Recensione di Carlo Tomeo

foto carlo

Le cattiverie le subiamo tutti e le infliggiamo a tutti più o meno volutamente. A volte sono azioni che apparentemente non contengono cattiverie ma sono fatte per ridere, ma chi le riceve le può avvertire dolorosamente e le sente, per l’appunto, cattiverie vere e proprie.

La commedia che ha messo in scena Luca Spadaro si compone di tre episodi ispirati da altrettante opere letterarie e come scrive l’autore, che ne è anche regista, “racconta il peggio degli uomini e dell’Umanità e lo fa nel solo modo che ci concede la nostra epoca: con sventata allegria”. E per dimostrare che le cattiverie sono esistite da sempre, perché insite nell’animo umano, le tre opere da cui ha tratto ispirazione sono state scritte in tre secoli diversi.

In realtà la “sventata allegria”, o, meglio ancora, una forma di comicità noir il pubblico la può avvertire nel primo episodio e nel prologo che è recitato da una voce esterna, la quale mette in guardia gli spettatori di non muoversi, di non tossire, di non interloquire con la  persona che l’accompagna, a evitare di dare fastidio al pubblico. Soprattutto di non applaudire e ridere rumorosamente, durante la rappresentazione, perché alla registrazione degli applausi e delle risate del pubblico ha già provveduto la direzione e le diffonderà in sala con amplificatori all’uopo utilizzati. La voce fornisce anche come comportarsi se il vicino di poltrona dovesse sentirsi male: di accompagnarlo silenziosamente fuori dalla platea e lasciarlo lì in terra. Altri consigli vengono dati su come non tossire o starnutire e soprattutto di risolvere i propri problemi corporali assolutamente prima di andare a sedersi al proprio posto e  prima che lo spettacolo sia iniziato. E questa è la parte veramente nuova per questo tipo di spettacolo.

Nella scena semi-vuota arredata appena da un tavolo, una larga sedia, una poltrona e, davanti a essa, un pouf che funge da poggia gambe e che sarà usata nel terzo episodio dalla brava Silvia Pietta. Sul fondo, verso la destra un podio occupato dalla eclettica cantante Valentina Lontino vestita in abito rosso luccicante, che ogni tanto canta canzoni in  inglese ed in yiddish su base musicale.

Inizia quindi il primo dei tre episodi con l’attore comico Matteo Ippolito che racconta della bontà del mangiare e cita diversi episodi che lo hanno coinvolto. Ossessionato dal cibo a un certo punto si rifà alla “Una modesta proposta” di Jonathan Swift e spiega il modo migliore di cucinare i bambini, e cioè dopo che hanno compiuto un anno e siano stati ben nutriti dalle loro madri. Tra l’altro le loro carni, molto tenere, sembrino adatte a essere cucinate in tanti modi, oltre a essere mangiate crude in quanto si prestano a farne degli affettati particolarmente gustosi.

Ad aiutarlo ci pensa, Massimiliano Zampetti che trangugia il pasto con ferocia (ricordando certi quadri che ritraggono il Conte Ugolino e ricordato nell’inferno dantesco)

È la volta del secondo episodio affidato al convincente Sebastiano Bottari nella parte di un conferenziere e questa volta si ricorre a De Quincey e la sua opera provocatoria “L’assassinio come una delle belle arti”. Per meglio far comprendere la sua tesi, chiede a un certo punto al pubblico di ascoltarlo a occhi chiusi. Questo è un momento meno comico del precedente, ma più “teatrale”, come del resto si potrà verificare nel terzo episodio, anch’esso facente parte delle cattiverie, L’ultimo monologo è più breve ed è recitato con toni drammatici, volutamente sopra le righe, da Silvia Pietta accomodata in poltrona. Il monologo è ispirato dall’opera “Yossi Rakover si rivolge a Dio” dello scrittore lituano Zvi Kolitz e si svolge nel ghetto di Varsavia durante l’ultima guerra.

Verso la fine compare in veste da ubriaco Massimiliano Zampetti e La commedia termina con la voce di Valentina Londino che canta “Fly Me To the Moon”,

Il testo di Luca Spadaro e soprattutto l’idea di rifarsi a tre opere scritte in tre secoli diversi, molto dissimili tra di loro (la prime due volutamente provocatorie e intrise di humor inglese, mentre la terza è addirittura drammatica), richiamano tre aspetti negativi della vita umana, in parte recitate in maniera quasi sempre comica, con l’aiuto di un canto che vuole essere anch’esso provocatorio, specialmente nel testo dell’ultima canzone. Ma anche la canzone precedente “Dream a Little Dream Of Me”, con quel testo romantico, sembra sbeffeggiare la drammaticità che è raccontata nel libro di Kolitz: l’ennesima cattiveria.

Testo complesso che fa riflettere sulla vera natura dell’animo umano che, accanto al buonismo, esibito più spesso di quanto esso sia reale, e la parte comica voluta nella commedia (il modo più immediato per avvicinare lo spettatore) dà la possibilità di creare con lo stesso un dialogo, cui l’uomo di oggi sembra non essere più abituato. Così, quasi a contraddire quello che diceva la voce fuori campo del prologo, si apre una partecipazione con il pubblico più consapevole perché condotta nel linguaggio che l’uomo conosce di più: la comicità che può essere messa in discussione ma che può agire inconsciamente come una funzione catartica.

https://www.youtube.com/watch?v=2bZvA9PQZO0

Cattiverie

Scritto e diretto da Luca Spadaro

con:  Sebastiano Bottari, Matteo Ippolito, Silvia Pietta, Massimiliano Zampetti

e con Valentina Londino

scenografie  Giulia Breno

costumi  Alberto Allegretti

assistente alla regia  Barbara Mattavelli

produzione : Teatro d’ Emergenza

Prima nazionale

In scena al Teatro Libero di Milano dal 12 al 17 giugno 2017

Si ringrazia Simona Griggio dell’ufficio stampa del teatro

FacebookTwitterPinterestGoogle +Stumbleupon