
Teatro Vascello
19 gennaio 2023
HYBRIS di RezzaMastrella: alla fine muoiono tutti, fucilati da una porta; tranne uno, altrimenti chi sarebbe a sparare?
La HYBRIS di RezzaMastrella è la tracotanza dell’uomo sull’uomo che porta all’annientamento dell’uomo da parte di un altro uomo in nome di una presunta superiorità.
Indeciso da dove cominciare per raccontare lo spettacolo lucidamente folle o follemente lucido, disarmante, destabilizzante, esilarante, spiazzante, entusiasmante, accattivante, parossistico di Flavia Mastrella e Antonio Rezza siamo partiti dalla fine, cercando come loro, ma senza il loro successo, di stravolgere le regole dettate dalle convenzioni.
HYBRIS è uno straordinario spettacolo di RezzaMastrella che destruttura le regole della logica e del discorso, la struttura consequenziale del dialogare tradizionale, universalmente riconosciuto e condiviso.
Rappresenta l’ideazione di un linguaggio che sovverte le consuetudini linguistiche per generare ogni volta un significato nuovo dirompente e fuori dagli schemi linguistici convenzionali.
Un non-testo e uno spettacolo che travolge i canoni logici tradizionali attraverso l’inversione di essi, creando un nuovo linguaggio e una nuova logica.
Il fatto che comunemente noi seguiamo un metodo speculativo che riteniamo logico e razionale, dettato dalle regole di convivenza e dalla necessità di una comprensione universale, non significa che altre logiche non possano essere scovate o inventate, o che non si possa costituire nuovi linguaggi, apparentemente illogici, ma in realtà semplicemente diversi, “altri”appunto, che procedono più per simboli, metafore, assonanze, distorsioni e giochi linguistici; nuovi modi di dire feroci e cinici, ma efficaci, concreti e pungenti che sovvertono le regole del comune e convenzionale ragionare.
Anzi, ascoltando Rezza e guardandolo, perché insieme a Mastrella non solo crea un linguaggio verbale e logico altro, ma lo completa anche con le possibilità infinite espressive del corpo e del viso, possiamo comprendere che le convenzioni a cui siamo arrivati e che sono state stabilite per una comprensione universale, costituiscono solo specifici punti di vista da cui si guarda, si considera, si vive e si agisce il mondo, ma anche limiti a diverse, più forti e rappresentative forme di pensiero, ragionamento, comunicazione e, quindi, linguaggio, dove per linguaggio si intende la vasta gamma delle potenzialità espressive umane che comprendono non solo le regole logiche e grammaticali, ma anche le possibilità altre e infinite di movimento nello spazio, di utilizzo degli oggetti quotidiani, di espressività fisica e mimica facciale e tutto ciò che possa venirci in mente.
Come viene portato in scena tutto questo? In uno spazio pressoché vuoto, delimitato a terra da strisce che costituiscono un confine tra un dentro e un fuori, ma un confine facilmente valicabile (è sufficiente scavalcarlo).

Sulla scena solo una sedia da ufficio, un attrezzo ginnico, due parallelepipedi che sembrano due frigoriferi, un paio di oggetti appesi, non identificabili e mai utilizzati. Il tutto giocato sulle luci e i colori del rosso e del nero.
Al centro di tutto, una porta col suo telaio, posta a terra orizzontale quasi fosse una bara.
Questa porta è il feticcio di Antonio Rezza in HYBRIS: la muove, la sposta, la apre e la chiude (da dentro e da fuori) in continuazione, senza sosta.
La porta come simbolo di apertura e chiusura, di passaggio e confine, di entrata e di uscita.
Divide chi è dentro da chi resta fuori e fa scaturire mille elucubrazioni sull’essere e sull’esserci (quindi ontologiche).
Fuori di essa c’è un mondo: la porta apre alla possibilità, a infinite possibilità nel tempo e nello spazio.
La porta “apre sul nulla e chiude sul nulla”: confine e limite tra il dentro e il fuori, ma anche apertura verso le infinite possibilità di essere e di esserci.
Però, ogni volta che noi ci consideriamo dentro qualcosa, una casa o un qualsiasi luogo, ma anche dentro un’attività manuale o speculativa, avvertiamo chi sta dall’altra parte rispetto a noi come qualcuno che sta fuori.
Eppure, la stessa sensazione e certezza avrà nei nostri confronti colui che, pur essendo fuori, prendendo come punto di riferimento il suo essere dentro ad un’altra casa o altro luogo o altra attività, avvertirà noi stessi come fuori.
Fuori dalla porta ci sono gli altri, ma per quelli che stanno fuori dalla porta, siamo noi gli altri.
RezzaMastrella ragionano (sembra strano affermarlo guardando lo spettacolo, ma è così) sulle implicazioni di questo concetto, affrontando e analizzando l’alterità nelle relazioni, che siano esse amicali o parentali: quando si nomina o si sente qualcuno come “altro”, ci si pone sempre nei confronti di esso come se fosse fuori di noi, senza considerare che, allo stesso tempo, anche noi per l’altro siamo fuori di lui.
Chi bussa a una porta di solito sta fuori. Si bussa per entrare: ma non sarebbe forse più giusto bussare per uscire?
Il “dentro” è un rifugio; stare dentro dà protezione. E’ stare fuori che fa paura; è fuori che domina l’incertezza dell’essere. Allora dovremmo bussare per uscire, perché è fuori che sta il mondo, che stanno tutti: è lì che si deve chiedere il permesso di entrare, di “entrare fuori”.
Ma allora: dove è la HYBRIS del titolo? Il termine deriva dal greco antico e come tutti i termini greci classici, rappresenta un mondo.
Hybris indica la tracotanza, l’andare oltre la propria natura finita e imperfetta di uomo per raggiungere gli dei e ad essi sostituirsi.
Qui dio non c’è e se c’è viene rinnegato e la Hybris è quella dell’uomo nei confronti degli altri uomini; è quel senso di orgoglio che fa sentire superiori agli altri che fa compiere azioni atroci.
Antonio Rezza fa vibrare la scena concepita da Flavia Mastrella: funambolo della parola, cinico, irriverente, impertinente, scomodo, scorretto, incessante, inarrestabile, irrefrenabile fino quasi allo sfinimento (non solo il suo), tanto da far quasi perdere l’orientamento al pensiero e nello spazio, grazie all’energia fisica apparentemente inesauribile, al suo continuo muoversi e agitarsi sulla scena e al di fuori di essa.
Rezza è tutto voce, corpo, fiato e suono (emblematico il fischietto che cela – o svela?- una reiterata bestemmia – intellegibile secondo Rezza).
Intorno a lui otto personaggi muti e attoniti; o forse è lui a stare intorno e in mezzo a loro: otto bambolotti mossi dal cinico burattinaio Rezza.
Rezza muove gli altri con le azioni e con le parole, investendoli fisicamente e verbalmente a cascata, mettendoli a disagio, affermandone e allo stesso tempo negandone lo stato ontologico.
Gli altri sono burattini mossi da lui e soggetti alla sua tempesta verbale e fisica; essi stessi habitat da lui abitato; li scuote, li sconvolge, li anima.
E, così come li anima, allo stesso modo li annienta, fucilandoli uno alla volta…con una porta!
Perché definire folle il lavoro di RezzaMastrella?
Solo perché il loro linguaggio, che crea costantemente immagini che si negano a se stesse, è contrario o diverso da come comunemente parliamo e ci esprimiamo?
Eppure, non è così diverso dal pensiero: sì, perché il loro cinismo, poi, non è altro che rappresentazione della realtà, delle nostre idee, di quelle parole che restano mute in gola perché non è buona norma esplicitarle, perché “non sta bene”.
HYBRIS
di Flavia Mastrella Antonio Rezza
Foto di Annalisa Gonnella
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele
Cavaioli, Miriam Fricano
e con la partecipazione straordinaria di Maria Grazia Sughi
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
luci e tecnica Daria Grispino
organizzazione generale Marta Gagliardi Stefania Saltarelli
macchinista Andrea Zanarini
produzione RezzaMastrella, La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro di Sardegna
coproduzione Spoleto, Festival dei Due Mondi
ufficio stampa Chiara Crupi – Artinconnessione
Debutto: 7 luglio 2022 – Spoleto Festival dei Due Mondi
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