Recensione di Carlo Tomeo
Una commedia che si svolge 20 anni dopo la caduta di Berlino, costruita da momenti che sembrano consequenziali l’uno all’altro, e in realtà lo sono, ma che viene tuttavia rappresentata in frammenti, quasi delle piccole scene cinematografiche le quali, a mano a mano che procedano, rivelano cose del passato che appartengono al periodo della DDR, venti e più anni prima della riunificazione della Germania.
Protagonisti un uomo e una donna che si conoscono a seguito di un incidente stradale dove l’uomo, uscendo a marcia indietro dal suo garage, investe con la propria auto la donna che si trovava a percorrere in bicicletta proprio nei paraggi.
È una notte piovosa, l’uomo soccorre la donna e la conduce, svenuta, nel proprio appartamento.
Quando la donna rinviene inizia il dialogo tra i due e quello che l’una racconta all’altro, può essere vero o anche falso. Entrambi raccontano del periodo vissuto durante la DDR. Davanti alla scena, che può rappresentare uno studio o semplicemente un living, tre strisce verticali che scendono dal soffitto sembrano dare il senso di quello che i due si raccontano: quasi un velo a nascondere la verità oppure anche modi diversi della narrazione, mentre ogni frammento del dialogo viene interrotto dallo spegnimento della luce, e quando questa si riaccende, ci troviamo già nel frammento successivo.
Ciò che sembra lineare ha in realtà più le caratteristiche di un thriller psicologico dove vengono sparsi degli indizi che lo spettatore può scoprire nel corso della messa in scena. Del resto niente è come sembra, o quanto meno può avere un significato diverso da quello che si vede e si ascolta sulla scena. Quasi improvvisamente ci troviamo ad avere il sospetto che i due personaggi nascondano qualcosa, che addirittura uno dei due possa essere stata vittima dell’altro. E chi è stata la vittima ora si rivela e rivela anche altro di quel dramma cui stiamo assistendo. E, soprattutto, ciò che è accaduto è realmente come viene descritto? Perché mai una donna va in bicicletta durante un forte temporale?
Tra un frammento e l’altro i due personaggi vengono a parlare a due microfoni posti a sinistra e a destra del proscenio e sembra che solo allora raccontino cose vissute realmente e appaiono gli unici in cui entrambi si rivelano per quello che sono mentre quello che accade nell’appartamento dell’uomo è appunto l’enigma del titolo della commedia. E, per dimostrare che, “niente è come appare” il regista Manuel Renga ha avuto la felice idea, a un certo punto di ribaltare la vista della scena di 180 gradi, proprio per far capire che le prospettive del dialogo tra i due protagonisti potrebbero essere viste in un’ottica diversa.
Gli indizi sono diversi: c’entra, per esempio una telefonata, oppure il mestiere che faceva la donna prima della riunificazione della Germania.
Per evitare spoiler posso dire solo che la vicenda è rapportabile a quanto sta accadendo nel nostro secolo, ne rappresenta quasi la caratteristica più eclatante, sebbene nascosta ai più e non se ne parla, se ne ipotizza solo la realtà. Grande merito a Manuel Renga anche per aver saputo cogliere quest’aspetto e buttare l’amo allo spettatore perché in qualche modo ne fosse consapevole.
I due attori Nicoletta Ceaglio e Davide Breveglieri (che è anche aiuto regista) sono entrambi bravissimi nei ruoli che sono stati loro affidati, anche perché quei ruoli sono di duplice aspetto per ciascuno di essi.
Commedia da rivedere, quando sarà il momento, per coglierne a fondo tutto lo spessore.
Enigma
di Stefano Massini
con Nicoletta Ceaglio e Davide Berveglieri
regia di Manuel Renga
aiuto regia di Davide Berveglieri
produzione Associazion Youmani Onlus
Si ringrazia Simona Griggio dell’Ufficio Stampa del Teatro
Molto interessante
Bellissima recensione.
Eccellente recensione di un’ottima commedia. Complimenti, sig. Tomeo.