Recensione di Carlo Tomeo
È arrivata in prima milanese l’attesa commedia del più importante drammaturgo sino-americano: David Henry Hwang: “Chinglish “ che è una parola doppia formata da un prefisso, che sta per China, e un suffisso costituito dalla parte finale della parola English. E in effetti chi parla Chinglish usa l’unione di due lingue per dire cose che hanno un significato diverso a seconda del paese dove è parlato. Questo capita molto spesso quando le traduzioni vengono fatte attraverso i computer e ne sanno qualcosa i frequentatori dei social network. Ma in realtà è spesso studiato apposta per confondere l’interlocutore.
La commedia vede come protagonista l’americano Daniel Cavenaugh, un uomo di affari che cerca di lanciare in Cina una produzione di cartelli indicatori e si affida a un procacciatore d’affari perché lo metta in contatto con una società ben avviata in Cina, al fine di aiutarlo a realizzare il suo progetto. Questi è uno studente, che parla cinese e che svolge questo lavoro occasionale di avvicinare il popolo cinese al mondo imprenditoriale occidentale per realizzare partnership, le più disparate. Purtroppo quello che viene detto dall’americano è spesso tradotto male in cinese e viceversa, e la parte più divertente della commedia è rappresentata proprio dagli equivoci che derivano dal non riuscire ai vari personaggi di capire veramente o fingere di non capire quando può far comodo.
Intanto Cavenaugh, che immaginava di risolvere l’avvio del progetto in due giorni dovrà presto ricredersi perché la sua presenza in Cina dovrà durare almeno quattro settimane per avviare i lavori. “Cosa dirò a mia moglie?” è il primo pensiero che gli viene in mente, ma ce n’è un altro che pur gli frulla il cervello: stare per più tempo possibile vicino a una dirigente con la quale finirà per diventare amante. In realtà la donna cerca di far apparire il progetto molto interessante ai fini economici per far licenziare un suo collega che tende invece a creare dubbi sulla buona riuscita dello stesso. Ma la donna sa giocare bene le sue carte e soprattutto sa mantenere un buon rapporto di amicizia amorosa con Cavenaugh che, invece, si preoccupa di come far sapere alla moglie di questa sua avventura orientale, più volte ripetuta da farla diventare una relazione vera e propria.
E qui si dimostra una delle tante particolarità che differenzia la mentalità del mondo occidentale da quello orientale. In uno dei colloqui finale, la cinese infatti non comprende perché l’uomo debba raccontare una cosa così naturale alla propria moglie: il suo marito cinese, per esempio, non verrà mai a sapere della relazione della donna con l’americano perché è una cosa che riguarda solo la sua vita.
Questo è solo un esempio di quanta differenza ci possa essere fra due società così distanti culturalmente e geograficamente. E, a causa di queste differenze che qui sono costituite principalmente dalla lingua, nascono diversi equivoci che portano alla risata facile.
In realtà si ride già quando si spengono le luci in sala e in alto si illumina un cartello che dovrebbe fare da display per la doppia lingua, in modo che tutti i dialoghi della vicenda possano essere compresi sia dagli italiani che dai cinesi. Tuttavia una voce fuori campo avverte che quanto appare scritto in cinese non è la traduzione esatta della frase italiana riportata sottostante e si pregano, scherzosamente, gli spettatori di perdonare il “piccolo” inconveniente.
Ma in realtà non è un inconveniente quasi voluto perché non si vuole fare sapere allo straniero quello che quanto viene detto non è effettivamente quello pensato? Eppure esisterebbe una collaborazione fra i due popoli, ma, essendo di tipo economico e finanziario, può condurre a strade opposte i due collaboratori. Un’amicizia che nasce spesso nell’ipocrisia dell’era globale che stiamo vivendo e che, per nasconderne la vera natura, si ha bisogno di scherzare con le battute spiritose e con le azioni più amene, che servono a ciascuno dei contendenti per “rassicurare l’altro” e intanto pensare a fare i propri interessi. La politica internazionale, in realtà diversa da paese a paese, non aiuta ma disorganizza, crea caos, e chi prevale ci riesce perché ha più soldi.
La sala era piena di spettatori, per lo più giovani, che si sono molto divertiti e hanno applaudito a lungo i sei attori, tutti italiani, anche quelli che interpretavano i cinque cinesi.
Spettacolo da vedere.
Chinglish
testo David Henry Hwang
traduzione Alice Spisa
regia Omar Nedjari
con Valentina Cardinali, Angelo Colombo, Enrico Maggi, Federico Zanandrea, Annagaia Marchioro
scene Stefano Zullo
luci Roberta Faiolo
coproduzione Teatro Carcano Centro d’Arte Contemporanea
e Compagnia Formelinguaggi
in collaborazione con Istituto Confucio
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Si Ringrazia la Sig,ra Maurizia Leonelli dell’Ufficio stampa
in scena al Teatro ATIR Ringhiera di Milano fino al 19 marzo.
Bellissima recensione, grazie sig Tomeo.
Ottima recensione per la divertente commedia ‘Chinglish’. Applausi, sig. Tomeo!