
Teatro India
28 febbraio 2017
Ophelìa è uno spettacolo teatrale scritto da Giacomo Sette, diretto da Gianluca Merolli e interpretato da Giulia Fiume, Giuliano Peparini, Federico Le Pera e Gaia Benassi, ma sembra più il frutto di un workshop o un laboratorio teatrale, interessante e dignitoso, che uno spettacolo vero e proprio, completo e finito.
Si presenta, infatti, come uno studio sui personaggi dell’Amleto visti dal personale punto di vista dell’autore Giacomo Sette e connotato dalla direzione creativa, visionaria e altamente simbolica di Gianluca Merolli.
I propositi, interessantissimi, enunciati durante il periodo della promozione, inserita anche all’interno di un progetto di crowdfunding, vengono per lo più disattesi, presentando qualcosa di diverso da quello che era apparso all’inizio. (https://it.ulule.com/ophelia-7/)
Poco male: si sa che in corso d’opera i progetti prendono vie diverse e possono assumere altre forme nel momento in cui l’idea si concretizzata attraverso la pratica. Nello specifico, poi, questo spettacolo nasce con un cast più ridotto e un’altra regia e nel percorso della sua realizzazione ha subito modifiche sostanziali e, probabilmente, i cambi di direzione non hanno avuto sufficiente tempo per sedimentare e materializzarsi in forme concrete e finite.
L’idea era quella di raccontare la storia dell’Amleto di Shakespeare vista e vissuta dai personaggi di Ofelia e Fortebraccio: Ofelia, che racconta l’amore, le emozioni e le relazioni di una donna in un’epoca in cui la parità di genere non era nemmeno considerata, e Fortebraccio, contraltare ironico nella tragedia, che dimostra come rincorrere interessi personali sia dannoso per l’interessa della comunità.
La storia è raccontata attraverso l’artificio metateatrale: la compagnia di attori affronta la preparazione del testo dell’Amleto giocando con dei Playmobil in abiti di scena all’interno di un plastico (bellissimo, opera di Alessandro Di Cola) che ricrea luoghi e spazi della storia. Dando voce a questi piccoli oggetti, li rendono i personaggi della storia muovendoli all’interno di questo ambiente ricreato: ci sono il castello, la spiaggia, il campo di battaglia, una pista da ballo…
La storia viene quindi raccontata e rappresentata sul palco, ma anche all’interno della piccola scenografia, con frequenti passaggi da un livello all’altro della rappresentazione. Espediente sicuramente curioso e divertente.
L’intera vicenda, nel suo alternarsi tra racconto e rappresentazione, viene filmata in presa diretta (dalla mano ferma e dagli occhi curiosi di Marco Arbau) e proiettata a sua volta sul fondo del palco, conferendo al tutto un effetto cinematografico. Bellissima e interessantissima soluzione che offre un ulteriore livello di comunicazione.
Nel complesso, però, è un esperimento che non ho capito: non me ne è arrivata l’intenzione, lo scopo.
Tutto questo giocare coi diversi linguaggi espressivi, parole dette, parole fatte dire, immagini, canzoni, fiaba, poesia, creando una voluta narrazione disarticolata e commistione tra attori, personaggi e feticci, manca di una direzione chiara e tutto resta sospeso senza trovare compiutezza e un senso finale.
Il testo di Giacomo Sette è faticoso, oscuro a volte, e la regia di Gianluca Merolli, da me molto apprezzato come attore e regista, questa volta è eccessivamente carica di citazioni, riferimenti, simboli, immagini, che rendono pesante l’andamento generale, limitando il tutto ad una esibizione di stile più che a un’espressione di significato.
Alcune trovate sono geniali, alcuni spunti interessantissimi, ma troppi e non sviluppati fino in fondo.
Ophelìa, infatti, non supera il livello della autoreferenzialità: resta la presentazione di uno studio che, per quanto profondo, preciso, accurato, creativo e innovativo nella forma, resta interiorizzato nella stretta cerchia di autore/regista/attori che non riescono a dargli una potenza espressiva che possa dimostrarne una compiutezza e un senso agli occhi del pubblico.
In questo quadro di difficoltà espressiva e saturazione di immagini e simboli, spicca, però, l’interpretazione di Gaia Benassi nei panni della regina Gertrude. L’unica, Gaia, ad essersi riuscita a muovere perfettamente nella frammentazione della narrazione e ad aver saputo abbracciare completamente l’instabilità del proprio personaggio, rimanendo pienamente centrata e aderente ad esso dall’inizio alla fine.
Nonostante il titolo punti sul personaggio di Ofelia, è a Gertrude/Gaia che ho guardato tutto il tempo, riuscendo a seguire la narrazione ponendomi dal suo punto di vista, perché è l’unica che abbia saputo mantenersi dentro il personaggio comunicandone ogni sfumatura.
Una buona prova anche quella di Giulia Fiume nei panni di Ofelia: qui i limiti sono nella scrittura del personaggio che non restituisce tutto quello che era nelle intenzioni.
Bene Federico Le Pera nei panni di Fortebraccio: un personaggio che rompe il tono della tragedia per inserire elementi ironici, a volte comici, ma i cui inserimenti restano un po’ scollati dalla narrazione generale.
Giuliano Peparini si presenta preso e concentrato, ma, non essendo un attore, non resiste sulla lunga durata, regalando, però, bellissimi e intensi movimenti coreografici.
Nel complesso Ophelìa è un’occasione mancata.
Ophelìa
di Giacomo Sette
regia Gianluca Merolli
con Giulia Fiume, Federico Le Pera, Gaia Benassi
con la partecipazione straordinaria di Giuliano Peparini
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