Giuseppe Zeno: cinema, teatro e Coronavirus
Attore conosciutissimo e amato dal pubblico con all’attivo numerosissimi ruoli in spettacoli teatrali, film per il cinema e per la televisione, oltre che fiction e cortometraggi, interpretando spesso personaggi che hanno colpito il cuore di milioni di spettatori lasciando un segno.
Ciao Giuseppe, grazie per aver accettato il mio invito per questa intervista.
Io partirei proprio dal tuo essere un attore che si è dedicato con passione e professionalità al mondo dello spettacolo su diversi fronti: cinema, televisione e teatro.
In Italia c’è un vizioso pregiudizio che alimenta la pessima convinzione che un individuo possa essere solo una cosa, o attore di cinema o attore di televisione o attore di teatro, come se queste realtà potessero esistere solo separatamente. Tu avverti l’esistenza di questa distinzione? A cosa la imputi? Hai mai subìto questo pregiudizio?
Credo che, al di là dell’aspetto della comunicazione, del mercato, abbia a che vedere con una sorta di insicurezza, come se la voglia di affermarsi, di affermare il proprio lavoro, portasse i singoli colleghi, prima che gli addetti ai lavori, a creare categorie distinte.
E’ una mentalità distorta e limitativa.
Anche io ho vissuto questa situazione e forse ancora oggi la continuo a vivere in qualche modo, ma io so di aver voluto seguire un certo percorso, ne avvertivo l’esigenza.
Non è importante se faccio cinema o teatro, ma come lo faccio. Chiaramente cambiano il registro, l’approccio al lavoro, il linguaggio, la cifra interpretativa, tutte cose che fanno parte degli strumenti che ognuno ha.
L’emergenza sanitaria legata al diffondersi del Coronavirus ha imposto la chiusura di cinema e teatri.
Tu avresti dovuto continuare una tournée di successo con lo spettacolo I soliti Ignoti, nell’adattamento teatrale di Antonio Grosso e Pier Paolo Piciarelli e tratto dalla sceneggiatura di Mario Monicelli, Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli e con la regia di Vinicio Marchioni.
Mi vuoi raccontare come avete vissuto il momento in cui avete capito che non era più possibile andare in scena?
Si trattava di combattere contro qualcosa di invisibile, la cui percezione era ancora sconosciuta, se non attraverso i drammatici episodi legati ai reali contagiati e ai reali ricoveri.
Ci chiedevamo cosa sarebbe accaduto; non pensavamo si sarebbe arrivati ad una totale chiusura. E’ stata una doccia fredda.
Credo che ognuno nel proprio lavoro abbia avuto le stesse sensazioni di incertezza e dubbio.
Ci sono altri progetti professionali a cui hai dovuto rinunciare?
Dal 16 marzo sarebbe dovuto partire un altro progetto con Anna Valle. Ero riuscito a incastrare con grande difficoltà tre lavori contemporaneamente: non si pensa, ma ci vuole tanto impegno nel preparare più progetti contemporaneamente e riuscire ad incastrare tutto.
A oggi, una delle ipotesi al vaglio è quella di riaprire i cinema e i teatri a dicembre 2020, mantenendo il distanziamento sociale. Quale pensi che sarà il futuro di cinema e teatro? Per gli attori sarà possibile girare un film mantenendo il distanziamento sociale? E recitare su un palco?
Puoi girare alcune scene, alcune sequenze, puoi creare delle situazioni ad hoc, ma non è possibile sviluppare una cinematografia o una serialità televisiva.
Per il pubblico sarà possibile e semmai come sarà possibile mantenere il distanziamento sociale nei cinema e nei teatri?
Forse si potrebbero programmare due settimane per uno spettacolo anziché una, per suddividere il pubblico, ma si occuperebbe il teatro per maggior tempo e girerebbero meno compagnie.
Una soluzione potrebbe essere, secondo me, replicare lo spettacolo due o tre volte nella stessa giornata e gli attori potrebbero considerala come un’unica giornata di lavoro, accettando una paga a giornata.
Che futuro attende i lavoratori dello spettacolo che di Arte vivono e cosa pensi lo Stato debba fare?
Foto di Massimiliano Fusco
I seicento euro erogati dallo Stato non cambiano la vita a nessuno, non spostano gli equilibri e non danno a chi ha perso tanto la possibilità di vivere.
Una persona si assume anche delle responsabilità e dei costi in base al lavoro che fa e Lo Stato dovrebbe intervenire sulla base di ciò che ognuno ha perso. Sta poi alla coscienza di ogni singolo lavoratore sapere se ha bisogno o meno dell’aiuto dello Stato.
Certo la precarietà rientra anche un po’ nell’economia del nostro lavoro, ma in prospettiva la situazione è drammatica. Questo fermo e l’incognita su una possibile ripresa rischiano di lasciare per strada tutte le persone che lavorano nello spettacolo e le loro famiglie. Pensa anche ai festival estivi che sarebbero dovuti partire e che fanno da volano a moltissimi spettacoli.
Se si fa subito qualcosa i danni possono essere limitati, ma se lo stallo prosegue, lì diventa davvero drammatico.
Cosa voi artisti, noi addetti ai lavori e pubblico appassionato potremmo fare per salvare il cinema e il teatro e chi ci lavora?
Sono particolarmente sensibile a quello che è l’aspetto della categoria perché ho vissuto in passato, e non ti nascondo a volte anche adesso, dei momenti molto difficili. Se il gruppo riuscisse ad ottenere i risultati proposti, si potrebbe fare qualcosa di storico che nemmeno in passato si è riusciti a fare.
Tutto ciò può accadere solo attraverso una forte assunzione di responsabilità per la quale il problema del singolo diventa il problema di tutti, così da restituire dignità a questo lavoro e a chi lo fa. Solo così potremo essere una grandissima forza.
Io ci spero; se non accade ora non accadrà più.
Se non altro abbiamo l’obbligo morale di farlo per la futura generazione di attori.
Cosa pensi del recente fenomeno del teatro on line? E’ fattibile un teatro fatto in questo modo?
Quanti sono quelli che realmente possono lavorare e crearsi un indotto? Solo chi ha un seguito enorme, ma questa arte è fatta di tante persone che operano dietro e che ora stanno a casa senza a lavoro.
Se legittimiamo questa formula, si dimenticano tantissime figure professionali: trasportatori, scenografi, elettricisti, direttore della fotografia, sceneggiatori, microfonisti, attrezzisti…
Uno spettacolo teatrale, per quanto sia possibile farlo vedere attraverso una registrazione, nasce per essere visto attraverso una cornice ad occhio nudo, da quinta a quinta, da sotto a sopra.
Il teatro è fatto di tempi suoi, è fatto di sospiri, è fatto di silenzi, è fatto di sorprese, di colpi di scena, è fatto di una luce che si spegne all’improvviso. Tutti elementi che si possono godere solo dal vivo e che la televisione non può restituire.
Se si assoggettasse alle misure televisive, il teatro snaturerebbe se stesso divenendo altro.
Non sono contro ciò che fanno i colleghi, ma io, nel mio piccolo, ho scelto di non cavalcare quest’onda.
Siamo stati fermati? Allora fermiamoci. Fermiamoci anche per rispetto di chi non ha la possibilità di poter attingere ad un tipo di bacino di utenza legato ad una popolarità. Non dobbiamo far passare l’idea che l’attore possa esistere fuori da quel contesto.
Fermiamoci anche per rispetto di chi ha bar, ristoranti, cantieri a attività chiuse.
Soprattuto perché dall’altra parte non credo ci sia una seria volontà di sostenere gli attori. Molti miei colleghi sono disperati, ma questo non arriva, non si percepisce. E’una situazione molto, molto dura: parliamo di migliaia di migliaia di persone. Io, nel rispetto loro, ho deciso di fermarmi fino a che non si capirà cosa possiamo fare.