Recensione di Carlo Tomeo

foto carlo

“Moby Dick” è  uno dei romanzi più noti della letteratura americana dell’Ottocento perché, al di là della sua trama nuda e cruda, da tutti conosciuta (se non altro perché, a ciascuno di noi, pur non avendo letto il romanzo, sarà capitato di vedere almeno uno dei sette film più due miniserie americane) è anche uno dei romanzi più studiati per la sua particolarità di scrittura: il racconto del capitano Achab, cui una balena bianca (che il capitano chiama Moby Dick) aveva staccato una gamba mentre l’uomo cercava di catturarla, è così ricco di digressioni, simboli e considerazioni filosofiche, scientifiche e religiose da farlo diventare un nuovo modo narrativo della letteratura, un poco (al di là delle tematiche) come successe con L’Ulisse di Joyce o il noveau roman francese che nacque agli inizi degli anni 50 del secolo scorso.

Corrado d’Elia non si è voluto sottrarre a dare la sua versione del romanzo, ne ha voluto fare una sua sceneggiatura fatta a monologo  (che andrà ad arricchire la serie dei suoi album) e l’ha messa in scena per la prima volta il 5 giugno.

Come d’abitudine nella serie degli album egli è il mattatore unico della scena, ridotta all’essenziale ma ricca di simboli: la sabbia sul pavimento che richiama il mare, una serie di cannocchiali che si allungano per poter vedere meglio il lontano dove potrebbe trovarsi Moby Dick, una zattera che funge da nave, un sedile dove l’attore rimane seduto durante la recitazione: il suo navigare sulla baleniera Pequod non è più finalizzato a catturare balene e capodogli ma a cercare la sua nemica  che gli ha amputato la gamba. La sua è brama di vendetta, che diventa sempre più ossessiva, ma che invece non avrebbe ragione d’essere, perché l’animale che l’ha ferito lo ha fatto per difesa: è nella natura delle cose. Quindi ora la sua lotta è contro la natura e non potrà che essere quest’ultima la vincente.

Il monologo di d’Elia è la narrazione del romanzo, è diviso per capitoli di diversa lunghezza, alcuni si potrebbero definire paragrafi, data la loro brevità, e a fare da intermezzo tra un capitolo e l’altro, ci sono poche note della musica di una suite che si è ascoltata per intera prima dell’inizio del  monologo.

Il testo teatrale, come il libro, è pieno di simboli che vanno interpretati: il più immediato è costituito dal tema della lotta dell’uomo contro la natura e della sua smania di andare sempre più lontano per conoscere sempre di più deturpando però le dinamiche della natura stessa che alla fine le si rivolterà contro. L’uomo, che vuole essere padrone assoluto su tutto, non si accorge che in realtà riduce la sua statura mentale di essere umano. L’impoverimento dello spirito è ravvisabile proprio da quella che dovrebbe essere una nave (la Pequod) che è invece rappresentata da una zattera, dove si avverte il declassamento dell’animo umano.

Il titolo stesso è denso di significato e ciascun spettatore può farsi la propria idea. Perché “Moby Dick” diventa “Io, Moby Dick” se poi a raccontare è il capitano Achab?  È forse l’ammissione di aver capito di essere il meno forte e quindi quell’”io” iniziale sta a significare il desiderio di sostituirsi alla balena in quanto, più o meno inconsciamente, sa che è lei la più forte? Come dire che l’uomo non vuole più chiamarsi Achab ma vuole essere Moby Dick e la ricerca dell’annientamento dell’animale è il fine che  intende perseguire per la nuova affermazione del sé.

Bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: nella stagione artistica che sta terminando ho visto tre monologhi di Corrado d’Elia. “Io, Moby Dick” è il terzo e l’attore si è dimostrato ancora una volta il grande istrione che conosciamo,

infondendo nei suoi soliloqui passione e poesia senza risparmiarsi e calamitando l’attenzione del pubblico dall’inizio alla fine.

Bellissima la parte musicale che fa da prologo, quasi una ouverture d’opera lirica. Peccato solo che gli stacchi tra un capitolo e l’altro siano costituiti da una sola frase musicale, sempre la stessa, peraltro troppo breve da pensarla come un leitmotiv.

Teatro pieno e numerose chiamate alla prima nazionale.

 

Io, Moby Dick

progetto e regia di Corrado d’Elia

liberamente ispirato a Moby Dick di Hermann Melville

con Corrado d’Elia

assistente alla regia  Federica D’Angelo

ideazione scenica e grafica  Chiara Salvucci

luci  Marco Meola

audio  Gabriele Copes

foto di scena  Angelo Redaelli

collaborazione alle ricerche bibliografiche  Alessandro Sgamma

produzione Compagnia Corrado d’Elia

Nuova produzione

 

Spettacolo sostenuto da Regione Lombardia nell’ambito del

Progetto “Next – Laboratorio delle idee” Edizione 2016/2017

 

Si ringrazia Sara Bosco dell’ufficio stampa

 

in scena al Teatro Litta di Milano fino al 17 giugno.

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