lo straniero

Lo straniero di Camus

Teatro Studio Uno

19/11/2017

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È difficile rendere interessante l’apatia a teatro. Ci riescono efficacemente il regista Lorenzo De Liberato e i bravissimi attori Marco Usai, Tiziano Caputo, Agnese Fallongo, Mario Russo, portando in scena un libero adattamento, opera dello stesso De Liberato, del romanzo di Camus, Lo straniero, divenuto uno dei simboli dell’esistenzialismo francese, dell’estraneità dell’uomo a se stesso e al mondo.

Il protagonista della storia, Meursault è un uomo indifferente agli accadimenti della vita, che gli accidenti non sconvolgono né toccano. È un uomo che vive nella più completa indifferenza dei sentimenti, ma non ne soffre, conducendo senza trasporto una vita ordinaria al di fuori di accenti sentimentali, incapace di instaurare relazioni profonde con le persone con cui entra in contatto.  Anche quando la madre, ospite in un ospizio, muore, egli non prova tristezza né versa lacrime. Fuma e beve caffellatte vivendo l’evento come un fatto naturale, simbolo di un percorso giunto a compimento. Vive senza trasporto, ma non per questo infelicemente, anche il rapporto con Maria, ragazza che ha cominciato a frequentare il giorno dopo la morte della madre.

Senza sapere perché si ritroverà ad uccidere un uomo e affronterà il carcere e il processo con una fredda lucidità priva di affezione, senza provare alcun rimorso, rinunciando ad ogni possibilità di difesa, ad ogni consolazione fideistica, accettando come normale conseguenza del suo gesto la condanna a morte.

Intorno a Meursault, uomo dall’aria mite e pacata e dall’animo imperturbabile, interpretato dal bravo Marco Usai, con un buon equilibrio tra distacco e inconsapevolezza ed un’ottima gestione dell’ espressività, si muovono una serie di personaggi che conducono una vita a volte misera, ma agitata dalle emozioni. La figura di Meursault è statica, un perno fisso e indifferente al resto del mondo che gli ruota intorno e che vive nei personaggi che vengono rappresentati, con ottime caratterizzazioni ogni volta diverse nella voce e negli atteggiamenti,  dagli altri tre protagonisti dello spettacolo.

In uno spazio piccolo, minimalista, in una scenografia composta solo da quattro sedie e da pochi capi di vestiario appesi a chiodi alle pareti e utilizzati all’occorrenza, vediamo scorrere la vita del protagonista attraverso le relazioni con le persone con cui entra in contatto, senza riuscire mai a instaurare una vera relazione, senza mai averne nemmeno l’intenzione: il direttore dell’ospizio; l’operatore di obitorio; l’impiegata delle pompe funebri; due amici anziani della mamma; un’infermiera; Maria, la collega; il vecchio Salamano, vicino di pianerottolo; l’altro vicino, il magazziniere violento Raimondo; il poliziotto; gli avvocati e il giudice.

In un lento e quasi calcolato progredire ogni istante scenico aggiunge senso al precedente. Il racconto è in prima persona, come se si svolgesse nella testa di Meursault, e Usai è bravissimo nel passare ogni volta dall’io narrante all’io narrato. Ad ogni passo si accenna a un elemento di senso che viene poi ripreso e a cui viene aggiunto altro nel procedere naturale della narrazione.

Meursault così fornisce, anche attraverso l’uso di un’ironia beffarda, il proprio punto di vista sull’inutilità del senso di colpa, sull’abitudine (“ci si abitua a tutto, anche al carcere(…); una cosa vale l’altra: amare/non amare, sposare/non sposare, sparare/non sparare”). Tutto è indifferente. Il protagonista sembra riconoscere una differenza di senso solo nella vecchiaia: “la vera malattia è la vecchiaia: da quella non si guarisce”, ma anche questa viene accettata come ineludibile e come un evento  al quale arrendersi.

Solo per un attimo pensiamo di intravedere un cedimento sentimentale nel protagonista, colpito dall’amore totale di Maria che lo accetta per quello che è, che conosce la sua apatia e riesce ad accettarla, a leggere in essa un amore che Meursault non sa esprimere perché non ha mai saputo cosa fosse. Alla fine, sarà l’unica persona che gli mancherà prima di morire, chissà se per amore, per solitudine o per abitudine.

Eppure Meursault vive la sua reclusione e la sua condanna con indifferenza: “non si è mai del tutto infelici. Un nuovo giorno si colora sempre nella cella”.

Meursault è l’uomo sopraffatto dalla vita; è un uomo estraneo a se stesso e al mondo. Un uomo rassegnato alla vita intesa come flusso di eventi in cui ogni cosa accade perché è inevitabile che accada, perché l’uomo non ha potere su un’esistenza insensata e assurda e, quindi, non può provare nemmeno senso di colpa per le azioni che compie. Lo stesso processo che gli viene intentato è più un processo alla sua indifferenza nei confronti dell’omicidio commesso, alla sua indifferenza verso le emozioni, alla sua lontananza dal mondo. Un processo, che, nel suo evolversi, mette in luce l’indifferenza del mondo verso l’individuo. Perché il singolo è straniero oltre che a se stesso, all’universo tutto, immerso in una solitudine incolmabile.

Interessante e suggestiva la messa in scena che vede al centro Usai/Meursault e gli altri protagonisti muoversi intorno a lui, entrare in contatto, ma non riuscire mai ad accedere alla sua solitudine. Il contrasto tra il personaggio di Meursault e gli altri è accentuato dalla continua girandola di vite che lo circondano e tentano di coinvolgerlo nei loro affari. In questo sono bravissimi i protagonisti nel rappresentare un movimento circolare di storie in contrapposizione alla fermezza e alla freddezza disarmante del protagonista.

Pur raccontando l’apatia e la solitudine del protagonista, lo spettacolo possiede una sua ritmicità che ne rende agevole e gradevole la fruizione da parte del pubblico.

Il compito di dare ritmo alla rappresentazione, non potendo per evidenti caratteristiche drammaturgiche essere assegnato al personaggio centrale, viene affidato agli altri protagonisti e realizzato attraverso musiche e brani arrangiati ed eseguiti dal vivo a cappella dagli stessi attori Tiziano Caputo, Agnese Fallongo e Mario Russo, che creano un sottofondo musicale ironico e delicato che accompagna lo spettatore in un percorso intimo e ricco di suggestione.

 

Lo straniero di Camus

adattamento e regia Lorenzo De Liberato

con Marco Usai, Tiziano Caputo, Agnese Fallongo, Mario Russo

assistente alla regia Lorenzo Garufo

Musiche arrangiate ed eseguite dal vivo da Tiziano Caputo, Agnese Fallongo, Mario Russo

Foto di Gaia Recchia

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