
Nuove forme di convivenza sono necessarie
Il principio di Archimede
Spazio Diamante, 8 marzo 2019
Siamo tutti spaventati.
Siamo tutti spaventati da ciò che non conosciamo anche quando si tratta di noi stessi. Quante persone possiamo dire di conoscere veramente? Di quante persone possiamo dire che ci conoscono veramente?
Esistono delle zone d’ombra, delle pieghe misteriose che teniamo celate agli altri e magari per molto tempo anche a noi stessi? Quando una crepa si apre su ciò che pensiamo di sapere degli altri si insinua il dubbio e dal dubbio la diffidenza e poi la paura e la paura trasforma l’essere umano.
È questo ciò che viene rappresentato nel bellissimo testo fortemente attuale del drammaturgo catalano Josep Maria Mirò, tra i maggiori autori contemporanei, la cui messa in scena è diretta da Angelo Savelli, reduce dal successo de La bastarda di Istanbul, che qui ha curato anche la traduzione con la collaborazione di Josep Anton Codina.
La storia si svolge nello spogliatoio di una piscina. Jordi (Giulio Maria Corso) è un giovane istruttore di nuoto estroverso e sfrontato amato dai bambini che allena. Hector (Samuele Picchi) è il suo giovane collega, più introverso e conformista. Anna (Monica Bauco) è la direttrice della piscina, una donna precisa e rigida, ma resa fragile dalla prematura morte del figlio. David (Riccardo Naldini) è il padre di uno dei bambini allenati da Jordi ed è un uomo autoritario e impulsivo.
Jordi, durante una lezione, dà un bacio a un bambino che si era messo a piangere per paura dell’acqua. La notizia arriverà alle orecchie di tutti i genitori innescando un meccanismo inarrestabile che, partendo dalla diffidenza e dal sospetto, alimentato da pregiudizi e paure, porterà ad una inquisizione e alla psicosi collettiva.
Il principio di Archimede è un testo bellissimo e asciutto, per certi versi fastidioso e scomodo perché porta inevitabilmente lo spettatore ad uscire dalla propria comfort zone e porsi delle domande importanti stimolando un processo di immedesimazione nel quale inevitabilmente si troverà a chiedersi come si sarebbe comportato nella stessa situazione.
Lo spettacolo procede come un thriller psicologico ad alta tensione. In un vortice di confusione e paura ogni cosa assume nuove connotazioni, a torto o a ragione è ininfluente: ogni particolare diventa un indizio, un indizio viene assunto come prova e la prova è già di per sé una condanna. I quattro personaggi alimenteranno un processo inquisitorio nel quale si troveranno loro malgrado e in forme diverse tutti coinvolti. Attraverso le loro azioni e seguendo i loro pensieri, lo spettatore avrà modo di seguire lo spettacolo contemporaneamente da quattro prospettive diverse, aderendo al punto di vista che sente più vicino.
Il principio di Archimede pone l’attenzione sulle dinamiche interpersonali e le relazioni sociali e sulle paure che la società contemporanea ci infonde. Una paura che può diventare ossessiva, annebbiare la mente portando alla calunnia con conseguenze drammatiche oggi ancora più pericolose perché amplificate dal massiccio uso dei media e dei social network.
Il titolo è, in questo, esemplificativo. Parafrasando il principio di Archimede potremmo dire che ogni soggetto, immerso in un determinato contesto sociale, riceve sollecitazioni alle quali cerca di rispondere con la stessa potenza. Sta al buon senso valutare il modo e la misura.
Il principio di Archimede è un thriller senza soluzione. Nel finale, forte, significativo e di grande effetto, nulla viene risolto. Non c’è una risposta oggettiva: resta solo una grande paura e una profonda riflessione. Siamo tutti spaventati da ciò che potremmo fare e da ciò che gli altri, anche sconosciuti, potrebbero farci.
In scena quattro bravissimi attori, completamente diversi tra loro, recitano con grande naturalezza e profonda immediatezza. L’argomento trattato e le emozioni rappresentate e suscitate non consentono giochi teatrali, ma richiedono una completa compenetrazione tra attore e personaggio.
Giulio Maria Corso rappresenta con tratti decisi la sfrontatezza di Jordi, il suo essere equivoco, per poi passare con toccante sensibilità a mostrarne la fragilità.
Monica Bauco, eccezionale interprete, restituisce con grande partecipazione un personaggio complesso, all’apparenza forte, ma pervaso da una dolorosa confusione.
Samuele Picchi riesce nel compito di tenere un personaggio che faccia da contrasto alla personalità di Jordi, accentuandone le differenze tra i due, senza far perdere al proprio un briciolo di identità. Un personaggio non necessariamente positivo o neutro, perché Hector è un ragazzo buono più per paura di trasgredire e per mancanza di intraprendenza che per disposizione.
Riccardo Naldini ha il difficile ruolo, ottimamente sostenuto, non solo di rappresentare un padre arrabbiato per paura, ma anche di dover portare in scena la condanna sociale, la caccia alle streghe. Il suo David è il cacciatore che cerca la Bestia, ma la bestia è spesso dentro di noi e siamo noi a proiettarla all’esterno (infatti non si saprà mai se questo atto di pedofilia che incombe pesante per tutto il tempo sia mai avvenuto o nemmeno stato pensato).
La regia di Angelo Savelli è diretta e cruda. La suddivisione delle scene in quadri temporali che cambiano in un susseguirsi di rewind e forward cinematografici, già presente nel testo, ma efficacemente rappresentata dallo scorrere del nastro, restituisce la disomogeneità con cui oggi ricaviamo le informazioni dall’esterno, dai media e dai social.
Anche in questo si manifesta la bravura degli attori: in questo entrare e uscire ogni volta in un percorso emotivo che non è progressivo, ma discontinuo, lasciato e ripreso ogni volta, fondamentali sono l’intonazione, l’inflessione della voce e gli sguardi, elementi tutti che in un attimo devono tornare su registri abbandonati.
Entrando in sala colpisce subito la scenografia di Federico Biancalani: lo spogliatoio di una piscina completo di armadietti, panche e i vari accessori di ausilio per i corsi. La scena è posta in maniera longitudinale con le sedute del pubblico ai due lati come gli spalti della piscina: scelta che ha il doppio effetto di rappresentare sia le vetrate da cui di solito i genitori vedono i loro figli in acqua, sia quello di chiamare in causa tutti gli spettatori, rendendoli parte della scena che può essere osservata anche fisicamente da diversi punti di vista, potendosi a loro volta vedere in faccia gli uni con gli altri, quasi a cercare una reazione o un’emozione. Anche per questo le luci sono quasi sempre a “mezza sala”.
In questo modo la messa in scena va di pari passo con la struttura drammaturgica: la rappresentazione, oltre a poter essere seguita fisicamente da punti di osservazione diversi, anche dal punto di vista narrativo può essere seguita da quattro angolazioni diverse, prendendo a riferimento ogni volta uno dei personaggi.
Il principio di Archimede è un testo che mette a fuoco il malessere delle persone, la crisi di alcuni valori sociali che si davano per assodati (l’amore, il lavoro, la convivenza sociale, la conoscenza e l’accettazione di sé e dell’altro) reclamando la necessità di creare nuove forme di convivenza che si richiamino a quei valori, ma anche contemplino una considerazione sociologica più ampia dell’essere altro, includendo nuove pressanti necessità come il diritto alla privacy e quello alla difesa privata, un nuovo modo di regolare il rapporto genitori figli in un’’epoca in cui ormai, per una serie di motivi, manca un controllo attento, cercare di far incontrare su un terreno comune la morale privata con quella pubblica.
Il passato era diverso. La domanda che spesso tutti ci facciamo è: una volta certe cose non c’erano o se ne parlava di meno? Non c’erano perché si era più sereni con poco e i casi eclatanti erano di meno, oppure c’erano, ma si aveva più timore, pudore e vergogna a farle emergere, mentre oggi lo sviluppo incontrastato di mezzi mediatici e social ne ha amplificato la risonanza consentendo a ognuno di sputare sentenze e lapidare anche senza avere le prove di alcuna colpa? Ancora: a causa di tutto il male che vediamo o ci fanno vedere intorno e lontano da noi, quanta paura ci fa il mondo?
Siamo tutti spaventati. Nuove forme di convivenza sono necessarie.
Il principio di Archimede
di Josep Maria Mirò
traduzione di Angelo Savelli con la collaborazione di Josep Anton Codina
regia Angelo Savelli
con Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini e Samuele Picchi
scene Federico Biancalani
luci Alfredo Piras
Pupi e Fresedde – Teatro di Rifredi
Centro di Produzione Teatrale di Firenze
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