rossi

Matteo 19,14

Lasciate che i bambini vengano a me

Teatro Cometa Off, 12 aprile 2016

LocandinaMatteo

Un testo di circa vent’anni fa, portato in scena allora e poi un’altra volta nel 2006 e poi più niente, lasciato in un cassetto, come si suol dire.

Poi quella telefonata di Riccardo Scarafoni e Veruska Rossi, diciamolo subito, grandissimi interpreti, a Lorenzo Gioielli, attore, regista e scrittore di talento, alla ricerca di un testo.

Allora, quel testo, forte e crudo, torna dal passato con un’attualità sconcertante, aprendo ferite e offrendo un profondo spunto alla riflessione morale.

Matteo 19,14 non è solo un testo, splendido, che racconta una storia, quanto l’avvio di una seria e grave questione morale e, quindi, filosofica.  La questione etica, posta al centro del dibattito, incontro e scontro tra i due protagonisti, è una delle questioni fondamentali della filosofia morale non solo moderna: cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e se l’uomo sia da considerare come un mezzo o come un fine.

Il fascino e la grandezza di questo testo, tra le altre cose, è quella di porre una questione all’attenzione del pubblico senza dare risposte, ma fornendo elementi di argomentazione validi e veri per entrambi i punti di vista, drammatici e tragici perché reali, perché la realtà è spesso più drammatica della fantasia e quando una storia tocca e sconvolge la coscienza, la tragicità è assoluta, forte e pungente, perché vera.

Forte di un determinismo assoluto, per cui il mondo è dominato dal caos, inteso come forza primigenia generatrice aperto a tutte le possibilità, da cui deriva il cosiddetto “effetto farfalla”, per cui “il battito di ali di una farfalla può scatenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza”, più semplicemente legato ad un discorso di azione e reazione, Matteo19,14 sonda il terreno del libero arbitrio, scevro di ogni misticismo, e della consapevolezza delle proprie azioni, conseguenze comprese, sollevando la domanda indiretta se la questione morale afferisca solamente alla coscienza individuale o, piuttosto, essendo l’individuo parte fondante della società, non si riversi, amplificata, nel mondo sociale.

Due sconosciuti si incontrano per caso. Il destino li rende antagonisti in un crudele gioco alla sopravvivenza. Devono solo scegliere cosa sono disposti a fare pur di raggiungere ognuno il proprio obiettivo. Trattandosi di un gioco di intrecci che si sveleranno solo alla fine, non voglio svelarvi la trama.

Riccardo Scarafoni e Veruska Rossi mettono in scena tutto di se stessi: verità e finzione, umanità e rappresentazione, dolore e trasporto. Impossibile fingere: essi stessi sono presi dal senso profondo del dramma che mettono in atto.

Straordinari, drammaticamente ed emotivamente coinvolti, incarnano (leggete lentamente queste parole e scandite le lettere, sentitele entrare dentro di voi) la paura, il dubbio, la disperazione, ma anche le certezze con  le quali motiviamo le nostre scelte e dietro le quali ci nascondiamo. Uccidere per sopravvivere; scegliere chi abbia maggiore dignità di vivere.

Lo spettacolo fila veloce e ricco di tensione per poco meno di un’ora trascinando lo spettatore in un vortice di pensieri e lasciandolo a fare i conti con la propria coscienza.

Riccardo e Veruska vivono, interpretano, mutano; la storia sembra uscire da loro stessi e prendere piede e piega con le loro parole, nelle loro espressioni e nei loro gesti. Riccardo colpisce per una capacità di trasfigurare: il suo volto cambia espressione e intensità a seconda delle emozioni che incarna; la faccia passa dal rassicurante all’aggressivo, dal compassionevole al cinico in una maniera sconvolgente. Non solo il viso cambia incredibilmente, ma il cranio stesso sembra modificarsi per accompagnare la trasformazione del personaggio e l’esacerbarsi dei sentimenti. Veruska colpisce per l’identificazione col personaggio, per il realismo e per quella forza che solo le donne hanno. Sembra quasi che attinga ad un dolore privato e lo porti alla sublimazione rendendolo funzionale alla trama.

Un testo, quello di Lorenzo Gioielli, vincitore nel 2004 del Premio “Gran Giallo Città di Cattolica” per il miglior racconto inedito dell’anno, pubblicato per la Mondadori, che, drammaturgicamente, disegna un cerchio perfetto: crudo, asciutto, ci presenta un uomo e una donna di fronte a se stessi, alla propria coscienza e alle responsabilità nei confronti del prossimo.

La narrazione parte in una direzione rimanendo aperta tutto il tempo ad imprevedibili e drammatici svolgimenti, mantenendo, però, continuità ed aprendo un ventaglio di emozioni forti e dolorose.

Un testo essenziale: non ci sono espressioni ridondanti o figure retoriche complesse; è diretto, limpido; un esempio di oratoria.

L’allestimento è curato nei dettagli e fortemente simbolico. Tre videowall trasmettono immagini di paesi e città in rovina a causa della guerra, della povertà e della fame, scene di bambini traditi, foto di farfalle di varie specie a ricordare quel battito d’ali.

La scenografia è caratterizzata dall’uso intenzionale e studiato dei colori, così come ci ha abituato nel tempo Riccardo Scarafoni, qui anche regista. Predominano, in immagini, oggetti e dettagli speculari, il verde e il viola:  il colore della rabbia. Così come mi ha fatto notare lo stesso regista, se facciamo riferimento ai fumetti, possiamo notare come il verde e il viola siano i colori coi quali viene rappresentata la rabbia: Hulk è verde e viola, il primo Joker di Batman anche.

C’è da aggiungere che il viola è anche il colore dei paramenti sacerdotali durante la Quaresima ed evoca la passione di Cristo.

La regia è rigorosa, essenziale e puntuale; il ritmo serrato non cala mai; si viene trasportati nelle pieghe di un dramma che muta mano a mano che si svolge, sorretto dalle grandi capacità attoriali e camaleontiche dei due protagonisti i cui personaggi mutano atteggiamento nel corso della storia.

Matteo 19,14 è un giallo che pone una domanda ben precisa, aprendo le porte ad una profonda e inquietante riflessione: quale crimine siete disposti a compiere per salvare chi amate?

Un esempio di Teatro che può essere definito civile, ma anche sociale e morale; un Teatro di cui si sente la mancanza.

Matteo 19,14. Lasciate che i bambini vengano a me

di Lorenzo Gioielli

Regia Riccardo Scarafoni

Scene: Emanuela Cignitti

Luci: Giacomo Cursi

Scenotecnica: TNT Srl

Costumi: Lisa Sorone

Aiuto Regia: Leonarda Imbornone

Foto e Video: Patrizio Cocco

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