
Teatro documento sull’omicidio di Luca Varani
Off/Off Theatre
6 novembre 2017
E’ in scena fino all’8 novembre 2017, nel nuovissimo e raffinato spazio di Via Giulia a Roma, l’Off/Off Theatre,L’effetto che fa, lo spettacolo teatrale scritto e diretto da Giovanni Franci che racconta con precisione, realismo e taglio giornalistico uno dei più atroci delitti avvenuti a Roma negli ultimi anni, l’omicidio di Luca Varani.
L’effetto che fa è indubbiamente uno spettacolo necessario che assolve alla funzione sociale del Teatro in nome di un senso civico che, poche volte, come in questo caso, scalpita con urgenza.
La storia è, purtroppo, ben tristemente nota: Luca Varani era un giovane di 23 anni, vispo, allegro e ingenuo, con un grande bisogno di essere accettato. Una persona mite, che aveva lasciato la scuola serale, ma che forse avrebbe recuperato in un momento successivo.
La sua enorme e fatale sfortuna fu quella di raccogliere un invito ricevuto via whatsapp. Nel momento in cui mise piede nell’appartamento di Manuel Foffo, divenne la vittima sua e di Marco Prato: fu da loro drogato, torturato e barbaramente ucciso, lentamente, crudelmente solo per vedere “l’effetto che fa” uccidere un essere umano.
Non è importante interrogarsi sul motivo per cui Luca avesse raggiunto i suoi assassini: se per prostituirsi durante un festino a base di droga, come alcuni hanno ipotizzato, o solo per vendere un po’ di coca, o, magari, perché aveva pensato che i due volessero proporgli un lavoretto.
Ciò che veramente deve interessare e sconcerta è la motivazione del delitto o l’assoluta assenza di un movente, se non l’abietto e malato desiderio di vedere l’effetto che fa uccidere un altro essere umano.
Al di là di ogni voyeuristico interesse per i particolari “scabrosi” di questa storia, quello che deve interessare e su cui si concentra l’indagine di Giovanni Fracci è la psicologia perversa e malata che sta alla base di questo scellerato delitto.
E’ proprio nei personaggi, nella loro storia e nella loro psicologia che Giovanni Franci indaga, con acutezza e spirito analitico scevro di preconcetti, interrogandosi prima di tutto su come sia possibile che due giovani di buona famiglia, con una buona cultura, che hanno frequentato buone scuole e cresciuti in ambienti per bene, abbiano potuto non solo pensare, ma organizzare ed attuare un piano così diabolico, crudele e agghiacciante.
Un dramma raccapricciante e doloroso, messo in scena da persone cattive, psicologicamente instabili e dall’identità frammentata (ma questa non è e non deve essere una giustificazione!).
L’effetto che fa è un documento di teatro cronaca che riporta le dichiarazioni e le deposizioni dei due assassini in una ricostruzione analitica di una terrificante vicenda.
Non c’è drammatizzazione. I protagonisti non entrano in contatto tra loro. Fa eccezione il momento dell’omicidio che non viene rappresentato se non nel momento in cui i due feroci assassini drogano Luca, lo spogliano e lo depongono su un grande blocco bianco a guisa di un altare sacrificale. Una scelta che denota grande delicatezza, rispetto e attenzione da parte del regista nei confronti del giovane ragazzo.
Eppure il momento dell’omicidio ha un grande impatto emotivo: viene raccontato, in una cronaca precisa dei colpi, reiterati con ferocia, delle ferite, delle torture, dei respiri. L’orrore è tutto in quelle terribili parole “non voleva morire”.
Lo spettacolo è impostato tutto come cronaca dei fatti accaduti in quella casa al momento dell’omicidio e nei due giorni precedenti.
Questo raccontare i fatti è allo stesso tempo un limite dello spettacolo, che realmente non può definirsi tale, sembrando più una trasmissione di approfondimento che riporta documenti con l’ausilio di contributi video proiettati sulla parete di fondo (toccanti le immagini di un percorso metropolitano dal Collatino, zona del delitto, a La Storta, dove abitava Luca, a rappresentare quel viaggio di ritorno che il giovane non poté mai fare).
Questa impostazione analitica di stampo giornalistico lo avvicina molto alle molteplici trasmissioni di approfondimento oggi tanto in voga: una miscela tra Profondo Nero di Carlo Lucarelli, Chi l’ha visto e Porta a Porta.
L’interpretazione dei tre giovani attori, under 35 e quindi quasi coetanei dei protagonisti della storia, non è aiutata da questa impostazione, che, anzi, ne limita molto l’espressività e il coinvolgimento.
Sicuramente quello più dentro al personaggio è Valerio di Benedetto che interpreta Manuel Foffo nella sua sfrontata e rude mascolinità, nella sua millantata eterosessualità, nella sua disperante lucidità, nel suo odio verso il padre, restituendone una premeditazione fredda e calcolatrice priva di remore e un’espressione dura accompagnata da frequenti spasmi nervosi causati dall’abbondante ed eccessivo uso di droghe e alcool insieme.
Fabio Vasco nei panni del travestito Marco Parto restituisce un personaggio fortemente instabile che si tortura in una continua e disperata ricerca di se stesso e della propria identità, anche di genere, assolutamente irrisolto e patologicamente a disagio con se stesso e con gli altri, di cui cerca disperatamente l’approvazione e il riconoscimento, oltre che proiettato in un universo di violenza.
E’ proprio il personaggio di Luca Varani, interpretato da Riccardo Pieretti, a risultare strutturalmente più debole e poco incisivo. Nel tentativo di darne una rappresentazione realistica, il più oggettiva possibile, che non scada nel pietismo e sia sempre rispettosa e misurata, perde di incisività e coinvolgimento emotivo.
In questa dimensione scenica decisamente statica e sempre controllata, sembra quasi che i tre protagonisti abbiano paura di confrontarsi con un episodio così agghiacciante e socialmente forte, da risultare molto trattenuti.
Il momento più forte, emozionante, drammaturgicamente e attorialmente più riuscito è il finale, quando, raccontate le storie e presentati i tre profili psicologici, l’autore tira le somme trovando un comune denominatore nella disperazione, rifacendosi ad una riflessione di Kierkegaard: “la disperazione è una malattia nello spirito, nell’io e così può essere triplice: disperatamente non essere consapevole di avere un io, disperatamente non voler essere se stesso, disperatamente voler essere se stesso”.
E’ da qui che comincia e finisce il vero spettacolo: nei tre bellissimi e intensi monologhi scritti da Giovanni Franci e interpretati in successione dai protagonisti. E’ qui che si diffonde una poetica profonda e commovente, è qui che la parola riesce ad attraversare i fatti, comprenderli e restituirli con forza, intensità emotiva e commozione.
Lo spettacolo è tutto qui, in questi tre monologhi, in questi ultimi pochi minuti di teatro, forti e volatili come la vita.
L’effetto che fa
Spettacolo teatrale scritto e diretto da Giovanni Franci
con Valerio di Benedetto, Riccardo Pieretti, Fabio Vasco
Leave a Comment