19 gennaio 2018
Recensione di Carlo Tomeo
Al Teatro Litta del Gruppo MTM (Manifatture Teatrali Milanesi), Alberto Oliva insieme a Mino Manni hanno elaborato la drammaturgia di una “Salomé” atipica, come del resto è nel loro stile, in cui hanno unito i testi di due autori molto diversi tra di loro, non solo perché hanno vissuto in due secoli differenti (Oscar Wilde morì nel 1900 mentre Testori nacque nel 1923) ma perché questa loro diversità di scrittura ha saputo mostrare le due facce della stessa medaglia. Al centro della storia apparentemente c’è la donna che dà il titolo alla pièce, ma in realtà la parte più drammatica è costituita dalle parole scritte da Testori e pronunciate da Giovanni Battista, nel testo chiamato Iokanaan), fatto prigioniero dal re Erode in una cisterna, mentre lancia spaventose profezie contro la cattiveria dell’umanità. Dall’altra parte ci sono i cosiddetti miscredenti, i padroni, che conducono una vita gaudente e, nello stesso tempo, avvertono in quei vaticini un pericolo nascosto, vedono messe in crisi le loro coscienze e sentono il bisogno di non prestare ascolto a quella voce.
Si sta svolgendo una festa nella reggia del re della Galilea, Erode Antippa, dove sono ospiti, giudei, romani, egiziani. Ogni tanto la giovane principessa Salomè, figlia di primo letto della moglie del re, si allontana dal baccanale per andare a corteggiare Iokanaan, lodandone gli occhi, i capelli e pregando il siriaco capitano della guardia di liberare l’uomo. Ma il siriaco, innamorato di Salomè, preferisce uccidersi e qui ci troviamo di fronte alla prima scena di sangue, foriera dell’omicidio più grande che Erode sarà costretto a compiere suo malgrado, per volere della figliastra di cui è innamorato.
Qui, più che Testori, i cui versi si continuano ad ascoltare minacciosi attraverso la voce di Iokanaan, ci troviamo in territorio Oscar Wilde, il quale pone in primo piano la passione smodata di Salomé per il profeta, tanto che la giovane, accetta la richiesta di Erode di vederla ballare nella danza dei sette veli, purché egli alla fine l’accontenti in un suo desiderio che lei gli avrebbe rivelato alla fine. L’uomo accetta e sappiamo che, dopo la danza, al re verrà richiesta la testa di Iokanaan.
Erode cerca di fare di tutto per evitare quell’omicidio e arriva a promettere alla figliastra metà del suo regno perché, per quanto possano essere terribili le parole del profeta, nello stesso tempo, esse richiamano il proprio io, che può venire a galla e fargli da guida di fronte al male rappresentato dalla carnalità, dalla passione sfrenata, da una forma di piacere smodato che potrebbero portare alla violenza.
Ma Salomè ha già oltrepassata la soglia del male, e da giovane fanciulla qual era, è ora diventata una donna che non perdona e, piuttosto che il mancato amore dell’uomo di cui si è invaghita, ne desidera la morte. Fino alle estreme conseguenze per se stessa.
La “trovata” più interessante nella drammaturgia di Alberto Oliva e di Mino Manni è stata quella di combinare due testi che, in teoria hanno in comune il fatto, ma non completamente i personaggi e le loro motivazioni dei loro atti: in Testori, infatti, l’innamorata rifiutata da IoKanaan è Erodiade, la madre che odia la figlia perché le ha anche sottratto l’amore del marito e, facendosi però forza di questo, è lei stessa a suggerire il taglio della testa del prigioniero: quindi è sua la vendetta dovuta al rifiuto, più che quella della stessa Salomé. Oscar Wilde, invece racconta la storia facendo partire la pièce dalla perdita dell’innocenza della Salomè fanciulla dal momento in cui si scopre innamorata del profeta e facendo poco riferendo della passione di Erodiade, che Testori nel suo secondo “laio” chiamerà Erodias, collocandola all’Inferno.
Con questo lavoro il regista Alberto Oliva ha voluto dimostrare che la tentazione di compiere cose perverse a volte non conosce confini, nel momento in cui si voglia perseguire un piacere che diventa sempre più smodato e irrinunciabile. L’animo umano ha ancora nella propria mente tanti punti oscuri da chiarire e che forse non chiarirà mai se non in situazioni estreme, ammesso che riuscirà a chiarirseli. E se Testori usa parole di dolore e di sangue, Oscar Wilde adopera un aforisma più dolce “Il mistero dell’amore è più grande del mistero della morte” .
Quattro attori molto bravi in scena e l’inconfondibile voce fuori campo di Franco Branciaroli hanno garantito una messa in scena di valore tutt’altro che effimera e che merita di essere scoperta e riscoperta. Tanti sono i simboli contenuti nell’opera che lo spettatore attento potrà cogliere e interpretare secondo la propria sensibilità e la sua cultura, ma la cosa principale rimane il mistero rappresentato dall’animo umano che fa compiere le azioni più reiette e questo mistero rimarrà ancora il punto cruciale del nostro vivere quotidiano.
Salomé
Di Oscar Wilde / Giovanni Testori
elaborazione drammaturgica Alberto Oliva e Mino Manni
regia Alberto Oliva
con Mino Manni, Francesco Meola, Giovanna Rossi, Valentina Violo
voce fuori campo Franco Branciaroli
scene Alessandro Chiti
costumi Lella Diaz
movimenti Lara Guidetti
assistente alla regia Valentina Sichetti
produzione Teatro degli Incamminati e i Demoni
Si ringrazia Alessandra Paoli dell’ufficio stampa
in scena al Teatro MTM – Litta di Milano fino al 28 gennaio 2018.
Interessante la recensione su Salome
Chiarissima recensione di Carlo Tomeo di un famosissimo testo che non finisce mai di affascinare. Emanuela
Bellissima recensione. Grazie sig. Tomeo