
Teatro Vascello
4 marzo 2016. Prima
DIONYSUS
il Dio nato due volte
da Le Baccanti di Euripide
dal 4 al 13 marzo 2016
La tragedia greca rivive nella regia pura ed energica di Daniele Salvo e grazie ad un gruppo di attori formidabili.
Nessuno stratagemma stilistico, nessuna intenzione di stupire con manierismi intellettuali o di creare scalpore con chissà quali elaborati schematismi: Daniele Salvo si appropria della tragedia di Euripide, la penetra e la restituisce forte e verace così come probabilmente fu concepita.
L’emotività è al centro di Dionysus, Il Dio nato due volte: l’intenzione è quella di rappresentare le emozioni più primitive dell’uomo così come vengono partorite dallo stesso animo umano in preda all’esaltazione bacchica.
Il dionisiaco è l’elemento fondante e fondamentale intorno a cui tutto ruota e mantenuto vivo per tutto il tempo della rappresentazione. Ogni azione, ogni parola ruota intorno al furore bacchico e all’esaltazione del dionisiaco come unico e vero principio vitale.
In una società omologata, in cui si vivono finte emozioni suscitate dai media e da internet, in cui si ride e si piange a comando, dove il sentire è stimolato e pilotato da meccanismi esterni, Dionysus scava nei veri sentimenti cercando una emotività atavica, scevra da condizionamenti, libera dal soffocamento moderno dell’istinto; una emotività che ci svegli dal torpore in cui siamo piombati e che possa parlare al nostro tempo con forza, anche con violenza, per raggiungere momenti di verità accessibili a tutti. Con Dionysus la tragedia greca riprende la sua funzione di comunicazione universale, diretta e utile a tutti.
Le Baccanti, di cui Dionysus è rappresentazione e adattamento, sono, come è stato scritto, una finestra sull’irrazionale, una luce gettata su un mondo di reale libertà espressiva dove, posseduti dal divino, possiamo entrare in noi stessi compiendo un viaggio nelle nostre più grandi ed intime emozioni vivendole fino in fondo in tutta la loro potenza deflagrante.
Il punto è lasciarsi agire così come le Baccanti agiscono, quasi in trance, possedute dal potere affabulatore del Dio: Dioniso agisce attraverso i loro corpi e le loro voci facendone strumento del proprio volere.
Ci illudiamo di essere liberi e di agire autonomamente, in realtà siamo influenzati e pilotati da meccanismi sociali e mediatici enormi e ingombranti: abbiamo perso il contatto con la parte più irrazionale di noi che è, poi, la parte più vera, forse l’unica cosa che avremmo potuto dire che veramente ci apparteneva. Perdendo quella abbiamo perso tutto perché abbiamo perso noi stessi.
Nello spettacolo è evidente un grandissimo studio sulla vocalità e sul suono. Il Coro, che è protagonista e parte preponderante dell’intera opera, si esprime con preghiere, canti e suoni emessi dalla gola e dal sapore ancestrale. Come provenissero da un posto remoto dentro noi stessi, da una gola profonda e dal profondo della gola, i suoni escono antichi eppure nuovi, perché ne abbiamo perso il ricordo. Il suono, così, non è solo espressione di un comunicare, ma linguaggio esso stesso.
Non c’è artificio o simulazione: voce e suono sono radicate nel nostro essere, solo la loro espressione è celata dal tempo che è trascorso e dall’uso diverso del linguaggio. Il suono è qui espressione di tutto quello che sopra è stato detto relativamente alla emotività.
Premesso tutto questo, è comprensibile come l’interpretazione degli attori non possa essere mera rappresentazione; qui l’individuo è chiamato a scendere nel profondo di se stesso, a ritrovare in sé qualcosa di primordiale, a riscoprire emozioni embrionali e suoni primari legati al proprio passato e a buttare fuori tutto questo.
Tutte le interpretazioni sono fortissime, di grande impatto: ad ognuno è chiesto un enorme sforzo sia emotivo, nel mettersi completamente a nudo con le proprie più intime emozioni, che fisico.
La recitazione, infatti, è qui strettamente connessa ad un enorme sforzo dei corpi, sempre tesi eppure concentrati, raccolti intorno alle emozioni più crude pronte ad esplodere in qualsiasi momento con irruenza e irrazionalità.
Soprattutto per il Coro enorme è la sinergia tra suono e corpo e strepitosi, direi sconvolgenti, i risultati.
Si rimane scossi, turbati, come se quei suoni attraversassero il corpo dello spettatore che a sua volta fa da cassa di risonanza espandendone il riverbero. L’effetto di questa energia, di questo uso primordiale di corpo e voce è quasi visibile in quel modo in cui siamo abituati ad immaginarci che il suono si propaghi in onde così come i cerchi nell’acqua quando si getta il famoso sasso.
Si è letteralmente travolti da questo corpo unico che è il Coro, da questo animale furioso e irrazionale fatto di tante teste, tante gambe e tante braccia, un essere pericoloso eppure seducente.
Stesso discorso vale per gli attori, tutti strepitosi: anche a loro è richiesto di raggiungere picchi emotivi enormi e di riversarli sullo spettatore con potenza perturbante.
Così Daniele Salvo, Dioniso, è il Furore, è la pazzia negli occhi del dio fatto uomo, è la rabbia senza pace per la mancanza di considerazione da parte degli uomini. E’ il male, è la vendetta; Daniele ha il rancore nelle parole e l’odio negli occhi, quegli occhi che ardono di livore, desiderando vendetta, godendone per la realizzazione e rendendo con incredibile verosimiglianza la seduzione del male.
Ivan Alovisio è il suo nemico, il rivale; è l’uomo che vuole mantenere e difendere il proprio potere e ruolo di egemone con coraggio e violenza, senza riconoscere la divinità di Dioniso. Alla furia del Dio contrappone la furia umana, la violenza. Ivan è un principe guerriero, un ufficiale nazista dei più radicali. E’ grande, potente, riempie palco e scena. Fiero, orgoglioso e combattivo nella prima parte, diventa commiserevole nella seconda con un passaggio di incredibile effetto.
Lo scontro tra Dioniso e Penteo è reso con grandissimo vigore; i due antagonisti sono forti, potenti, portatori di follia l’uno, di furore l’altro e le dinamiche di questo scontro sono portate avanti in maniera totalizzante.
Manuela Kustermann è Agave, la madre di Penteo e sua assassina. Un’interpretazione grandiosa, paurosa per certi versi. Il suo delirio è enorme e tangibile; Manuela catalizza immediatamente l’attenzione del pubblico, catturando l’intera platea, cosa tanto necessaria quanto difficile arrivando in scena a fine tragedia quando già il pubblico ormai è stato devastato da emozioni enormi. Eppure l’impatto è dirompente, non c’è scampo alla sua furia prima e per la sua disperazione dopo.
Assolutamente non da meno gli altri. Paolo Bessegato e Paolo Lorimer sono rispettivamente Cadmo e Tiresia. Cadmo è il padre di Agave e, quindi, nonno di Penteo; egli è disposto ad onorare Dioniso più per un tornaconto personale che per fede, in realtà si vergogna di onorare i riti del Dio e pagherà duramente per questa sua mal disposizione. Tiresia è il celebre indovino, ma qui fa più che altro un’analisi della situazione presente.
Insieme, i due rappresentano, pur nell’adeguamento a certi atteggiamenti, le difficoltà intellettuali del momento presente di accettare il culto di Dioniso. Il loro giocare ai riti del dio è un momento di incredibile effetto.
Simone Ciampi è il primo messaggero, intenso e drammatico e anche la guardia, rappresentata come un gendarme tedesco, fiero e obbediente.
Ha catturato la mia attenzione Melania Giglio nei panni del secondo messaggero, per la fierezza pur nello sguardo stanco che punta lontano, l’incedere faticoso, ma costante; la sua voce mi ha rapito.
La scenografia è essenziale: un solo dosso al centro della scena, un po’ dietro, è il monte Citerone. Sullo sfondo uno schermo su cui vengono proiettate immagini evocative.
Splendidi i costumi: gli abiti dei protagonisti sono molto particolari e curati nei dettagli e completano la creazione del personaggio divenendone parte integrante. A mio avviso richiamano, con successo e innovazione, personaggi visti al cinema e nei più grandi cartoni animati giapponesi (Matrix, Il Signore degli Anelli, Capitan Harlock…) .
Anche i costumi del coro sono bellissimi e ispirano immagini molto forti.
La regia è chirurgica: precisa e tagliente; incornicia, incastra e cesella immagini e quadri chiari e distinti. Non c’è ridondanza, ma tutto è studiato e strutturato con matematica precisione senza per questo nuocere all’effetto dirompente e alla impetuosità delle scene, anzi consentendo un fluire di emozioni di enorme portata e impatto.
Trama
Dioniso è nato dall’unione tra Zeus e Semele, donna mortale. Tuttavia in molti non accettano la versione della sua natura divina diffondendo la voce che Dioniso sia, in realtà, umano. Tra queste persone le stesse sorelle di Semele e il nipote Penteo, re di Tebe. Dioniso, per vendicarsi di queste persone e indurre tutti a credere alla sua natura divina e a tributargli riti, preghiere e sacrifici, instilla il germe della follia nelle donne di Tebe, le quali così fuggono sul monte Citerone a celebrare riti in suo onore , divenendo Le Baccanti, ovvero le donne che celebrano i riti di Bacco, altro nome di Dioniso. Penteo, però , rifiuta di accettare la divinità di Dioniso e vuole risolvere la situazione una volta per tutte, mentre Cadmo, suo nonno, e Tiresia, l’indovino cieco, cercano di dissuaderlo dal proprio intento e di accettare, per convenienza, la natura divina di Dioniso. Una serie di eventi vedranno Dioniso catturato, poi fuggire, il palazzo di Penteo crollare a causa di un terremoto e le Baccanti compiere devastazioni nei villaggi. Dioniso riuscirà a convincere Penteo a travestirsi da donna e a intrufolarsi tra le Baccanti, ma, una volta sul Citerone, il dio gli scatenerà contro le donne che lo faranno letteralmente a pezzi. Sarà la stessa Agave, madre di Penteo ad assalirlo per primo e, alla fine, a tornare a Tebe con la sua testa attaccata alla sommità di un bastone convinta, nel suo furore bacchico, che sia una testa di leone. Sarà Cadmo a far rinsavire Agave e a mostrarle l’atroce verità. A quel punto Dioniso svelerà di aver architettato il piano per punire chi non credeva alla sua natura divina e condannerà Cadmo e Agave all’esilio in terre lontane.
Dionysus – Il Dio nato due volte.
Regia Daniele Salvo
Dioniso Daniele Salvo
Agave Manuela Kustermann
Cadmo Paolo Bessegato
Tiresia Paolo Lorimer
Penteo Ivan Alovisio
Una guardia / Primo Messaggero Simone Ciampi
Secondo Messaggero Melania Giglio
Le Baccanti (o.a.)
Elena Aimone, Giulia Galiani, Annamaria Ghirardelli, Melania Giglio, Elena Polic Greco, Francesca Mària, Silvia Pietta, Alessandra Salamida
scene Michele Ciacciofera
costumi e maschere Daniele Gelsi
Musiche Marco Podda – Light designer Valerio Geroldi
Riproduzione anatomica Crea Fx effetti speciali di trucco
videoproiezioni Aqua-micans group
assistente alla regia Alessandro Gorgoni
prodotto da:
Centro di Produzione Teatrale La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello – Roma
Centro di Produzione Teatrale TIEFFE teatro – Teatro Menotti – Milano
Teatrul de Stat Constanta (Romania)
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