La grande abbuffata

Teatro Basilica

02 marzo 2022

La grande abbuffata di Sinisi vuole essere metafora di una società contemporanea che fagocita tutto ciò che le capita a tiro, ingurgitando senza assaporare.

La grande abbuffata, spettacolo con la drammaturgia di Francesco Maria Asselta e Michele Sinisi e la regia dello stesso Sinisi, è il primo adattamento teatrale dell’omonimo film di Marco Ferreri del 1973, fischiato dalla critica a Cannes, ma molto apprezzato dal pubblico.

La grande abbuffata racconta la storia di quattro uomini che, annoiati dalla vita, decidono di suicidarsi mangiando fino alla morte, allestendo un rito orgiastico e dionisiaco che comprende cibo (poco) e sesso (tanto, ma insoddisfacente).

La grande abbuffata

In una cucina piuttosto asettica e attrezzata in maniera spartana, con un tavolo di acciaio tipo obitorio, quattro sedie sparse, un carrello con utensili e accessori e due fuochi a induzione, i quattro amici cominciano a cucinare e ad allestire il proprio rito di fine vita, tra discussioni goliardiche e prese in giro.

La necessità di alcuni di avere delle donne con cui fare sesso, li porterà a chiamare tre prostitute che faranno il loro ingresso dagli armadi di acciaio della cucina, simili a celle frigorifere che diventano, a loro volta, come le vetrine a luci rosse di Amsterdam.

Nude o mascherate da cameriere sexy, infermiere e majorette, le tre ragazze non riusciranno a far decollare la libido dei maschi che, sazi e saturi di cibo e di tutte le scorie mentali del mondo, si riveleranno impotenti di fronte a tanta opulenza oscena messa in mostra.

Poco a poco, pasto dopo pasto (immaginari), i quattro uomini cominceranno a morire, chi da solo in strada al gelo in sella ad una Vecchia Vespa (che sostituisce la Bugatti del film), chi per le diverse complicazioni dovute all’abbuffata.

La grande abbuffata

La grande abbuffata di Sinisi

vuole essere metafora di una società contemporanea che fagocita tutto ciò che le capita a tiro, ingurgitando senza assaporare.

Non si tratta solo di un discorso sulla ricchezza e opulenza capitalistica, oggi celata sotto il nome di progresso, ma di una fame insaziabile di informazioni, prodotti e fatti.

Siamo nell’era dell’informazione e della disinformazione che viaggiano attraverso molteplici canali fisici e virtuali. Ogni fatto, notizia, azione e opinione è vera e falsa allo stesso tempo, imposta e difesa in virtù di una libertà di pensiero e di parola sopravvalutate.

Non ci interessa più approfondire, conoscere, valutare, ma semplicemente vogliamo inglobare più dati e informazioni possibili in una corsa vorace come presi da una bulimia mediatica.

Anche il sesso è vissuto non più come reale impulso fisico, ma soddisfazione di fantasie mentali che possono apparire sconce o perverse, ma che in realtà sono una modalità di fuga dalla brutalità del mondo, in cui però l’uomo riversa la stessa smania di potere e controllo che lo guida nella vita quotidiana.

Non è più evasione, ma reiterazione di dinamiche sociali fatte di potere e sopraffazione, nella spasmodica ricerca di emozioni forti che possano stordire.

Il tentativo di tornare ad uno stato primitivo selvaggio per poter nuovamente sentire qualcosa è frustrato dall’impotenza di farsi attraversare dal momento orgiastico e volerlo controllare.

In scena quattro bravissimi attori: Stefano Braschi, Ninni Bruschetta, Gianni D’Addario, Donato Paternoster.

I loro personaggi, così come nel film, hanno i loro stessi nomi, a voler mantenere una continuità tra il fuori e il dentro, tra il palco e la vita.

La grande abbuffata di Asselta e Sinisi mette in moto un meccanismo di sovrabbondanza di segni e linguaggi diversi, espressivi e figurativi, in cui si innestano contributi di diverso tipo senza continuità.

Video, audio, riferimenti, citazioni letterarie e cinematografiche, immagini, luci, spot pubblicitari creano una massa informe di input che martellano la mente, ma si svuotano di significato.

L’osceno, l’esagerazione e l’esasperazione convivono a fianco della sola  cosa pulita che realmente ancora resiste fino alla fine, l’amicizia di questi quattro uomini che decidono di andare verso un comune destino.

Un momento di tenerezza, forse anche consolazione, è dato dal personaggio della maestra, giunta lì per caso e poi tornata per accompagnare uno dei quattro verso la fine e ottimamente interpretata da Adele Tirante che gioca con note liriche e movenze da burlesque.

Viene, però, da considerare che ciò che prima sconvolgeva nella società borghese oggi è diventato quotidiano e non sconcerta più o non nello stesso modo.

La grande abbuffata

Le immagini suscitate dallo spettacolo, forti, piccanti, sicuramente disturbanti, non hanno nulla di realmente osceno e la bulimia di informazioni non è poi così messa in rilievo come ci si aspetterebbe leggendo le note di regia.

Osceno, piuttosto, è il senso generale; sconcertante certo nella sua globalità per ciò che rappresenta, ma non per come lo rappresenta.

Sicuramente suscita un senso di sgradevolezza, anche sensoriale, con lo scalogno che friggendo satura l’aria del suo odore o con il video in apertura del maiale stordito con una martellata.

Eppure, nella sovrabbondanza di segni e messaggi, non si avverte una potenza veramente destabilizzante in senso stretto, quanto, piuttosto, in senso lato, per quel senso continuo di disturbo.

Qui sta poi ad ognuno, in base al proprio modo e gusto, interpretare quali reazioni questo carattere disturbante possa provocare.

Per chi scrive, anche questa, come ogni grande abbuffata, alla fine resta un po’ sullo stomaco e disturba il sonno con degli incubi.

LA GRANDE ABBUFFATA

Dall’omonimo film di Marco Ferreri

Drammaturgia Francesco Maria Asselta, Michele Sinisi

Regia Michele Sinisi 

Scenografia Federico Biancalani

Disegno luci Ivan Dimitri Pilogallo

Con Stefano Braschi, Ninni Bruschetta, Gianni D’Addario, Sara Drago, Marisa Grimaldo, Stefania Medri, Donato Paternoster, Adele Tirante

Direzione tecnica Rossano Siragusano

Aiuto regia Nicolò Valandro

Produzione Elsinor centro di produzione teatrale, Teatro Metastasio di Prato

Foto di Luca Del Pia

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