de profundis

Teatro Furio Camillo

18 marzo 2016

Il De Profundis di Antonio Nobili e Martina Mastroianni è un’opera drammaturgicamente molto forte e affascinante; forse non potrebbe essere diversamente trattandosi dell’adattamento di un capolavoro di Oscar Wilde, ma i due autori sono riusciti a costruire un tessuto narrativo di grande impatto emotivo, mantenendo tutta la poeticità e la drammaticità delle parole di Wilde e riuscendo a farle arrivare vive e forti fino a noi.

Oscar Wilde (Antonio Nobili) viene condannato a due anni di carcere per aver amato il giovane Lord Alfred Bruce Douglas soprannominato Bosie (Matteo Maria Dragoni): un amore considerato contro natura e condannato dalla società e dalla legge.

Nei due anni di questa dura e sofferta prigionia, durante la quale Wilde si confronta apertamente con la propria coscienza ( Martina Mastroianni) e dalla quale uscì minato nel fisico e danneggiato nella carriera, l’artista scrive una lunga lettera al suo Bosie in cui gli dichiara tutto il suo amore e tutto il rammarico e la delusione per un legame spezzato e anche tradito nelle intenzioni. Wilde, infatti, come un maestro deluso dal discepolo, rimprovera il suo amato Bosie di non avergli dedicato lo stesso amore e le stesse attenzioni che egli, invece, ha avuto per lui e lo biasima per la grandissima vanità.

Dolore, sofferenza e rimpianto sono sentimenti che vivono sopra quel palco grazie all’interpretazione, intensa e profonda, di Antonio Nobili e il giusto contrasto, ben giocato, con la figura di Bosie, sempre ben vestito, col suo atteggiamento imperturbabile. Una figura affatto eccessiva, un dandy impassibile di fronte alle vicende dell’amante, che gioca il suo essere sopra le righe con un abbigliamento ricercato, una postura elegante e leggermente affettata e un volto truccato, ma conservando sempre un atteggiamento posato ed equilibrato.

L’intenzione con questo lavoro è quello di dimostrare l’ordinarietà dell’amore omosessuale in un momento storico, come quello presente, dove ancora l’omosessualità fa ancora tanto scalpore e fa gridare allo scandalo e alla violazione delle regole naturali.

Questo dramma viene giocato intensamente sul rapporto di enorme contrasto che Bosie ha col padre, Lord Queensberry (Alberto Albertino), rappresentante di una società omofoba e violenta, ieri come oggi e con l’inserimento della madre di Bosie (Mary Ferrara) a costituire l’ aspetto rassicurante e accogliente dell’amore filiale.

C’è di più: mentre Wilde si dispera per la sua condizione di prigioniero e per la fine del suo amore col giovane e vanesio Bosie, c’è una donna, la moglie Constance (Elisa Lombardi) che, pur avendo deciso di lasciarlo, non lo abbandona, ma provvede a far sì che una volta uscito di prigione Wilde possa avere una rendita vitalizia, ma, soprattutto, dimostra un amore che va oltre: non accetta l’amore di suo marito per un altro uomo, ma lei sa che Oscar non può essere di una sola persona; Wilde appartiene al mondo, perché il suo fascino ha presa su chiunque. A lei basta sapere di essere non la sola, ma di essere speciale, di essere l’unica moglie di Wilde.

Ancora, intorno alla figura di Wilde in carcere girano i due carcerieri, l’uno truce e violento ( Stefano di Giulio) e l’altro, invece, incline alla letteratura (Alessio Chiodini); poi l’amico di Wilde che lo sostiene in quegli anni, interpretato da Valerio Villa e il suicida in prigione, Chicco Sciacco.

A fronte di una drammaturgia così intensa e capillare, non corrisponde, purtroppo, una rappresentazione altrettanto forte; si avverte una disomogeneità tra gli attori sul palco, non tutti allineati su uno stesso piano interpretativo.

Così, se profonda e intensa è la rappresentazione di Nobili, giusta e misurata quella di Matteo Maria Dragoni, ottima ed energica quella di Alberto Albertino, intensa e coinvolgente quella di Elisa Lombardi, calibrata quella di Mary Ferrara, gli altri personaggi hanno confini poco netti e si diradano un po’ come la nebbia.

I carcerieri restano sempre un po’ vaghi sullo sfondo, acquisendo nitidezza lentamente per poi riscattarsi nella scena finale; anche gli altri personaggi hanno poco spessore.

Soprattutto, non arriva lo scontro tra Wilde e la propria coscienza; drammaturgicamente è un momento molto bello, intenso e poetico, ma sono parole che cadono a terra svuotandosi non appena pronunciate; non c’è abbastanza substrato, non c’è trasporto; sono parole belle pronunciate senza intenzione.

Inoltre, “l’amore che non osa dire il suo nome” è l’amore di un adulto nei confronti di un giovane, è quell’amore che era alla base della filosofia platonica, quell’amore che va oltre la carnalità ed esprime la sua grandezza in una progettualità intellettuale che sia frutto di due anime vicine: ecco, tutto questo manca  in questa rappresentazione, forse per scelta, forse per mancanza, ma diciamo che se, come è, Oscar Wilde fu condannato per questo amore che non sa pronunciare il proprio nome, forse avrebbero dovuto darcene un po’ di più.

De Profundis è un’opera che possiede un testo davvero molto bello, ma talmente forte, talmente potente che nel rappresentarlo è necessario togliere e non mettere: la parola è già così vigorosa, già così pregna di significato che aggiungere tante figure di spessore intorno nuoce all’andamento generale. Ecco perché ho apprezzato il confronto Wilde/Bosie, proprio perché Bosie è un personaggio a cui hanno tolto, ma che comunque dà. E’ un lavoro, questo, che potrebbe essere rappresentato meglio e con maggiore effetto, con meno interpreti, concentrandosi maggiormente sulla parola detta che sul gesto rappresentato.

TeatroSenzaTempo Produzione Spettacoli Teatrali

presenta

“DE PROFUNDIS”

dal capolavoro di Oscar Wilde

adattamento del testo: Antonio Nobili e Martina Mastroianni  

regia: Antonio Nobili

con Antonio Nobili (nel ruolo di Oscar Wilde), Martina Mastroianni

Matteo Maria Dragoni – Alberto Albertino– Elisa Lombardi – Mary Ferrara – Valerio Villa – Stefano Di Giulio – Chicco Sciacco

Con la partecipazione straordinaria di Alessio Chiodini nel ruolo del Carceriere

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