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Due partite, la celebre opera che Cristina Comencini scrisse per il teatro  Teatro Manzoni di Milano, 3 febbraio 2017

Recensione di Carlo Tomeo

CARLO TOMEO FOTO

“Due partite”,la celebre opera che Cristina Comencini scrisse per il teatro e che fu rappresentata per la prima volta nel 2006, riportando grande successo, è ora rappresentata sul palcoscenico del Teatro Manzoni per la stagione 2016/17 con nuove interpreti e con la regia di Paola Rota.

Le due partite del titolo hanno un significato non solo effettivo ma anche metaforico: racconta di quattro amiche che si incontrano tutti i giovedì per giocare una partita a carte che in realtà permette loro di condurre un’altra partita: quella del parlare della loro vita quotidiana, delle reciproche confessioni e delle insoddisfazioni malcelate che si portano dentro. Nella camera accanto, le loro tre figlie portano avanti una partita più semplice, quella del gioco.

Le donne sono Claudia, che ha tre figli (due maschi e una femmina), conduce una vita scialba, consapevole che il marito abbia un’altra donna, ma che si illude di tenere comunque unita la famiglia “per il bene dei figli”, Gabriella, che ha abbandonato la sua carriera di pianista per occuparsi della famiglia e ora vive nel pentimento tipico della rinuncia, Sofia che ha sposato un uomo con cui non ha più alcun rapporto sessuale e ha invece un amante. Infine c’è Beatrice, incinta all’ultimo mese e prossima alle doglie.

La scena è rappresentata da due ambienti differenti, costituiti da un mobilio diverso ed essenziale avente per sfondo due pannelli che, opportunamente fatti ruotare di 180 gradi durante il breve intervallo, spostano temporalmente l’azione della commedia di 45 anni.

Il primo atto si svolge durante gli anni sessanta: l’annuncia la canzone di Nada “Ma che freddo fa” successo dell’epoca.

Le donne, durante il gioco delle carte, ne approfittano per raccontarsi gli ultimi avvenimenti, quello più triste è raccontato da Sofia che è stata lasciata dall’amante. Nel frattempo Beatrice comincia ad avere le doglie e l’atto si conclude con la corsa verso l’ospedale.

Il secondo atto, annunciato dalla rotazione fisica della struttura,che ora riporta un pannello luminoso che fa da muro, ci fa capire che sono passati degli anni, 45 per l’esattezza. Le donne hanno le fattezze simili a quelle che abbiamo visto nel primo atto, con abiti e acconciature di oggi e sono le figlie delle donne che abbiamo conosciuto prima, le tre che giocavano nell’altra stanza, più Giulia, la figlia di Beatrice. Le alte tre sono Cecilia (figlia di Claudia), Sara (figlia di Gabriella) e Rossana (figlia di Sofia). Sono reduci da un funerale e ora assistiamo a un’altra partita, non quella a carte ma quella delle parole, fatte di ricordi, di nuovi avvenimenti che vengono raccontati: Cecilia che, pur non avendo un uomo, vuole a tutti i costi avere un figlio e si sta sottoponendo a massacranti cure ormonali ed è pronta alla fecondazione artificiale. Giulia che racconta della sua insoddisfazione verso il proprio partner che la trascura. Sara che si compiace di non aver seguito la strada che la madre aveva intrapresa e ora è una pianista di fama internazionale che gira il mondo, e si cura poco del marito che ha le sue manie. Rossana, infine, che vive apparentemente una vita di coppia appagante i cui atti sessuali, però, si svolgono solo nella casa al mare dove riesce a recarsi quando il super lavoro cui è soggetta glielo consente.

Le donne si raccontano cose belle e cose meno belle, e nella loro scelta di vita, si sentono vincenti, rispetto a quella che avevano condotto le loro madri, una delle quali è morta suicida (non dirò quale) e del funerale della stessa ora esse sono di ritorno.

Sia nel primo che nel secondo tempo i dialoghi sono di diversi colori: tristi, comici, ironici, graffianti, in certi momenti sulla soglia delle offese con relative scuse. La partita a carte che le madri si concedono tutti i giovedì rappresenta una piccola valvola di sfogo a una settimana in cui vivono la loro insoddisfazione di donne incomprese. L’uomo è presente, non fisicamente, ma attraverso i dialoghi delle donne che, pensando alle loro figlie, vedono per loro un futuro migliore. In questo senso sono rivelatrici le parole di Gabriella che fa notare alle amiche che verrà il momento in cui i loro figli non saranno chiamati maschi o femmine, ma semplicemente, e correttamente, persone.

Nel secondo atto le figlie però si sentono ancora appellate come femmine, più che come persone. Il che significa che la strada da fare verso una reale parità dei sessi è ancora da percorrere tutta. È vero che, dal 2006 a oggi, alcuni progressi sono avvenuti, ma il fatto che la commedia (da cui nel 2009 fu tratto anche il film omonimo di Enzo Monteleone) sia ancora rappresentata con successo è indicativo.

Le attrici impegnate nella rappresentazione sono state tutte molto brave: un punto di merito appena in più (anche a causa della tipologia del personaggio interpretato) è da attribuire a Paola Minaccioni e Caterina Guzzanti.

La regia di Paola Rota è stata condotta nel rispetto delle peculiarità artistiche delle attrici che, una volta bene appurate, sono state potenziate. Così com’è stato rispettato il pensiero della Comencini, impegnata qual è nel riconoscimento dei diritti civili e la parità dei generi.

Il pubblico ha molto apprezzato con calorosi applausi e numerose chiamate in scena delle quattro attrici. .

Due partite

testo di Cristina Comencini

con Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti, Giulia Bevilacqua

produzione Artisti Riuniti

regia Paola Rota

scene e disegno luci Paolo Bovey

costumi Gianluca Falaschi

Si ringrazia la Sig.ra Rita Cicero Santalena dell’Ufficio Stampa.

In scena al Teatro Manzoni di Milano fino al 19 febbraio.

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