Assegnati i Premi della Critica 2024 a Pier Luigi Pizzi, Giuliana De Sio, Davide Iodice, Anna Della Rosa, Tovaglia a Quadri, Peppino Mazzotta, Alessandro Nidi, Teatringestazione, Teatro Nest, Trilogia della città di K, Fausto Russo Alesi, Giuseppe Cutino, Gabriele Vacis, Veronica Cruciani
Si è tenuta al Teatro Verdi di Padova lunedì 11 novembre, alle ore 17, grazie all’ospitalità del Teatro Stabile del Veneto, la cerimonia di consegna dei Premi della Critica 2024, assegnati annualmente dall’Anct, l’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro presieduta da Giulio Baffi. Durante la cerimonia sono state lette le motivazioni delle giuria. Numerosi i vincitori, a partire dal Premio alla carriera nel nome di Paolo Emilio Poesio al regista e scenografo Pier Luigi Pizzi, per arrivare a “Trilogia della città di K” di Chiara Lagani e Luigi De Angelis, alla regista Veronica Cruciani, al musicista Alessandro Nidi e all’esperienza di teatro comunità “Tovaglia a quadri” di Anghiari. I soci dell’associazione hanno inoltre scelto diversi attori sparsi un po’ in tutta Italia, a cominciare da Giuliana De Sio per proseguire con Fausto Russo Alesi, Anna Della Rosa e Peppino Mazzotta. Premi anche al Teatro Nest di Napoli, a Giuseppe Cutino per la regia di “Totò e Vicé” di Scaldati, Davide Iodice per il progetto di scuola elementare del teatro. Due i premi distribuiti dalle riviste associate all’Anct: “Hystrio” che ha premiato Gabriele Vacis, e “Catarsi, i teatri delle diversità” che ha scelto Teatringestazione di Anna Gesualdi e Giovanni Trono.
Il Premio alla carriera nel nome di Paolo Emilio Poesio è andato quest’anno al regista e scenografo Pier Luigi Pizzi. Le regie di Pier Luigi Pizzi, sempre affascinanti per quel quid magico di bellezza e di pensiero che incanta nell’equilibrio di scenografia e colori, costumi e ritmo, ironia e passione – una poetica del tutto personale densa di cultura e divertimento – svelano ogni volta, in forma sorprendente, il piacere dell’interpretazione, sia che si tratti di teatro in prosa o di libretti e spartiti, sempre con il gusto della scoperta, scoprendo altri significati possibili. Inutile tentare di elencare messinscene, direzioni artistiche, onorificenze (le massime in Francia) e riconoscimenti internazionali, l’ultimo dei quali l’anno scorso, il premio internazionale Antonio Feltrinelli per la regia distribuito dall’Accademia dei Lincei. Il premio ANCT alla carriera non ha vere motivazioni: il nome brilla di luce propria. E questo è sicuramente vero per Pier Luigi Pizzi che inizia così il suo piacevolissimo libro “Non si può mai stare tranquilli”, da poco pubblicato: “Ho sempre saputo che il mestiere del teatro avrebbe dato un senso alla mia vita”. E il teatro si è arricchito, elevato ai gradi più alti per merito di questa sua vocazione: il Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro gli viene consegnato con infinita riconoscenza anche per aver avvicinato prosa e lirica, fondendo magistralmente estetica e pensiero interpretativo. Molti registi teatrali sono stati invitati nel tempo a cimentarsi con l’opera, difficile però raggiungere l’estrema raffinatezza di Pizzi, che, dai costumi e le scenografie è quindi arrivato alla realizzazione totale dell’evento scenico nella consapevolezza che “fare teatro è prima di tutto un mestiere. Bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare. In oltre settant’anni di carriera non ho mai smesso di farlo”. E Pizzi è stato nei primi annidi attività scenografo di tanti registi. “Quando ho iniziato si usavano ancora le scene dipinte”, per arrivare a soluzioni “più dichiaratamente architettoniche e volumetriche”. E con il teatro ha viaggiato e tuttora viaggia per il mondo. Fondamentale l’impegno con la Compagnia dei Giovani, con Giorgio De Lullo e Romolo Valli con cui iniziò nel 1956 una meravigliosa avventura durata vent’anni, una attività segnata da creazioni che hanno fatto la storia del teatro. Non si può non segnalare anche il sodalizio con altri grandi della scena, da Guido Salvini a Franco Enriquez a Luigi Squarzina e Luca Ronconi negli anni Settanta, prima di fare il salto nella regia diventando responsabile in toto della creazione scenica. Centinaia gli allestimenti nei teatri più importanti del mondo tra cui l’amata Scala. Maestro insuperato del barocco, rossiniano fervente, per lui il teatro di prosa e quello lirico sono due facce della stessa medaglia. “Sulla scena il naturalismo spinto all’eccesso è sempre pericoloso. Il teatro deve essere allusione, finzione, simbolismo…Ho sempre pensato – dice – che mi avrebbe convinto di più l’astrazione, rimando costante della finzione a una realtà vicina alla poesia”. Artista a 360 gradi, Pizzi al cinema ha collaborato con cineasti del calibro di Bolognini, Vancini, Montaldo, De Sica e Fellini (per il quale progettò le scene de “Il viaggio di Mastorna” mai realizzato). Decine e decine gli autori di prosa affrontati da scenografo e costumista e poi da regista, dai classici ai contemporanei, fino ai recenti lavori dell’amato Tennessee Williams. L’impazienza è il suo mantra – dice Pizzi – “da non confondere con la fretta che ne è l’opposto”. A Pier Luigi Pizzi, per il gran teatro che ci ha regalato nei suoi 70 anni di vita teatrale, va dunque il Premio Anct 2024 nel nome del grande critico Paolo Emilio Poesio, sicuri che, come dice nella chiosa del suo libro “sarà un impulso a continuare”, perché, sì, Pier Luigi Pizzi “ha ancora tante opere da interrogare. Il cielo può attendere”.
Riconoscimenti alla “Trilogia della città di K” da Agota Kristof, di Chiara Lagani e Luigi De Angelis quest’ultimo anche regista. Il progetto, di Federica Fracassi e Fanny & Alexander, è un lavoro teatrale che profuma di ardita scommessa, ma soprattutto che vuole indagare con intelligenza ed eleganza la potenza del linguaggio, la forza di quelle parole, scritte sul Grande quaderno e che nel momento in cui vengono scritte divengono realtà o forse sublime menzogna. Parole, parole, parole che la scrittrice compone, mette insieme e con esse inventa o reinventa, modifica o plasma la realtà, facendo della propria intimità un’esperienza condivisa nella lettura delle pagine della trilogia. La “Trilogia della città di K”. rappresenta non solo il desiderio di dare corpo scenico all’opera della Kristof, ma soprattutto è un lavoro con cui Luigi De Angelis e Chiara Lagani di Fanny & Alexander, fanno i conti con la loro estetica, portano a magnificente realizzazione la loro costante riflessione sulla potenza del linguaggio, casa dell’essere. Al tempo stesso Federica Fracassi che considera la “Trilogia della città di K”, una sua dolcissima ossessione, s’annulla nell’incarnare i panni della scrittrice. E in ciò c’è lo spirito di un allestimento complesso, ambizioso, che rappresenta l’esempio di un mettersi al servizio della magia del teatro. Questo fanno Fanny & Alexander e Fracassi e tutto l’articolato cast dello spettacolo: ribadire la forza del teatro come magnifica invenzione, come spazio dell’azione che si fa pensiero e del pensiero che si fa emozione. Per questo loro appassionato creare, che dà conto di saper pensare in grande, va il Premio Anct 2024.
Nutrita la compagine degli attori scelti dai soci dell’associazione sparsi in tutta Italia. A cominciare da Giuliana De Sio. Affetti, rancori, tormenti e verità nascoste, dolori e solitudini, è una crudele discesa nell’infelicità esistenziale quella che compie De Sio, protagonista in questi anni di due impietose “commedie di famiglia”, “Agosto a Osage County” di Tracy Letts, e “Cose che so essere vere” di Andrew Bovell, attualmente in scena, marchiate a fuoco dalle straordinarie interpretazioni dell’attrice salernitana. Nell’una Giuliana è Violet Weston. Sigaretta sempre in bocca, parrucca bionda, è una donna sfatta dagli psicofarmaci, che si muove nel terreno fertile di una depressione figlia dell’inconciliabile rapporto con i propri familiari, anch’essi martoriati da complessi e problemi. Violenta e cinica, crudele e ironica, De Sio si muove tra dolente umanità e fermento autodistruttivo con sorprendente naturalezza e adesione. In “Cose che so essere vere”, altro spaccato tragicomico di famiglia disfunzionale, Giuliana è Fran Price, infermiera con un marito protettivo e incapace, e quattro figli in crisi generazionale di cui non sa intercettare i bisogni. L’attrice sa entrare con autorevolezza nelle asprezze di questo personaggio modulando con consumata destrezza spigolosità ed energia, amore soffocante e autoritarismo, premura e tensione nevrotica, sempre alla ricerca disperata, talvolta con effetti comici, di una connessione con il mondo dei figli che sente sfuggirle. Due prove, insomma, che ci restituiscono un’attrice in stato di grazia e per questo ben meritevole del Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici Teatrali.
Fra i premiati Fausto Russo Alesi, attore di cinema e teatro, ed è davvero difficile stabilire una priorità di un ruolo sull’altro. Rigoroso e colto, appartiene a quella generazione di attori (ma anche di drammaturghi/attori) di origine meridionale che dal Sud, dalla Sicilia in particolare, sono approdati al Nord per aprirsi a nuove esperienze, per creare nuove sinergie. Ed è proprio nel segno della conoscenza e dello studio serio e profondo che Fausto si è mosso sin dall’inizio, dal diploma alla “Paolo Grassi” di Milano alla frequentazione di personaggi importanti della cultura teatrale contemporanea. Si pensi al sodalizio con Luca Ronconi, Serena Sinigaglia, Peter Stein e Gabriele Vacis. La partecipazione a film importanti ed il rapporto con un regista come Marco Bellocchio hanno senza dubbio completato e arricchito la sua profonda preparazione ed il suo costante bisogno di provare nuove esperienze come la formazione dei giovani o la riscrittura per la scena di classici europei come “Padri e figli” di Turgenev, nell’adattamento di Fausto Malcovati, nato al Centro teatrale di Santa Cristina di Ronconi, o il più recente “Ifigenia in Aulide”, in cui Russo Alesi ha collaborato alla riscrittura con Letizia Russo nell’ambito del Progetto Bottega XNL-Fare Teatro creato da Paola Pedrazzini. Un prezioso esempio di contributo alla denuncia della guerra, di tutte le guerre. Nella sua carriera un posto di rilievo occupa senza dubbio il suo approccio a Eduardo attraverso due progetti diversi ma complementari: “Natale in casa Cupiello”, operazione ardita, non un monologo ma ”un assolo” dove il testo suona come un meraviglioso spartito musicale di toni e di timbri diversi che vibrano, e “L’arte della commedia”, riflessione sul teatro, sul potere e sulla censura e sul diritto di ogni cittadino ad essere tutelato e protetto nei suoi diritti. Un Oreste Campese immenso che commuove e scuote gli animi.
Premiata fra le attrici Anna Della Rosa, che in “Erodiàs” e “Mater strangosciàs” di Giovanni Testori si dimostra testimone dell’arte, incarnazione dell’effimero della scena nel passaggio di testimone da maestro a prescelta per proseguire il magistero dell’arte. E così i due lai di Testori si aprono con la lettera di Sandro Lombardi ad Anna Della Rosa in cui l’attore affida all’attrice il suo spettacolo, il suo Testori. Anna fa della partitura attoriale di Lombardi uno spartito di straordinaria potenza e di incredibile controllo esecutivo. L’attrice respira, recupera nei toni la recitazione dell’attore e la fa propria, mostra un assoluto dominio delle sue doti mimico/vocali offrendosi come strumento in carne e voce della parola poetica di Testori. Ne fuoriesce un canto straziante e iroso, un esercizio di stile e di virtuosismo che mostra e dimostra senza ombra di dubbio le potenzialità espressive dell’interprete che si mette al servizio del testo, fa della parola un suono che riecheggia, ne scioglie i giochi e rimandi linguistici, ne evidenzia il ritmo poetico. E allora la forma prende il sopravvento sul contenuto, il dolore delle due donne testoriane si trasforma in suono, fonema, potenza attoriale, omaggio all’arte dell’attore, omaggio a Sandro Lombardi. Ad Anna Della Rosa va dunque il Premio dell’Associazione Nazionale Critici di teatro, riconoscimento per una dedizione sacerdotale e rituale all’arte della scena e al mistero della parola incarnata.
Riceve il premio anche Peppino Mazzotta. Non solo teatro ma anche cinema e televisione sono gli ambiti in cui emergono le grandi capacità di Peppino Mazzotta, tuttavia è nel teatro che questo attore ritrova la sua specificità, la sua più forte inclinazione. Colpisce di lui una certa inquietudine che lo spinge ad una costante sfida verso se stesso ma anche una riservatezza nella sua vita privata come nella sua arte. C’è stata sempre in lui una forte dedizione, uno studio costante, una ricerca continua della perfezione. Altrimenti non si comprende la sua interpretazione, giovanissimo, a soli vent’anni nel ruolo di Tartufo con la regia di Toni Servillo nella commedia di Molière. La sua terra d’origine, la Calabria, in particolare un paesino di montagna della Calabria sconosciuta, è nato a Domanico, hanno certamente inciso sulla sua prima formazione e sulla sua tendenza a sperimentare nuovi linguaggi dove la tradizione si rinnova continuamente: si pensi a “Arrobbafummo”, per esempio. L’esperienza con Albertazzi ne “Le memorie di Adriano”, come la partecipazione ad uno spettacolo come “Tomba di cani” di Letizia Russo, con la regia di Cristina Pezzoli, o ancora a “‘Nzularchia” di Mimmo Borrelli hanno certamente confermato le sue ineguagliabili capacità verso la forma teatro. Ma un lavoro in particolare ”Giuseppe Z” (testo, regia e interpretazione di Mazzotta) rivela la sua forte propensione per i temi sociali e politici, in particolare l’emigrazione, la povertà, e conferma la sua idea di teatro libero e libertario senza preconcetti e appartenenze. Attore sincero e coraggioso Mazzotta ha sempre denunciato la violenza della guerra e i suoi risvolti drammatici; per questo motivo certamente lo spettacolo che più si avvicina al suo modo di sentire è “Radio Argo”, testo di Igor Esposito, performance per voce e musica, una densa partitura caratterizzata da una inequivocabile vocazione libertaria sia nella prima (2011) che nella seconda stesura del testo.
Premio anche al Teatro Nest di Napoli, progetto nato da una forte comunione di intenti e da una profonda amicizia che sono alla base di un importante progetto comune. La volontà di Francesco Di Leva, di Giuseppe Miale di Mauro e di Adriano Pantaleo, insieme a tanti amici e collaboratori appassionati, uniti, dal 2007 ad oggi, nell’intento di creare una realtà culturale importante all’interno di un contesto sociale particolare, ha prodotto un progetto eccellente, un’esplosione si potrebbe definire, dando vita al NEST. L’acronimo che deriva da Napoli est, indica la periferia est di Napoli, in particolare luoghi come San Giovanni a Teduccio, dove sorge il teatro, Ponticelli, Barra e il famoso “ Bronx”, come viene chiamato dai giovani del luogo, una zona caratterizzata da palazzi anonimi, abnormi, rinvigoriti dai murales di Jorit in onore di Maradona. Le periferie di Napoli sono tutte differenti, problematiche, multiformi e multietniche: una palestra in disuso diventa un teatro curatissimo, che genera una compagnia, laboratori, uno spazio che coinvolge i giovani e gli abitanti del luogo e che si apre all’intera città. Il NEST rappresenta un’esplosione concentrica che accoglie e abbraccia la drammaturgia contemporanea, ospita attori e produzioni di qualità, una interessante biblioteca di testi teatrali. Si è affermato non solo come luogo di sviluppo culturale in un quartiere a rischio, ma soprattutto come Teatro la cui stagione è da tanti attesa, recensita, osservata e acclamata. Dal teatro al cinema, dallo sport alla letteratura, dalla politica al sociale il teatro NEST, di nuova generazione, così come la Compagnia NEST, sono un aspetto ineludibile della complessa e attiva Napoli teatrale.
A Giuseppe Cutino va il premio per la regia di “Totò e Vicé” di Scaldati, «Dicono che il mondo lo creò un suono»: così scrive Franco Scaldati, maestro del teatro contemporaneo. Non poteva quindi esserci modo migliore per dare vita scenica a “Totò e Vicé”, “operina musicata per ombre e voci”. Il regista Giuseppe Cutino sa qui orchestrare un tessuto poetico e fonico che traduce l’universo di Scaldati in un’esperienza di teatro puro, dove suono, parola e movimento diventano carne viva della scena. Le musiche di Maurizio Curcio, eseguite insieme a Pierpaolo Petta, astratte, siderali e minimaliste, creano un amalgama primordiale che avvolge scena, luce, spazio e corpi. Totò e Vicé, interpretati da Rosario Palazzolo e Anton Giulio Pandolfo, sono esseri sospesi tra vita e sogno, figure evanescenti che si perdono dentro abiti troppo grandi. Anime che non abitano ancora un corpo, bambini in attesa di nascere o morti in attesa di risorgere, vivi e morti nello stesso tempo, ci svelano come morte e vita siano l’una il rovescio dell’altra. Le voci archetipiche e potenti di Sabrina Petyx ed Egle Mazzamuto si smaterializzano in puro suono, puro racconto, pura poesia. Con la sua regia, Cutino ci traghetta in uno spazio figurale libero dai vincoli della coerenza e della logica, trasformando il testo di Scaldati in una partitura visiva e sonora che evoca un altrove metafisico, in cui vita e morte, visibile e invisibile, si fondono e superano i confini del reale, un’opera di raro equilibrio e intensa profondità. Per questo a Giuseppe Cutino va il Premio Anct 2024.
A Davide Iodice per il suo progetto di scuola elementare del teatro viene assegnato il Premio ANCT. Il suo “Pinocchio che cos’è una persona” è lo spettacolo che ha rivelato al pubblico l’emozione coinvolgente del lungo e paziente lavoro di Davide Iodice che scruta e lega in solide rappresentazioni le tante sfaccettature del fare teatro. Regista e autore di percorsi faticosi che si protendono verso una possibile felicità collettiva, ha firmato progetti come “Rosaria”, “Esclusi – antologia scenica di vite di scarto”, “La fabbrica dei sogni”, “Un giorno tutto questo sarà tuo”, “I giganti – favola per la gente ferma”, Mal’essere”, “Che senso ha se solo tu ti salvi”, componendo spettacoli sul ricordo e sulla necessità della gioia, sui giorni di vita difficile, presenze lontane, memorie non rimosse, racconti di disagio che mostrano con disperata fiducia la necessità dell’amore. “Il nostro non è un teatro-tenda ma un circo-teatro, luogo aperto dove lavorare e creare inseguendo suggestioni e fondendo saperi di spettacolo”, dice con le parole del maestro ed amico Antonio Neiwiller, e questa idea di comunione grande e di apertura priva di esitazione gli ha consentito di creare la Scuola Elementare del Teatro, Conservatorio Popolare per le Arti della Scena, coinvolgendo gruppi e culture privilegiate insieme a persone con disagio economico, sociale e con disabilità fisica e intellettiva per elaborare progetti di teatro contemporaneo di cui è instancabile motore, nima pensosa e lieta che chiama a raccolta chi, come lui, vuole spingere lo sguardo verso un oltre che sia gioia di vivere il teatro.
Consegnato il premio anche alla regista Veronica Cruciani, donna battagliera e rigorosa, indipendente e poco incline alle mode. Merce rara di questi tempi. A dimostrarlo, il suo ormai lungo e articolato percorso di regista e di pedagoga. Nei suoi spettacoli ha infatti saputo intrecciare memoria del mito (Le nozze di Antigone) e storie di emigrazione (Ballare di lavoro), ricerca sul campo nelle periferie urbane e drammatici spaccati sociali (Il ritorno, La palestra), grandi classici anche in forma di riscritture (Shakespeare, Goldoni/Fassbinder, Pinter, Strindberg, Genet) e drammaturgia contemporanea (Due donne che ballano, La febbre), senza trascurare adattamenti da romanzi (Accabadora). Ma non è solo questione di innegabile talento artistico e di ampiezza di sguardo nella scelta dei testi, segno di sana curiosità intellettuale senza pregiudizi. Veronica, in tanti anni di duro lavoro, ha affinato la sua poetica e vocazione registica nella direzione di un teatro di parola e d’attore capace anche di veicolare passione civile e politica. Passione che la portò nel 2004 a fondare una sua compagnia, a creare laboratori di collettività, a dirigere un teatro nella periferia romana (il Quarticciolo), a praticare il teatro sociale e a insegnare nelle più importanti Scuole di teatro d’Italia. Una capacità di stare a tutto tondo nel teatro – non dimentichiamo, infatti, i suoi esordi d’attrice – che rende oggi Veronica Cruciani un’artista di riferimento della scena nazionale per determinazione, bravura, indipendenza culturale e coerenza politica.
Il Premio dell’Associazione Critici di Teatro ad Alessandro Nidi vuole essere soprattutto un grazie, grazie di cuore da parte del teatro, infinitamente riconoscente per lo straordinario contributo regalato alla scena componendo musiche, guidando cantanti, mescolando generi, classica e pop, partecipando con intelligente sensibilità alla drammaturgia degli spettacoli. Compositore, pianista, direttore d’orchestra, una storia di multiformi esperienze in Italia e in Europa. Alessandro Nidi collabora con l’orchestra sinfonica Toscanini; dirige in prima mondiale “Genesi” di Franco Battiato; compone diverse opere; a Parma ha diretto per anni le iniziative musicali delle Briciole e di Teatro Due; ogni anno viene riproposta al pubblico “L’Istruttoria” di Peter Weiss, regia di Gigi Dall’Aglio, coraggiose le musiche di Nidi. Di formidabile teatralità il Trio Gardel, con un bel repertorio legato al 900. Numerose le incisioni. Tra le collaborazioni il “Pierrot Lunaire” di Schönberg al Massimo di Palermo. Ha guidato al canto grandi attrici come Maddalena Crippa, Adriana Asti, Laura Marinoni; ha creato le musiche di ’”Electra”, regia di Peter Stein a Epidauro; lunga la tournée europea del suo musical “Scrooge”; ha creato sinergie collaborative con Lucio Dalla, Elio e le Storie Tese, Francesco Guccini, partecipando a regie di Moni Ovadia, Mario Martone, Giorgio Barberio Corsetti. Per questo e tanto altro il teatro italiano ringrazia Alessandro Nidi, le cui musiche sanno arricchirlo meravigliosamente e renderlo più denso, leggero, affascinante.
“Tovaglia a quadri”, «cena toscana con una storia da raccontare in quattro portate», con drammaturgia originale di Paolo Pennacchini e di Andrea Merendelli, che ne cura anche la regia, è tradizione inventata, è memoria, storia agita e interpretata dagli abitanti della Valtiberina, insieme ad attori professionisti. Che si tratti di raccontare i disastri della sanità pubblica e la nostalgia dell’antico rapporto fra medico e paziente, o ancora delle miserie e poetiche relazioni di una Rsa destinata alla chiusura oppure che si recuperi le storie di quei poveri matti a cui Franco Basaglia restituì dignità umana, “Tovaglia a quadri” è convivialità che si fa comunità, è la microstoria che incontra la storia con la S maiuscola, è il passato che flirta col presente per ammonire sul futuro inquieto dei nostri anni. Dimostra inoltre come il teatro sappia essere spazio e tempo per mantenere viva l’identità della comunità, proponendo questo senso di appartenenza come un’àncora di salvezza al nostro presente fluido e oscuro. Storia locale e memorie della comunità di Anghiari si intrecciano con temi di attualità, il tutto giocato in un racconto impreziosito dal piacere della tavola e dei piatti toscani. Il menu di “Tovaglia a quadri” è destinato ad appagare non solo la pancia, ma anche il cuore e a far sentire gli spettatori meno soli, a indicare una via che dice che la comunità di intenti e di sogni è ancora possibile. A questa battagliera forza utopica, alla poesia della semplicità di una tradizione quasi trentennale, alla capacità di riscoprire il teatro come collante comunitario va il Premio dell’Associazione Nazionale Critici Italiani.
Due i premi distribuiti dalle riviste associate all’Anct. “Hystrio” ha scelto Gabriele Vacis, da più di quarant’anni protagonista della scena nazionale, anche se sempre a rigorosa distanza dalle luci della ribalta, forse per riservatezza tipicamente piemontese, Gabriele Vacis ha contribuito a disegnare la fisionomia del teatro italiano contemporaneo. Con Laboratorio Teatro Settimo, fondato con un gruppo di amici, complici nel 1982, conia un originale linguaggio in cui convivono il nascente teatro di narrazione, una cifra visiva tanto apparentemente semplice quanto emotivamente coinvolgente, e un dichiarato impegno “politico”, nutrito dalla granitica convinzione che il teatro debba essere frutto di consistente necessità, umana, etica e sociale. Un’idea costantemente alla base del percorso compiuto da Vacis anche dopo la fine dell’esperienza di Laboratorio Teatro Settimo: anni in cui all’attività di regista, si affianca quella di pedagogo, non solo con l’insegnamento alla Scuola Paolo Grassi o all’Università Cattolica ma anche con l’elaborazione e la pratica della cosiddetta “schiera”, debitrice della lezione di Grotowski e fondata sulla necessità della consapevolezza di sé e dell’ascolto da parte degli attori. Una vocazione pedagogica che di recente ha favorito la nascita della compagnia PEM – Potenziali Evocati Multimediali, fondata dagli attori diplomati alla Scuola del Teatro Stabile di Torino alla fine del suo triennio di direzione: un virtuoso passaggio di consegne, in cui il regista ha messo a disposizione una generosa volontà di trasmissione di saperi ed esperienze, unita a un’attitudine al dialogo e a un fertile confronto intergenerazionale quanto mai raro in questo Paese.
“Catarsi, i teatri delle diversità” ha optato per il Teatringestazione di Anna Gesualdi e Giovanni Trono. Teatringestazione è una compagnia multidisciplinare, fondata a Napoli nel 2006 da Anna Gesualdi e Giovanni Trono, autori, registi performers, a cui si sono uniti nel tempo Loretta Mesiti (dramaturg) e di volta in volta artisti e performers internazionali prendendo parte a produzioni e progetti culturali (tra tutti ricordiamo Altofest International Contemporary Live Arts), creando opere d’arte, dispositivi partecipativi e multiformi, programmi di formazione ed educazione, con una particolare attenzione ai processi di condivisione. Esiti di alta artisticità, ancora una volta sono stati recentemente manifestati per la XXI edizione di HangartFest a Pesaro, dove hanno riproposto “Footloose”, azione urbana partecipativa con un gruppo di migranti richiedenti asilo e distinguendosi con il nuovo lavoro interattivo, “Monás-La reale sostanza delle cose” (2024), una “coreografia auto-generativa e live cinema”, come gli autori l’hanno definita, che indaga lo statuto dell’immagine nell’era della “schermocrazia”, a partire da una riflessione sul pensiero di Debord. Non ci si può sottrarre alle interrogazioni che Gesualdi/Trono ci pongono, sin dalle prime sperimentazioni espressive nel Manicomio Giudiziario di Aversa, alla ricerca di una presenza forte del corpo in scena, nel suo essere complesso e valorizzando la potenzialità trasformativa dell’arte scenica. “Il mio mondo era circoscritto in una sfera emotiva particolare. Con Anna e Giovanni mi sono liberato di quel velo che mi impediva di comunicare con l’esterno”: sono parole di Giuseppe Rossano, ex internato ad Aversa, poi in viaggio con Teatringestazione con la performance “Beckett On Air” ispirata all’opera radiofonica “All That Fall”. E il lavoro in carcere continua, prima a Poggio Reale e oggi a Secondigliano con straordinari esiti a favore di un sempre nuovo e intenso linguaggio per la scena.
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per stampare (Si apre in una nuova finestra)