Teatro Libero di Milano
2 febbraio 2018
Recensione di Carlo Tomeo
Frida Kahlo, la pittrice messicana che ha vissuto nel primo cinquantennio del secolo scorso, è diventata nel tempo sempre più famosa tanto da diventare un’icona non solo del ‘900 ma ancora di più nel secolo attuale. Si moltiplicano in tutto il mondo le mostre di suoi quadri e i documentari che raccontano la sua vita e i due film biografici di Leduc del 1986 e di Julie Taymor del 2002 hanno portato il personaggio a una conoscenza sempre più ampia non solo tra le persone più acculturate ma alla massa che si è lasciata toccare, più ancora dalla sua arte, dalla vita che ha vissuto: travagliata dal punto di vista fisico ed emotivo ma trasgressiva e, secondo certi modi meschini di pensare, amorali ma pruriginosi.
Ora la sua vita è arrivata in teatro, grazie a Serena Nardi che ha creato un atto unico, ricavandone la drammaturgia dai diari e altri testi che Frida scrisse durante tutta la sua vita. Non ci troviamo quindi di fronte a una trama sulla vita della pittrice dal punto di vista tradizionale, ma di fronte alle parole che lei stessa aveva scritto e da queste viene fuori comunque un ritratto della sua esistenza, fatta di frammenti che la brava attrice Sarah Collu recita. La Nardi immagina che la morte, in abito scuro con valigia, sia venuta a prendere, come ha già fatto altre volte, Frida per portarla via con sé, ma la donna non vuole seguirla. Accovacciata sul pavimento si tiene strette in una mano una serie di fasce rosse legate al soffitto, fasce rosso sangue, ciascuna di essa è il simbolo di un patimento sofferto e dissente con la donna che interpreta la morte e che le rammenta la vita infelice finora vissuta. Ma Frida, pur consapevole di quanto abbia sofferto e quanto stia soffrendo ancora, vuole restare ancora in vita e le chiede almeno un altro anno, un anno solo.. “Te ne ho già concessi 30 di anni” le ricorda la morte e fa riferimento a quando, diciottenne, fu vittima di quello scontro tramviario da cui rimase immobilizzata per anni e subì 32 operazioni. La morte, quindi, non sembra voler sentir ragioni e la sollecita: come possa essere possibile vivere una vita cosi dolorosa e non desiderare di morire? Ma Frida ribatte che lei ama la vita e il dolore può far parte della vita. Comincia a mostrare i suoi quadri, come prova della sua creatività, ma i quadri che mostra non sono quelli che siamo abituati a vedere ma hanno per soggetto pezzi interni di un corpo umano fratturato, un bacino rotto, un feto. “ Proprio tu, che dici di amare tanto la vita, non sei stata neanche capace di generarla”, con queste parole la morte approfitta per insistere sulla sua motivazione. Ma Frida non bada a quest’osservazione, né alle altre critiche: Le menomazioni che ha avuto e che sta subendo ancora non le hanno tolto la voglia dell’amore, del piacere, del disinteresse che avverte in sé verso chi critica la sua condotta di vita. Come non si può amare la vita se si conosce e si sposa in prime e in seconde nozze, dopo il divorzio, l’amato suo maestro Rivera di cui dice “L’incavo delle (tue) ascelle sono il mio rifugio”? Pian piano le fasce rosse scivolano sul pavimento, Frida capisce che il momento del commiato dalla vita è arrivato e indossa un abito del colore del sangue, come lo sono, del resto, le fasce a cui si teneva legata. Le due donne si abbandonano a una danza su una musica di stile sudamericano che ha il sapore di una danza di morte, quasi a celebrarne l’accettazione, quindi si ritirano dietro le quinte, verso l’oscurità.
Inizia la proiezione di un inedito e affascinante video di Vittorio Bizzi sulla parete di fondo, dove sono state collocati, non in fila precisa e nel verso contrario, i quadri, per cui ora se ne vedono solo i retri costituiti dalla tela bianca. Sul video si vede la casa dove aveva vissuto Frida, immagini di foglie, colori, pennelli, barattoli, le cose che appartenevano alla donna. Ma, a causa della presenza dei quadri collocati alla rinfusa, queste cose appaiono negli spazi lasciati dai punti di distanza esistente tra un quadro e l’altro e quindi non nella loro completezza: simbolo di una provvisorietà della visione che mentre promette un’immagine, la copre e ne mostra un’altra. Come avviene nella vita, dove mai nulla è certo, né è sicura la durata.
Serena Nardi ha creato un’opera teatrale semplice e comprensibile nella costruzione. L’invenzione del personaggio che fa la parte della morte, peraltro interpretata dalla stessa Nardi è uno dei punti più felici dell’intera opera, in quanto consente di far rivivere il personaggio di Frida Kahlo in una maniera inedita e soprattutto non lo fa scadere in un discorso retorico, sempre in agguato quando si tocca la vita di personaggi famosi.
Molto in linea sono le musiche di Alessandro Cerea che portano la giusta atmosfera del periodo narrato.
Frida Kahlo morì a 48 anni. Quando subì l’incidente aveva 18 anni: la morte, alla quale Frida chiese di vivere ancora un anno, tenne fede alla sua decisione: “te ne ho già concessi 30 di anni!”
Teatro sold out e pubblico molto soddisfatto.
Frida K – vita di merda con pittura
testo Serena Nardi
tratto dagli scritti di Frida Kahlo
regia Serena Nardi
con Sarah Collu, Serena Nardi
coreografie Lara Guidetti
video Vittorio Bizzi
musiche originali Alessandro Cerea
scene e costumi Officine Red Carpet Teatro
produzione Giorni Dispari Teatro
Si ringrazia Marcella Del Curto dell’Ufficio Stampa
In scena al Teatro Libero di Milano fino al 6 febbraio 2018
Recensione molto interessante. Grazie Sig. Tomeo
Eccellente recensione. Complimenti, sig. Tomeo.
Chiara ed essenziale recensione di Carlo Tomeo di uno spettacolo incentrato sulla figura di una grande Artista alla quale viene dedicata ora un’altra Mostra a Milano. Emanuela
L’unica cosa che non mi convince è il titolo. Ne avrei scelto un’altro. Emanuela