato alla parola, ma prevede un coinvolgimento totale di ogni espressività e capacità artistica, ogni definizione data, per quanto corretta, non è capace di rendere il senso di quel luccichio che sprigiona ogni volta in scena.
INTESTAMÈ
Uno spettacolodi Carlo Ragone e Loredana Scaramella
In La dodicesima notte, o quel che volete è il tempo il protagonista: un tempo cercato, rincorso, perduto e riguadagnato.
La dodicesima notte, o quel che volete racconta una storia di amori e inganni: i gemelli Viola (Elisabetta Mandalari) e Sebastiano (Giulio Benvenuti), a seguito di un naufragio, si perdono, pensando entrambi che l’altro sia morto.
In Illiria conoscono il Duca Orsino (Diego Facciotti) e la dama Olivia (Carlotta Proietti).
Orsino corteggia Olivia, che lo ignora; allora gli manda Viola, che è entrata alla corte del Duca vestita da uomo col nome di Cesario. Le profferte di amore del messaggero Cesario vengono rifiutate da Olivia, che, però, si innamora di Cesario/Viola.
A suo volta Viola, nei panini Cesario, si innamora di Orsino. Da questa situazione derivano una serie di imprevisti e fraintendimenti.
Come è solito nelle opere del Bardo, alla trama principale se ne innesta un’altra, forse secondaria, ma certo non minore, che vede protagonisti i personaggi della corte di Olivia: l’austero servo Malvolio (Federigo Ceci), la dama di compagnia Maria (Loredana Piedimonte), Sir Tobia De’ Rutti (Mauro Santopietro), il servo Fabian (Paolo Giangrasso) e Sir Andrea Guanciamolle (Federico Tolardo).
Malvolio viene ingannato per gioco dagli altri cinque che, falsificando una lettera, gli fanno credere di essere oggetto di attenzioni da parte della padrona Olivia.
Anche da questo gioco divertente, ma un po’crudele, scaturiranno una serie di esilaranti equivoci.
Nel frattempo, Sebastian è protetto da Antonio (Gabrio Gentilini) che dimostra nei suoi confronti un affetto particolare.
Tra tutti questi personaggi, poi, si muove Feste, il matto (immenso Carlo Ragone): protagonista di divertenti intermezzi, cui sono affidati maggiormente gli inserti musicali, Feste è il matto saggio, sagace e irriverente, ma protetto dalla sua “mattitudine”.
Il tempo, si diceva, è il punto nodale su cui gira tutta la commedia.
Tutti sembrano aver fretta: Orsino ha fretta di conquistare Olivia, e aspetta (ancora il tempo che torna) da molto; Viola ha fretta di smascherare il proprio travestimento sognando di poter conquistare Orsino; Olivia, prima di aprirsi ad un eventuale relazione aspetta, ma poi, innamoratasi di Cesario ha fretta e di fretta sposa Sebastiano pensando che sia Cesario; Sebastiano, a sua volta, ha fretta di crearsi una nuova vita; Malvolio ha fretta di migliorare la propria posizione sociale; Antonio ha fretta di conquistare Sebastiano.
Anche tutti gli altri personaggi hanno fretta di raggiungere degli obiettivi.
L’attesa, la frenesia, il desiderio di cavalcare il tempo si manifestano con potenza espressiva in scena, oltre che per la ottima interpretazione di ogni singolo elemento, anche per la splendida sinergia che tutti insieme rappresentano nella coralità della scena, grazie ad una sintonia perfetta, precisa come l’ingranaggio di un orologio (e torna il tempo).
Orologio che in scena è visivamente rappresentato e frequentemente animato dai personaggi, grazie alle coreografie di Laura Ruocco, coadiuvata da Giulio Benvenuti (assistente coregrafo) e ai movimenti di scena di Alberto Bellandi.
Attraverso i loro movimenti coordinati e ripetutamente eseguiti, gli attori scandiscono il trascorrere del tempo attraverso un ampio uso dei pochi oggetti di scena, creando sul palco un grande orologio che ogni volta scorre veloce.
La scena, infatti, opera di Fabiana Di Marco, è dominata da sedie poste in circolo al centro del palco, sulle quali, all’inizio, sono poggiati degli abiti che serviranno ai vari travestimenti.
Ogni sedia rappresenta un’ora sul quadrante di questo orologio così rappresentato, e una sedia d’argento indica esattamente ogni volta un orario.
Allo stesso tempo, ad ogni ruotare delle sedie, a cui, appunto, corrisponde il passare del tempo, gli attori in scena eseguono dei movimenti ripetuti che rappresentano le lancette di questo grande orologio.
Ad ogni giro, inoltre, si cambia scena, passando dalla trama principale alle varie ramificazioni secondarie, ma non accessorie.
Alla dodicesima ora, poi, gli inganni vengono svelati, gli equivoci sciolti e, come in tutte le favole, arriva un lieto fine che dà via ad un nuovo giro del tempo.
Centrali all’opera sono, poi, i travestimenti, gli scambi di persona e gli inganni.
A parte il travestimento di Viola/Cesario, speculare all’abbigliamento del gemello Sebastiano, è sufficiente un velo nero sul capo degli attori, per coprirne il volto e mistificarne l’identità, trasformandoli in un coro greco o per consentire di applicare piccole astuzie.
Oltre alle sedie e pochissimi altri oggetti che servono a definire il ruolo di ogni personaggio, sono i bellissimi costumi di Susanna Proietti ad avere un ruolo nel ricreare un clima sempre a cavallo tra realtà e finzione, così come anche i drappi di tulle che rivestono il palco.
Altro elemento costitutivo dello spettacolo sono le musiche,
composte da Mimosa Campironi ed eseguite dal vivo dal Quartetto William Kemp e le canzoni interpretate, dal matto Feste, da Olivia e da Valentino (Antonio Sapio, bellissima voce).
Le prove attoriali sono bellissime e ottimamente amalgamate: occorrerebbe una citazione per ognuno, ma mi soffermo sulle tante eccellenze che contribuiscono a rendere questo spettacolo grande.
Carlo Ragone, impersona Feste, il matto, con grande carisma e fisicità, voce piena e sguardo vispo, rendendosi “regista”della storia.
Carlotta Proietti è bravissima nel far pulsare le emozioni di Olivia e restituirne l’intelligenza, agile nei cambiamenti di tono e umore del personaggio a cui dà voce anche col bel canto.
Elisabetta Mandalari si dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, degna di calcare un palco così importante e bello come quello del Globe.
Loredana Piedimonte è una dama di compagnia effervescente, tanto apparentemente servile quanto goliardica, amica sincera di Olivia, ma pronta a prendersi gioco di chiunque.
Federigo Ceci è superbo nel conferire una personalità eccentrica e superba, ma anche ridicola al personaggio di Malvolio, dagli atteggiamenti troppo fini ed eleganti per un uomo, che, infatti, gira in gonnella, calze spesse e giarrettiere intrecciate.
Diego Facciotti si rivela adattassimo al ruolo di Orsino, nei modi, nella voce e nell’aspetto.
Giulio Benvenuti e Gabrio Gentilini dimostrano una crescita attoriale costante che nel tempo si consolida.
Federico Tolardo inanella un altro personaggio incredibile, divertente, goffo e un po’ stupido su cui riversa la propria grande espressività, la velocità nei movimenti e le capacità interpretative.
La dodicesima notte al Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti, tradotto e adattato da Loredana Scaramella, vive grazie alla regia precisa, dinamica e frizzante della stessa Scaramella e assicura uno spettacolo coinvolgente e molto divertente che riesce a portare lo spettatore a sognare insieme ai personaggi della storia.
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