Teatro Quirino

13 dicembre 2022

Prima

Spettri è il dramma borghese di Ibsen portato in scena al Teatro Quirino di Roma con l’adattamento di Fausto Paravidino, la regia di Rimas Tuminas e interpretato da Andrea Jonasson con Gianluca Merolli, Fabio Sartor, Gianluca Previati ed Eleonora Panizzo.

Un dramma borghese che esprime le vicissitudini di personaggi non più grandiosi o eroici come era stato fino ad allora con la letteratura e il teatro fino a tutto il XVIII secolo, ma mette in scena le vicissitudini private, i drammi domestici, la crisi di valori e i vizi della società e la decadenza dell’individuo.

Si potrebbe dire che i temi centrali di Spettri di Ibsen siano la verità e il suo continuo celamento nel tentativo di difendere una facciata perbenista e convenzionale.

Eppure, la verità è difficile da rivelare quando nasconde orribili segreti e azioni deprecabili.

Helene Alving, ricca vedova, sta per inaugurare un orfanotrofio dedicato alla memoria del marito defunto, considerato da tutti un benefattore.

La realtà, però, è un’altra e nasconde terribili segreti: il marito era un uomo corrotto e vizioso, ma la vedova Alving ha sempre taciuto la verità per salvare le apparenze. Tentò di scappare cercando rifugio dal pastore Manders che amava, ma venne respinta e dovette tornare a casa.

Il figlio Osvald, appena tornato dalla sua permanenza a Parigi dove cerca di farsi strada come artista, ignora le verità sul passato della propria famiglia, ma ha scoperto di aver ereditato dal padre una malattia che lo porterà alla follia.

A casa, Osvald si innamora di Regine, una cameriera della madre che vive con lei da sempre, ma la madre dovrà rivelargli che la stessa è, in realtà, la sua sorellastra, avuta dal padre con un’altra donna. 

Regine, scoperta la verità e sconcertata, scappa dalla casa e si piega al desiderio del patrigno di andare a lavorare nel suo nuovo bordello, fatto passare come un’osteria per marinai.

Ad Osvald non resta che rimanere con la madre, dietro la promessa che  sia ella stessa, alla prossima forte crisi, a somministrargli una dose letale di morfina: la follia, però, arriverà prima e gli stravolgerà la mente, uccidendolo.

spettri

La versione di Spettri adattata da Paravidino e diretta da Tuminas è tutta giocata su atmosfere rarefatte e sul senso della distanza: l’ambiente in cui si svolge l’intera rappresentazione è ampio, cupo e vuoto.

A occupare lo spazio troviamo solo un tavolo ingombro di candele e qualche oggetto e delle sedie sparse intorno; il resto è un vasto spazio vuoto scarsamente illuminato, con grandi colonne e un grande specchio appeso alla parete di fondo. Su tutto incombe, in alto, un lampadario dalla luce fredda.

I lunghi silenzi, la pause e le parole non dette tra la Sig.ra Alving e il Pastore Manders accentuano, poi, esasperandolo, quel senso di distanza nel tempo e nello spazio.

La messa in scena è un dentro e fuori giocato tra il presente e il passato, tra rievocazioni e ricordi e la solitudine e la disperazione del presente.

Gli Spettri sono le ombre del passato che continuano a rivivere nella testa e nell’animo della Sig.ra Alving, ma anche di tutti gli altri personaggi.

Osvald ha vissuto una vita col peso di un padre mai realmente conosciuto e vissuto attraverso il ricordo falso costruito dalla madre; ma “i padri non muoiono mai” e la sua presenza incombe sempre nella testa del figlio.

Osvald è un uomo finito, come finito era suo padre. Come in una tragedia greca, le colpe dei padri ricadono sui figli: dal suo, Osvald ha ereditato solo la malattia, un “rammollimento cerebrale” che lo porterà al delirio e alla morte.

Mentre tutto intorno a loro è tristezza e dolore, mentre fuori dalle mura di casa, nella grigia campagna norvegese, infuria il temporale, con pioggia e tuoni e l’anima di Osvald è dilaniata dallo stesso fremito e tremore, così come cupi sono gli animi di tutti i personaggi, l’unica possibilità per Osvald di trovare riposo e quiete, l’unica luce che vede all’orizzonte è quella della morte come liberazione dal male e dal dolore.

L’illuminazione arriverà solo con lo svelamento della verità e la luce sarà solo una promessa strappata alla madre, ma non mantenuta.

C’è molto del Il gabbiano di Cechov nel rapporto tra Osvald e la madre  Helen, come in Konstantin con la madre Irina.

Un rapporto fatto di silenzi, distanze e bugie ottimamente interpretato e restituito da Gianluca Merolli (che tra l’altro è stato un eccellente Konstantin in una versione del Gabbiano da lui stesso diretta) e Andrea Jonasson.

I momenti più alti e belli dello spettacolo sono quelli in cui sono in scena Andrea Jonasson con Gianluca Merolli e il duetto quasi danzante di Merolli con Eleonora Panizzo.

Emozionante il momento in cui Osvald, sconvolto, dapprima recita e poi canta Vesti la giubba (Ridi pagliaccio) in cui Gianluca Merolli riesce a far convergere la rabbia, la disperazione e la frustrazione del proprio personaggio attraverso un’interpretazione intensa e coinvolgente e movenze convulse e quasi ossessive.

Assolutamente interessante e da sottolineare come lo spunto che il discorso sulla famiglia tra il Pastore e Osvald venga approfondito dal Paravidino per inserire importanti e attuali considerazioni sulla omogenitorialità a evidenziare, tra le altre cose, come l’ipocrita morale contemporanea non sia poi così lontana da quella borghese dell’ottocento.

In questa messa in scena che non sempre riesce a mantenere momenti alti, scadendo a volte di tono, soprattutto nella prima parte, sono tanti i messaggi e molteplici le immagini che richiamano gli spettri che abitano la mente umana, procurando angoscia e tormento e forte è il richiamo alla necessità vitale di liberarsi da questi fantasmi per riacquisire una propria identità individuale e poter sentire nuovamente la gioia di vivere.

Questo non è solo ampiamente caratterizzato dalla Sig.ra Alving, ma anche ben presente in Regine, attraverso la bella interpretazione di Eleonora Panizzo.

Eppure la storia e la vita sembrano negare all’individuo la felicità, il cui desiderio viene tacciato dal Pastore Manders (quindi dalla tradizione ipocrita borghese e dalla religione del tempo) come una pretesa arrogante e un peccato di tracotanza.

Paravidino riduce i tre atti in un atto unico di circa un’ora e mezza scegliendo di eliminare alcuni elementi dell’originale (l’incendio dell’orfanotrofio per esempio) e avvicinando i personaggi agli eroi tragici, in un dramma borghese in cui, però, non esiste catarsi. 

Ottima la scelta delle musiche come continuo sottofondo, utili anche a colmare, sebbene non del tutto, i lunghi silenzi e le pause non sempre adeguatamente sostenute.

Teatro Stabile del Veneto

presenta

ANDREA JONASSON

SPETTRI

di Henrik Ibsen

adattamento Fausto Paravidino

con

GIANLUCA MEROLLI    FABIO SARTOR    GIANCARLO PREVIATI  ELEONORA PANIZZO

scene e costumi Adomas Jacovskis

musica Faustas Latènas, Giedrius Puskunigis, Jean Sibelius, Georges Bizet

disegno luci Fiammetta Baldiserri
ripresa luci Oscar Frosio

regia RIMAS TUMINAS

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