Basterebbe il nome: Jesus Christ Superstar.
Basterebbe…o forse no…non si può tacere l’enorme spettacolarità di questo musical approdato a Roma per festeggiare il ventesimo anniversario dell’adattamento italiano della più grande opera rock di sempre firmata da Andrew Lloyd Webber e Tim Rice.
Per questa esaltante occasione Massimo Romeo Piparo, il regista, porta sul palco, per la prima volta in Europa, il Gesù originale del celebre film del 1973: Ted Neeley.
Prodotto dalla Peep Arrow Entertainment, coreografie di Roberto Croce, Direzione musicale di Emanuele Friello, scene di Giancarlo Muselli, costumi di Cecilia Betona, un’orchestra dal vivo diretta da un veterano dei musical italiani, il Maestro Emanuele Friello, la versione portata in scena è memorabile e passerà alla storia.
Non avrei potuto perderlo per nulla al mondo, anzi, ho assistito a ben due repliche! Due repliche diverse per molti aspetti.
A Roma, infatti, al Teatro Sistina, abbiamo avuto la fortuna di vedere portato in scena questo insuperabile musical con due cast in parte differenti.
Partiamo dalla prima replica a cui ho assistito, il 20 maggio 2014.
Ted Neeley è un mostro sacro. All’età di 71 anni (!!!) ha ancora una voce potente e penetrante. Muove dal sussurro al falsetto, passando per il grido disperato con un’energia e una grinta straordinari.
Insieme al fantastico Ted Neeley nei panni di Gesù, la band dei Negrita: è la prima volta che una rock band italiana è protagonista di un musical! Inoltre, il mitico Paolo Bruni, in arte Pau, frontman del gruppo, ha vestito i panni di Pilato.
Un’interpretazione grandiosa, che forse ha stupito chi pensava non potesse esserci sintonia tra una rock band e uno spettacolo sulla passione di Gesù, ma Jesus Christ Superstar è un’opera rock e la scelta si è rivelata azzeccatissima. Pau, aiutato anche dalla sua grande altezza e dal suo bel particolare viso, ha interpretato un Pilato che lascia il segno (particolarità: ha sempre indossato gli occhiali da sole).
Giuda è l’esordiente Feysal Bonciani, fiorentino, classe 1990 scelto da Massimo Romeo Piparo e Ted Neeley tra oltre cinquecento candidati. Oltre che per la somiglianza al protagonista originale Carl Anderson, Feysal ha inchiodato tutti alle poltrone per capacità ed estensione vocali, per la fluidità nei movimenti e per l’interpretazione drammatica.
La splendida e talentuosa Simona Molinari ha vestito i panni di Maria Maddalena; volto delicato, presenza incantevole, ha una capacità di modulare la voce davvero fantastica. Ha portato lo spettatore dentro il proprio cuore; abbiamo vissuto affetti e turbamenti ogni volta senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso perchè attratti dal magnetismo della sua voce.
Shel Shapiro ha interpretato il cattivo Caifa caratterizzandolo con dei movimenti particolari, divertenti, ironici, anche lui emozionando con la sua voce.
Paride Acacia, lo storico Gesù della versione italiana del musical, ha interpretato un grande Hannas: cattivo, sguardo spietato, voce che passa dal grave al falsetto con una disinvoltura impressionante, mi ha lasciato senza parole. Una grandissima scoperta per me il suo talento!
Altra grande scoperta, un “amore a prima vista” è stato Emiliano Geppetti, qui nei panni di Simone. Che dire? Anche lui, una voce particolarissima, un mostro del palcoscenico; grinta, carattere, espressività. In un attimo è diventato uno dei miei performer preferiti!
Altra bella scoperta, il giovane Riccardo Sinisi nei panni di Pietro: bella voce, buon movimento, bella interpretazione.
Infine, Salvador Axel Torrisi è Erode: pazzo, visionario, rappresentato con un abito eccessivamente pomposo, sembra il joker delle carte, circondato da un entourage di burattini e marionette anch’essi travestiti e da balocchi.
Poi un ensemble di tantissimi ballerini (credo 24), acrobati, mangiafuoco, trampolieri.
Che dire? La storia la conosciamo tutti, non sto qui a raccontarla. Il cast è spettacolare, le voci superbe, si incastrano benissimo tra di loro. L’orchestra è sul palco, su una pedana girevole ed entra in scena ripetutamente, tra colonne di templi che a volte “prendono fuoco”. A destra del palco, dei gradoni che nascondono alcune botole da cui attori e ballerini compaiono e scompaiono. Intorno delle impalcature: il palco è piccolo per contenere tutti, così sono stati creati dei livelli in altezza dove a volte la scena si sposta e dove ballerini e attori si muovono e ballano.
Poi un videowall su cui passano riferimenti biblici e immagini volutamente sgranate.
Tra le scene più toccanti quella in cui i miserabili della Terra, i poveri, i diseredati, gli emarginati, i malati accorrono verso Gesù che resta sopraffatto da tanto dolore e da tanta miseria e sembra non saperne contenere così tanta nel suo cuore chiedendo al Padre perchè e implorando aiuto. In questa scena, dal soffitto pendono funi con teste mozzate e i ballerini che interpretano questi miserabili indossano una maschera che rappresenta sommariamente un volto (i lineamenti non sono delineati, ci sono solo i buchi per gli occhi, la bocca è accennata) messa al contrario ossia dietro la nuca. Come se questi esseri camminassero col corpo girato totalmente rispetto al volto: la scena così rappresentata, trasmette, un’ansia, un dolore che sono tangibili; angoscia e miseria.
Altra bellissima scena, di altro valore, è quella in cui Gesù/Ted Neeley canta su una passerella che piano piano si allunga fino alla prima fila di poltrone della platea. Gesù è lì, è lì con noi, tra noi. Gesù è uno di noi e si interroga, fa domande al Padre suo, non capisce il perchè di tanto dolore e non si sente pronto ad affrontare tutto questo. Gesù è un uomo, uomo in mezzo agli uomini, povero tra i poveri.
Alla fine di tutto, Giuda, ormai morto, fa il suo ingresso in sala vestito di bianco (un po’ Elvis, un po’ Las Vegas). Parte un video in cui lo si vede cantare fuori dal teatro, poi entra in scena, insieme a Gesù, mentre sullo schermo vengono proiettate immagini di tante nefandezze umane: la bomba atomica, il nazismo, i bambini che muoiono di fame in Africa….come a far entrare il presente in sala, a urlare a tutti che ancora c’è tantissimo da fare, che l’odio, la guerra, la fame, la carestia, la povertà, la malvagità, l’egoismo, la brama di potere sono ancora mali attualissimi e stanno uccidendo la nostra umanità e che c’è ancora e sempre bisogno di Gesù tra noi, ma, soprattutto, dentro di noi.
Ferme restando tutte le considerazioni sullo spettacolo in generale (scene, messaggi, valori, soluzioni stilistiche), passo a raccontarvi della replica del 7 giugno. A seguito di un parziale cambio di cast è doveroso rendere i meriti agli altri protagonisti.
Nei panni di Caifa troviamo Marco Fumarola, voce profonda, caratterizza diversamente il suo personaggio. Shel Shapiro lo aveva reso un uomo con dei gesti rituali, quasi a darne un’idea di insicurezza; il Caifa di Marco, invece, è duro, aspro, senza sfumature.
Gloria Miele è Maria Maddalena; molto diversa dalla Molinari, un paragone non sarebbe corretto, perché differenti nel timbro e nel registro. Comunque molto convincente, mi è sembrato desse un’interpretazione di una Maria Maddalena più insicura, più timorosa. La Maddalena della Molinari mi è sembrata più decisa e più donna. Attenzione non parlo delle due attrici/cantanti entrambe bravissime, ma della caratterizzazione che hanno dato del loro personaggio.
In questa secondo giro di repliche, Emiliano Geppetti passa dal ruolo di Simone a quello di Pilato ed è questo il motivo per il quale sono voluto tornare a teatro a vedere lo spettacolo; ero rimasto troppo folgorato dal talento di questo ragazzo. Anche qui, nessun confronto con Pau, semmai col suo Pilato. Emiliano convince totalmente. Il suo Pilato ha spessore, è crudele, indeciso, combattuto, ironico, incredulo, prova pietà per Gesù, è tante cose insieme ed Emiliano riesce a passare da un’espressione all’altra, da uno stato d’animo all’altro proiettando ogni emozione sul pubblico.
Riccardo Sinisi, presente anche nella versione precedente, qui interpreta sia Simone che Pietro: cosa dire? Bravo! Un doppio ruolo, un doppio impegno, un doppio applauso.
Cambiata la band, anch’essa si è difesa molto bene: in particolare un encomio va al chitarrista Andrea Inglese.
Per entrambe le versioni a cui ho assistito è stato un tripudio di pubblico: applausi a scena aperta, standing ovation finale lunghissima. Non senza ragione. Lo spettacolo parla da sè e le interpretazioni di questi grandi artisti hanno reso tutto perfetto, magico, avvincente.
Un’ultima nota vorrei dedicarla all’incontro con Ted Neeley: la lunga attesa per conoscerlo è stata ampiamente ripagata.
Ted è un uomo semplice, umile, mite. Era lui a ringraziare il pubblico per essere stato presente; chiedeva a tutti come stessero ed era curioso di sentire le storie personali legate al musical che ognuno aveva da raccontare. Ha dispensato parole dolci e umili con tono pacato e pacifico. Mi abbracciava e ringraziava in continuazione per quello che gli dicevo.
Ho avuto un’opportunità straordinaria a poter assistere a questo spettacolo con lui, mito indiscusso, e con il resto del cast davvero strepitoso.
Leave a Comment