
Santo piacere – Teatro Brancaccio, 10 aprile 2019
Se ne è parlato tanto, sembra il personaggio emergente del momento: Giovanni Scifoni, dopo aver sbancato in poche ore le settimane di tenitura del Teatro Brancaccino e del Sala Umberto, fa il pienone nell’unica data al Teatro Brancaccio con lo spettacolo Santo Piacere.
Tutto ciò ha creato grandi aspettative personali che sono rimaste, però, frustrate dal risultato finale.
Giovanni Scifoni con Santo Piacere si pone lo scopo di risolvere una volta per tutte l’eterno conflitto tra fede cristiana e piacere sessuale.
La scena si apre sul palco diviso immaginariamente in tre spazi: a sinistra una piramide di libri (la cultura, lo studio, la conoscenza, le informazioni che si raccolgono e stratificano); al centro un inginocchiatoio su cui pende una lampadina nuda; a destra un crocifisso bizantino ingombro di oggetti: una stola viola, una papalina, un fez, un retino, delle cesoie, una scopa…
Scifoni pone al centro del racconto se stesso e le proprie esperienze personali. All’interno del conflitto tra sesso e amore, tra fede cristiana e istinto, egli si chiede: “ma io cosa voglio, a me cosa piace?”, rendendo partecipe il pubblico del proprio percorso umano e spirituale, condividendo le proprie considerazioni e il proprio atteggiamento nei confronti dell’argomento.
Passa da un discorso a un ricordo, da una storia personale a considerazioni generali, attraverso citazioni erudite in un flusso di coscienza a tratti divertente, ma scomposto e disorganico.
Il racconto attraversa diversi concetti senza approfondirne nessuno: si parla della sacralità della donna, dell’obbedienza alla natura, degli stimoli esterni che condizionano i comportamenti umani.
Piano piano lo spettacolo si rivela una lezione di catechismo a teatro: una lezione divertente, portata avanti con maestria e capacità dialettica, ma pur sempre un sermone, sullo stile di quelli americani che si vedevano una volta in televisione.
Molto lentamente si delinea un quadro che parte da spunti interessanti, ma vira verso conclusioni non necessariamente condivisibili.
Scifoni individua il discrimine di tutti i problemi dell’uomo in materia sessuale nella morale cattolica, che abbraccia totalmente, ma di cui non esplora gli aspetti scomodi: propone una propria visione ed una soluzione personale che cerca con sottigliezza di far passare come universale; mette in guardia dai condizionamenti esterni, ma sembra a sua volta voler condizionare chi lo ascolta.
La drammaturgia non è brillante: anche gli altri due personaggi che interpreta (l’ingenuo Don Mauro, rappresentante di un catechismo semplice e immediato e Rashid, pizzettaio musulmano modernista) e le incursioni in scena di una presenza femminile tentatrice che egli si impone di evitare, non hanno forza e non aggiungono nulla.
Lo spettacolo arriva ad essere addirittura irritante quando insinua che solo un uomo e una donna sposati possano essere capaci di amore e sacrificio quando, invece, possono esserne anche gli atei, gli agnostici, quelli che hanno creduto, quelli dubbiosi, quelli che vivono una propria spiritualità.
Il messaggio veicolato da Santo piacere ci riporta ad una considerazione del rapporto tra fede e piacere di tipo medievale. E’ uno spettacolo che vuole fare la morale, che sembra voler catechizzare e dire cosa sia giusto e cosa sbagliato.
Giovanni Scifoni è un attore molto bravo, presente, coinvolto e ha una bella voce. Eppure, mentre scena dopo scena si spoglia dei propri abiti come a volersi liberare dai pregiudizi e dai luoghi comuni, invece finisce per imporre un enorme pregiudizio: che sia corretto, vero e giusto solo quello che egli sta rappresentando.
Se è vero, come egli stesso recita, che “l’amore di Dio ha riempito il mondo di piacere e Dio è contento quando godo” allora non bisognerebbe imprigionare il piacere e l’amore, ma si dovrebbe poterli lasciare andare per il mondo.
Santo Piacere
Dio è contento quando godo
Produzione Engage
di e con Giovanni Scifoni
regia Vincenzo Incenzo
balla Anissa Bertacchinini
Caro sig.Boni, non sono affatto d’accordo . E non credo proprio di essere l’unico. Io l’ho visto con un gruppo di amici tutti non credenti, appassionati di teatro, e tutti ci hanno trovato una splendida rappresentazione di teatro puro, nessuno una lezione di catechismo. Scifoni racconta quello che ha vissuto, quello in cui crede, fra cui anche la stupenda e sconvolgente storia d’amore dei suoi genitori. E la racconta molto bene. Il fatto che la di lui esperienza e quello in cui lui crede sia diversa dalla Sua, e nello specifico legata al cristianesimo, nulla toglie a qualsiasi altra esperienza o credo, anzi. Se lei si trova a dissentire dalle opinioni personali dell’artista, liberissimo di farlo, ma ogni artista che si rispetti porta in scena quello in cui crede, senza nessuna pretesa di imporlo agli altri. Cosa su cui chiaramente Scifoni e’ particolarmente attento. La scelta della figura di Rashid e’ un esempio anche di questo. Ho visto quasi tutti i suoi spettacoli e fa sempre cosi. 10 anni fa lo vidi in un centro sociale, con il primo spettacolo di questo genere “Guai a voi ricchi”, sempre improntato sulla fede. Una platea completamente atea che lo applaudiva. Il modo in cui presenta questi temi, che sono universali, e’ sempre aperto alla discussione e al dubbio, che lui stesso dichiara spesso di avere…
Per cui non mi sembra proprio onesto bollare di “catechismo” uno spettacolo che fa teatro, trasmettendo delle idee personali cosi come qualsiasi attore fa, e che stimola sane discussioni e pensieri, anche discussioni in disaccordo senza dubbio. Infine la conclusione, che lei mette e’ parecchio banale. E’ vero che alla fine dello spettacolo, insieme a tanti interrogativi, volutamente aperti e lasciati aperti, arriva un messaggio preciso e forte. Il messaggio e’ che -secondo quanto crede l’artista- pieno compiento della sessualita’ e’ la fedelta’ “nella gioa e nel dolore nella salute e nella malattia”. Se lei pensa diversamente e’ liberissimo di farlo, ma non puo’ pretendere di imporre il Suo contenuto e la Sua visione a un qualsiasi artista, che debba presentare esattamente la Sua idea di amore…con tutto il rispetto. Altrimenti il catechismo celo fa Lei, Con cordiali saluti. Sebi.
Egr. sig. Sebastiano,
grazie del cordiale messaggio.
Fermo restando che la mia è una critica teatrale, quindi posso esprimermi sui contenuti tecnici dello spettacolo tra cui la drammaturgia non brillante e dei concetti abbastanza comuni, è anche vero che, ovviamente, esista della soggettività.
Le rispondo volentieri punto per punto.
Che Scifoni racconti la sua esperienza l’ho ribadito diverse volte, come ho detto anche che è bravo. Quello che non mi piace è che voglia imporla come Verità assoluta (io questo leggo tra le righe)
Lei non può sapere se la mia esperienza sia diversa dalla sua dando per scontato che io sia ateo. In questo commette un’ingenuità e cade nel pregiudizio. Infatti le parlo da uomo che ha avuto una formazione ed educazione cattolica, che ha fatto il catechista e che ha vissuto la Chiesa per almeno trent’anni in maniera molto attiva (vespri, messe cantate, spettacoli a sfondo religioso, ritiri spirituali, progetti educativi e di reinserimento). Conosco molto bene l’ambiente di cui Scifoni parla e dall’interno. Il fatto che io oggi non frequenti più così assiduamente non è dovuto ad alcuna crisi mistica. La mia Fede resta la stessa, solo la vivo diversamente.
La figura di Rashid è strumentalizzata e volta a sottolineare la differenza culturale.
Sono stra felice del successo di Scifoni, lungi da me augurargli diversamente e sono ben contento e consapevole che lui e il suo lavoro piacciano molto. Non si può, però, piacere a tutti e siccome so di cosa parlo, mi permetto di dissentire e di mettere in guardia su una chiave di lettura diversa. Poi ognuno sceglie quella che preferisce.
Lei commette una serie di imprecisioni:
“non mi sembra proprio onesto bollare di “catechismo” uno spettacolo che fa teatro”: non c’entra nulla l’onestà, anzi semmai va premiata la mia di onestà a dissentire di fronte invece ad un gradimento di pubblico quasi assoluto. Tra l’altro questo spettacolo non fa teatro, il teatro è altro. Questo è un comizio/sermone.
“trasmettendo delle idee personali cosi come qualsiasi attore fa”: sbagliato. Quasi mai un attore trasmette idee personali. In questo caso vorrebbe dire che tutti gli attori che interpretano assassini, ladri o stupratori lo siano (io non lo credo). L’attore interpreta un ruolo, non è richiesto che egli creda in quello che dice, ma deve fingere benissimo di farlo.
“Se lei pensa diversamente e’ liberissimo di farlo, ma non puo’ pretendere di imporre il Suo contenuto e la Sua visione a un qualsiasi artista” grazie a Dio siamo ancora in un Paese libero e posso pensarla diversamente e anche scriverlo. Non pretendo di imporre il mio contenuto: la sua frase è un giochetto superficiale. Sono un critico quindi sono chiamato ad analizzare uno spettacolo. Non ho alcuna intenzione di imporre alcuna opinione, ma posso mettere in guardia dal rischio di certe affermazioni che fanno passare messaggi parziali (non ho scritto sbagliati), ma di parte.
“la Sua idea di amore”: perché lei sa quale sia la mia idea di amore? (non mi risponda, la domanda è retorica).
“Altrimenti il catechismo celo fa Lei”: potrei benissimo farlo (ripeto, sono stato un catechista), ma non ne ho nessuna intenzione. Non è il mio ruolo.
Grazie a lei e distinti saluti.
Gentile sig. Boni.
La ringrazio della dettagliata risposta, anche se continuo a dissentire parecchio su quello che dice e su molte cose credo che proprio non ci siamo capiti.
Io ho detto “Se la pensa diversamente”, perche’ non la conosco affatto e non ho alcuna idea di quello che pensa. Mi rallegra sapere che e’ tuttora credente, perche’ e’ la cosa migliore che potrei augurare ai miei figli e a chiunque mi stia a cuore di mantenere la fede per tutta la vita. Una opinione del suo pensiero pero’ Lei l’ha espressa nella sua critica, “la passione uno dovrebbe lasciarla fluire liberamente” e su quella mi sono pronunciato, non essendo d’accordo. Ma questo forse e’ un discorso troppo grande e fuori dal contesto della discussione specifica sul lavoro di Scifoni.
Il problema e’ che Lei fa di quello che “legge tra le righe” il tema portante della sua recensione.
Ferma restante la liberta’ di esprimere una qualsivoglia opinione, e ci mancherebbe, e sicuramente la positivita’ di contribuire con opinioni diverse a fronte della stragrande maggioranza del pubblico e della critica specialistica, al momento praticamente unanime nell’apprezzamento del lavoro di questo artista, trovo non corretto titolare – peraltro magari farebbe bene a correggere l’errore di battitura “catechsimo” sul titolo – sulla base di quello che “legge tra le righe”. Non confondiamo la recitazione su un testo dato – cosa che peraltro l’autore ha fatto in tantissimi casi dal cinema alla TV al teatro classico… – con la creazione di un opera (teatrale, pittorica, o musicale che sia) in cui un artista si identifica. Sono 2 diversi tipi di attivita’ artistiche. Tutte rispettabili, ovviamente. Non dico che tutte le rappresentazioni teatrali identificano il pensiero di un attore/autore, ma molte decisamente si. Senza scomodare i grandi classici, da Brecht a Ibsen a Pirandello, basti pensare a spettacoli di Dario Fo, De Filippo, Ascanio Celestini, senza parlare di Crozza, Grillo e tantissimi comici che trasmettono una precisa idea politica e morale. E non parliamo dei cantautori, dei registi di cinema come Moretti e non finiremmo piu. Ma nessuno ha mai detto che Moretti non fa cinema o che Fo non fa teatro. L’arte d’altronde, come dicono in molti e’ un occasione privilegiata per trasmettere un messaggio. E uno puo’ prenderla oppune no. Ora questo messaggio puo’ essere specifico e ristretto come “fate la raccolta differenziata”, oppure puo’ essere esistenziale, come “amatevi finche morte non vi separi”, a scelta dell’autore. Cosa c’e di male?
Quando dice che addirittura non si tratta di teatro ma di un comizio, e’ abbastanza paradossale. Avere un opinione e criticare parti della drammaturgia o la definizione dei personaggi puo’ starci. Dire che non si tratti di teatro e’ completamente inappropriato e infondato. L’attore, racconta una storia, emozionando, facendo ridere e commuovere, con una marea di citazioni colte, recitando con grande abilita’ di voce, corpo, gesti, questo direi che e’ innegabile. Poi che possa non piacere, va benissimo, come dice lei , la soggettivita’ e’ – grazie al cielo- inevitabile. Ma dire che tutto questo non e’ teatro, mi scusi ma non ha veramente alcun fondamento.
Io non capisco peraltro in quali “righe” legge questa imposizione. C’e anche un pezzo bellissimo ed emblematico, ad esempio quando parla di Paolo VI e se aveva fatto bene o male a dire quello che aveva detto nell’ “Humanae vitae”. Dice chiaramente che non importa sapere se aveva fatto bene o male, ma la sua esperienza era che lui era nato dopo che la madre aveva letto quel testo. Questa sarebbe un imposizione tra le righe?
Quando parla di “medioevale”, usando lo slogan tanto in voga oggi per contestare la morale cattolica, poi siamo proprio fuori tema completamente. Cosa c’entra il medioevo?
La invito a guardare altri spettacoli dell’autore, e poi mi dira’ se “legge tra le righe” anche li. Ad esempio ” Le ultime sette parole di Cristo” che a mio avviso resta il suo capolavoro. Oppure, a rivedere lo stesso Santo Piacere, che replica a breve. Io ci andro’ di nuovo. Ci vediamo li?
con cordiali saluti
s.
Grazie mille per la dettagliata risposta davvero interessante.
Non credo ci incontreremo. Non ho interesse a rivedere uno spettacolo che non mi è piaciuto e mi ha urtato. Tra l’altro poi, se anche dovessi vederlo e dovessi confermare il mio parere, mi si potrebbe venire a dire che ero prevenuto e che quindi avrei fatto bene a rimanere a casa o fare altro.
La ringrazio per questo scambio costruttivo.
Saluti