
Recensione di Carlo Tomeo
Una scena semibuia, spoglia, con un cavalletto sul quale è appoggiata una tela bianca posto quasi vicino al fondale. Entra l’attore al suono della musica di Schubert, si avvicina al cavalletto e vi dipinge un volto umano. Poi si volta verso il pubblico con in mano il libro “Il ritratto di Oscar Wilde” e inizia il suo monologo che consiste nell’esigenza di chiarire i punti oscuri che lui pensa di trovare nel romanzo. In realtà la trama ha una sua linearità, ma tuttavia nasconde cose che vanno interpretate ancora adesso, a distanza di oltre un secolo, anzi oggi ancor di più, a seguito delle scoperte scientifiche dovute alla psicanalisi. Che il romanzo fosse stato censurato già alla prima uscita, tanto è vero che Wilde si sentì in dovere di farlo ripubblicare con una prefazione che potesse smaltire le polemiche nate su alcuni passi dell’opera, è già significativo. Nell’epoca vittoriana di falso perbenismo borghese e del divieto dell’omosessualità, l’ostracismo al romanzo era diretto alle frasi più comprensibili ritenute oscene e non a quelle che potessero nascondere altri pensieri, anche essi non accettabili.
Nel nostro secolo, il regista Claudio Orlandini e l’attore Davide Del Grosso, vivendo in un’epoca più “aperta”, hanno sentito l’esigenza di rileggere il romanzo e scoprire che la trama non è così semplice come appare.
Per i lettori (e i cinefili) la storia ha il fascino del noir e il pensiero dell’autore non viene preso in considerazione più di tanto. Il pubblico non consapevole non sa che Wilde scrisse un’opera di facile lettura e avvincente, grazie al fascino esercitato dalla storia raccontata, in modo da arrivare al grosso pubblico per fargli scoprire tematiche più profonde insite nella natura umana, prima di tutto il discorso dell’omosessualità.
Sul palcoscenico Davide Del Grosso inizia a raccontare la storia del romanzo e chiede al pubblico di seguirlo nelle parti che apparentemente mostrano delle contraddizioni. E cosi, sopra un filo che lui stesso stende dalla sinistra alla destra del palcoscenico, appende una pagina per ogni capitolo del romanzo, in tutto venti, e inizia la storia che tutti conosciamo.
Dorian Gray ha il culto della bellezza e della giovinezza e il suo amico Basil gli regala un quadro che ritrae non solo il suo volto ma
anche la sua anima. Quel quadro, dopo che Dorian esprimerà il desiderio di concedere la sua anima al diavolo pur di rimanere sempre giovane e bello, invecchierà al posto suo e il volto rappresentato acquisirà bruttura a ogni nefandezza che l’uomo andrà a commettere.
Verso la fine dello spettacolo l’attore si imbratterà di una sostanza rossa (da qui il titolo “Rossowilde”). È il momento della presa di coscienza perché il colore rosso, che generalmente si associa al sangue, è anche il simbolo dell’energia vitale, sia mentale che fisica, e anche della passione e dell’amore. Questa azione, propedeutica del gran finale, rappresenta uno dei momenti più significativi della messa in scena.
Regista e attore hanno lavorato in simbiosi, creando una drammaturgia da un romanzo molto popolare: il racconto è avvincente anche per chi conosce già l’opera da cui è tratta, grazie alla qualità recitativa di Davide Del Grosso che, ogni volta in cui esprime un pensiero si rivolge al pubblico quasi a chiedere conferma sulla attendibilità di quello che ha appena detto. Questo è vero coinvolgimento perché non fa cadere l’attenzione dello spettatore.
Naturalmente tutta la storia mette in luce quelli che sono stati sempre, in ogni secolo, i desideri dell’uomo: l’eterna giovinezza e il culto della bellezza. Per questo l’uomo ha sentito l’esigenza di creare una religione che lo facesse vivere per l’eternità. Non esiste popolo che non abbia la sua religione che preveda la reincarnazione o la vita eterna in un luogo altro. Finanche i kamikaze ci credono e anzi sono i più estremisti perché per loro la morte è il raggiungimento di una vita eterna e beata al fianco di Allah.
E così per mantenere sembianze più giovani dell’età anagrafica, sono nate le pratiche di chirurgia estetica.
Dorian Gray, perciò, non è solo il personaggio di un romanzo ma siamo noi tutti della società odierna che gli somigliamo.
Molto indovinata la conclusione del monologo, quando il quadro, fatto in più strati che vengono strappati via, cade per terra e mostra il volto di un bambino.
Bellissimo monologo che Claudio Orlandini e Davide Del Grosso hanno creato e che dovrebbe avere più repliche.
La sala de La Cavallerizza era piena, soprattutto di giovani, che hanno applaudito a lungo.
Rossowilde -Il ritratto di Oscar Wilde
di Davide del Grosso e Claudio Orlandini
regia di Claudio Orlandini
con Davide Del Grosso
assistente alla regia Chantal Masserey
realizzazione scene Stefania Solari
Produzione Com Teatro
in scena al Teatro Litta-Sala La Cavallerizza di Milano fino al 26 marzo.
dalla lettura della recensione emerge che regista e attore abbiano scritto un’opera che fa riflettere sulla problematica che da sempre ha occupato la mente umana. Penso di andare a vederlo.
Complimenti, sig. Tomeo! Una bellissima recensione che porta ad andare al teatro per applaudire questo ” Rossowilde”, rosso e wild… È vero che il rosso evoca il sangue e l’energia vitale, ma quando si pensa all’Oscar Wilde, a cui i paradossi piacevano, si può anche immaginare il rosso della vergogna come nel romanzo di Nathaniel Hawthorne “The Scarlet Letter”. Infatti, è sempre il proprio dei grandi autori di offrire delle multipli interpretazioni ai lettori ed ai registi di teatro o di cinema…
Eccellente recensione e ottima la osservazione del sig. Tomeo alla nostra attuale realtà. Complimenti!