
Dignità Autonome di Prostituzione è uno spettacolo di Luciano Melchionna, nato dal format di Betta Cianchini e Luciano Melchionna, assolutamente innovativo.
E’, infatti, la prima Casa chiusa dell’Arte al mondo, dove gli attori sono alla mercé degli spettatori, ma protetti dalle regole della Casa. In vestaglia o giacca da camera, adescano e si lasciano adescare dai clienti/spettatori che contrattano il prezzo delle prestazioni, pagando con dei dollarini consegnati all’ingresso.
Il sottotitolo dello spettacolo, infatti, è Paghi prima e dopo se ti è piaciuto. Conclusa la trattativa, l’attore porta i clienti nel luogo in cui fornirà la propria Pillola di Piacere Teatrale: un monologo di teatro classico o contemporaneo volto a divertire, far riflettere e comunque emozionare lo spettatore.
Un’idea geniale e innovativa che, tra le altre cose, vuole sottolineare la necessità dell’attore di prostituirsi per vendere la propria arte vista la situazione di gravissima crisi in cui versa il settore in Italia da anni.
Lo spettacolo e la regia sono del grandissimo Luciano Melchionna, con il quale ho avuto l’onore e il piacere di confrontarmi più volte.
In vista delle prossime date di Dignità Autonome di Prostituzione a Firenze, al Teatro Obihall dal 13 al 15 gennaio 2017, ho voluto intervistare Luciano per farvi conoscere meglio cosa c’è dietro a questo meraviglioso spettacolo di arti varie, scoprire le novità dell’edizione di Firenze e cercare di svelare un po’ chi è Luciano Melchionna.
Luciano, Dignità Autonome di Prostituzione è uno spettacolo unico nel suo genere, che muove un enorme numero di artisti. Quanti sono?
I provini fatti su Firenze sono stati molto belli. Ho riscontrato un livello alto, trovando attori molto preparati e interessanti. Tra questi ne ho scelti sette dopo un provino bello e accurato come sono solito fare. Già questo è un primo passo per ridare valore a quest’arte così bistrattata. Da dieci anni a questa parte, ogni volta che faccio una sessione di provini, suddivido gli attori dando orari precisi che cerco il più possibile di rispettare, anche se mi affido moltissimo al momento. Do ad ogni artista almeno trenta minuti, ma normalmente sono anche quarantacinque. Mi sembra il minimo: come fai a stabilire la stoffa di un artista, il suo valore dal punto di vista non solo tecnico artistico, ma anche umano, in cinque minuti? Arrivare, fare il pezzo e salutarli per me è inconcepibile, credo sia una mancanza totale di rispetto. Io devo capire se mi trovo bene con loro, ma è fondamentale che anche loro capiscano se si trovano bene con me. Quando arriverà il momento delle prove, il rapporto sarà a due, quindi è fondamentale che anche l’artista stia bene e si fidi di chi ha davanti.
Anche perché DAdP è uno spettacolo fuori da ogni regola e genere. Coinvolge una serie di relazioni: attore e regista, attore e testo e tra gli attori stessi. Dignità coinvolge in un rapporto globale perché è uno spettacolo che comprende musica, intrattenimento, monologhi drammatici di altissimo spessore letterario: si deve creare, quindi, una forte sinergia forte tra gli attori e tra loro e te, che non sei solo regista.
Poi, secondo me, sei pure uno severo. D’altronde per far sì che le cose vadano bene, si deve essere severi.
A proposito della mia severità , io ripeto sempre ai miei attori che sono uno all’antica. A volte ridacchiano, specialmente i più giovani, dicendomi che lo ripeto spesso e io rispondo che non l’ho mai detto abbastanza, rispetto a quello che poi vivranno, perché io devo sentire la disciplina, un rispetto per la sacralità del nostro lavoro, rispetto per il pubblico, per i colleghi, per il regista. E poi devi tenere le briglie e per farlo devi assumere un atteggiamento da leader: si devono fidare, non devi sbagliare scelte o trascinarli dentro dinamiche contraddittorie. Volevo aggiungere che mi piace moltissimo quello che hai detto rispetto al progetto di Dignità: quei provini di cui ti parlavo sono alla base del mio lavoro in assoluto. Per esempio per Parenti Serpenti, lo spettacolo con Lello Arena che adesso è in tournée e arriverà a Napoli a fine gennaio e ha vinto il premio Camera di Commercio delle Riviere di Liguria 2017 come miglior spettacolo al Festival di Borgio Verezzi, avevo un centinaio di attori nella mia scuderia, però mi sono imposto con la produzione e ho provinato i miei più quelli che non conoscevo e ho preso tre artisti con i quali non avevo ancora mai lavorato.
Anche se a te, ormai, basterebbero cinque minuti per capire un attore.
Il mio motto è: fino in fondo. Mi prendono in giro per questo. Mi piace muovermi in ambiti in cui si possa andare fino in fondo. Da un attore non voglio che ci giri intorno, voglio che vada dentro ad afferrare nelle viscere tutto quello che può darmi, collegandolo al cervello, mantenendo uno sguardo da attore che sappia prendere anche le distanze. Non amo gli attori che scimmiottano, che sfiorano. Immaginati la complessità in scena. Tutto questo deve avvenire per Dignità in una stanzetta di un metro. Non è così semplice.
Ecco perché i tuoi attori restituiscono al pubblico tutto fino in fondo comunicando tantissimo con interpretazione, gestualità, sguardo e intensità. Un complesso di elementi alchemici fantastici eppure umani.
Dignità è uno spettacolo pieno, fatto di tantissimi elementi. E’ un bellissimo circo ricco di attrazioni. Lo spettacolo comincia già dall’ingresso, dove si viene accolti e si spiegano le regole del bordello; c’è poi la musica; ci sono momenti di impegno sociale e politico; poi i monologhi in giro per i vari spazi a disposizione; infine si ritorna tutti insieme e c’è musica e divertimento. Una delle parti preponderanti sono i monologhi nella stragrande maggioranza scritti da te.
Quasi sempre parto da una mia riflessione sul contesto attuale e su ciò che mi ha colpito di più in quel momento storico e su cui ho voglia di riflettere, dopodiché dentro le stanze mi piace raccontare questi enormi dolori, le umane perversioni, le malattie dell’anima… affinché siano in qualche modo purificate, attraverso la catarsi, tant’è che dentro le stanze si ricrea quel teatro se vuoi ‘classico’, dove l’attore è da una parte e lo spettatore dall’altra. Io voglio anche quello. Mentre nelle stanze si svolgono i monologhi, fuori continua l’intrattenimento. Alla fine, poi, mi piace stemperare tutto in una enorme ‘festa della vita’, perché durante tutto lo spettacolo si sono creati i rapporti tra gli attori e gli spettatori, ma, soprattutto e meravigliosamente, tra gli spettatori stessi che a quel punto giocano tutti insieme senza più inibizioni.
Ascoltando i monologhi si legge tanta umanità di diverso genere. Vengono affrontate tantissime tematiche profonde, drammatiche, crudeli, molto forti, però c’è un modo di raccontarle che è profondamente intimo , sembrano tutte storie vissute personalmente. Luciano Melchionna, quante vite hai vissuto?
Ti dico, in sincerità, che di autobiografico in senso stretto c’è solo un monologo e non ti svelerò quale. E’completamente autobiografico, ma trascritto nella mia testa con la volontà precisa di renderlo il più possibile universale, per la necessità di condividere una mia esperienza con gli altri, affinché servisse come monito. Magari poi dirò di quale monologo si tratta. Anzi lanciamo un gioco: scopri qual è il monologo autobiografico di Melchionna! I monologhi mi nascono da mille spunti, da qualcosa che può essermi accaduto e su cui invento una storia. Ti risponderei alla Dante: I’mi son un che, quandoAmor mi spira, noto, e a quel modo ch’è ditta dentro vo significando. Tutto quello che mi passa attraverso cuore e anima diventa mio e cerco di raccontarlo. Per esempio, Il tra le pietre. Sto per raccontarti una cosa che non ho mai detto. Ho beccato un pazzo per strada. Avevo fatto un piccolo passo falso con il motorino e mi ero scusato, e questo mi ha tirato un pugno in piena faccia: uno shock. Dieci giorni dopo, ancora traumatizzato, dovevo assolutamente esorcizzare la mia esperienza e fare in modo che servisse. Però, non mi è venuto di raccontarla dal mio punto di vista, ma dal suo. Per cui ho cominciato a scrivere quello che poteva essere accaduto a lui e intorno a lui ed è diventato un monologo sul femminicidio alla rovescia. La reazione mi ha scatenato una profonda riflessione: e tutto ciò che apre la mente aiuta sia le vittime che i carnefici, e sappiamo quanto i confini siano labili tra i due ruoli.
I tuoi monologhi hanno sempre una acutezza, profondità e anche crudeltà, quando necessario, incredibile, molto vive ed efficaci.
Nella versione scorsa di DAdP a Bari, lo spettacolo era dedicato a Shakespeare.
Cosa dobbiamo aspettarci a Firenze?
Sono entrato in crisi, mi chiedevo cosa potessi raccontare. Non volevo potesse diventare una sterile esibizione di stile. Così, ho scritto alcuni pezzi nuovi e presi degli altri miei storici, e ho provato a usare come liquido di contrasto i testi di Shakespeare più calzanti o inerenti l’argomento trattato di volta in volta. I classici li abbiamo ormai nel DNA. A quel punto è risultato chiarissimo cosa lasciare di mio e cosa citare del Bardo. È stata un’esperienza meravigliosa: i miei monologhi hanno preso il volo, valorizzati dalla presenza del Poeta qua e là. Qualcosa del lavoro portato a Bari è rimasto e lo porterò con me a Firenze. Avendo sette artisti nuovi ci saranno, poi, dei cavalli di battaglia riveduti e corretti e pezzi inediti. Non monto i monologhi addosso ad attori diversi allo stesso modo: ascolto l’attore che ho davanti. Ci saranno molte sorprese, come al solito. Anche l’inizio è nuovo, e lo amo molto… inquietante e toccante, anche grazie ai miei artisti che lo fanno vibrare in quel modo.
E Lia? Chi sarà?
Foto di Nina Borrelli
Parliamo un attimo del tuo ultimo lavoro. Parenti Serpenti che sarà in scena a Napoli dal 26 al 29 gennaio 2017.
Mi sono molto divertito: questa volta, come spesso mi accade fuori da DAdP, ho usato un impianto classico, ma con delle belle sorprese. E’ uno spettacolo bellissimo, ne sono innamorato. Mentre ci lavoravo, ho avuto un immagine forte: un presepe nelle campane napoletane, campane meravigliose della tradizione storica napoletana di vetro al cui interno ci sono tutti i personaggi. Ho chiesto allo scenografo, lo straordinario Roberto Crea, di mettermi in scena un pezzetto di presepe, simbolo del Natale, del volersi bene ‘a tutti i costi’, dell’amore, della purificazione, con questi personaggi che diventano quasi pastori che si aggirano in questo piccolo presepe sul supporto della campana di vetro che ruota su se stesso e crea mille punti di vista. E’ un incastro bellissimo e per gli attori una gran fatica che però li lascia sempre molto carichi, una fatica che restituisce. Il pubblico ne è rimasto entusiasta. Come sempre, mi sono permesso di andare fino in fondo. Si ride tanto, ma c’è anche qualche graffio, spunto di riflessione profonda, con un Lello Arena straordinario in una versione agrodolce, assai potente. Inoltre un cast strepitoso, con una Giorgia Trasselli meravigliosa. I costumi sono di Milla, la mia costumista che ha una creatività al di fuori del mondo; le musiche degli Stag, che sono un gruppo incredibilmente versatile e che amo; le luci poetiche di Salvatore Palladino. La produzione è Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro, una produzione che dimostra grande dedizione all’ascolto dell’arte e degli artisti. A marzo, poi, al Piccolo Bellini andrà in scena L’amore per le cose assenti, uno spettacolo scritto e diretto da me. Ha debuttato l’anno scorso al Festival di Benevento, ha fatto poi qualche data sold out al Teatro Nuovo di Napoli e ora lo hanno voluto al Piccolo Bellini. Una vera vivisezione dell’amore e in particolare del rapporto di coppia, in chiave ironica, esilarante a tratti, e poi drammaticamente emozionante.
Ringrazio tantissimo Luciano Melchionna per la grande disponibilità e averci raccontato tutte queste cose su un meraviglioso spettacolo come Dignità svelandoci anche qualcosa di suo, di intimo.
Non vi resta altro che prenotare il vostro biglietto per l’Obihall di Firenze dal 13 al 15 gennaio organizzando, come me, una piacevole trasferta. Non lasciatevi sfuggire questa ghiotta occasione!
Foto di Luca Brunetti
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