Teatrosophia
18 dicembre 2022
Nel ventre: il dramma umano del piccolo zolfataro Sebastiano esempio di un dramma sociale universale
Nel ventre – Voci dal centro della terra è lo spettacolo di Antonio Mocciola andato in scena a Roma, in pieno centro storico, nel piccolo, ma accogliente e fine Teatrosophia gestito da Guido Lomoro.
Antonio Mocciola, autore prolifico da sempre attento ai drammi intimi e sociali, ha scritto un testo che, ancora una volta, riesce a unire il particolare all’universale, raccontando una storia personale, intima e drammatica, che è anche, però, specchio e denuncia di malformazioni sociali.
Il suo personaggio, Sebastiano, è un giovane studente appassionato di greco che vuole diventare professore.
Il devastante terremoto di Messina del 1908, che distrusse completamente la città uccidendo metà della popolazione, lo lascia solo al mondo, orfano e senza più niente.
In un attimo la sua casa è sommersa e spazzata via dalle acque e Sebastiano, sopraffatto dalle onde e dalla paura, vede la propria madre precipitare in un crepaccio improvvisamente creatosi sotto i suoi stessi piedi.
Ritroverà i corpi senza vita del padre e della sorella, ma quello della madre resterà disperso nello squarcio che l’ha inghiottita.
Sebastiano a 14 anni rimane solo e nudo, senza più niente e nessuno che si prenda cura di lui.
Trova rifugio in un istituto dove conosce una giovane ragazza, Maria Sole, con la quale scopre l’amore per la prima volta.
Messina è distrutta e non esistono grandi possibilità di impiego, così Sebastiano è costretto a spostarsi e ad andare a lavorare in una delle miniere di zolfo della Sicilia, divenendo un piccolo zolfataro.
Mentendo sull’età, riuscirà a farsi prendere tra i “carusi”, i giovani: nella miniera conoscerà il lavoro duro, l’umiliazione e la fame.
Sempre nudo, sia dentro la miniera (a quel tempo i minatori erano soliti lavorare nudi per via delle alte temperature in miniera che avrebbero bruciato i vestiti sulla pelle), che nella baracca in cui dorme (per via della tirannia del capomastro) Sebastiano precipita nell’orrore dello sfruttamento del lavoro minorile, illuso con una paga irrisoria di poter, un giorno, cambiare il proprio destino.
Nel tempo, dopo tanta fatica, sudore e privazioni, anche il ricordo della sua Maria Sole si affievolisce e non è più da conforto.
A fargli compagnia e a sostenerlo nei tanti momenti bui, sono i giovani compagni di lavoro con cui stringe amicizia e il ricordo delle illusioni giovanili che rivivono nel richiamo alla mente delle fantastiche immagini distorte create dall’effetto Fata Morgana, tipico dello stretto di Messina in certe particolari condizioni.
Soprattutto, a tenere vivo Sebastiano, è il ricordo della madre e l’illusione che possa essere ancora viva chissà dove nel ventre della terra.
Se è vero, come dice Sebastiano, che “ la verità è nuda e nudi non abbiamo bisogno di maschere”, è anche vero che, nella disperazione più nera, l’uomo ha bisogno di sogni a cui aggrapparsi, illusioni che gli promettano un riscatto all’orizzonte.
Antonio Mocciola raccoglie ancora una volta l’urlo di disperazione dei più fragili e sottomessi, degli umiliati e degli oppressi offendo loro una nuova voce che possa detonare intorno a noi nell’indifferenza del mondo contemporaneo.
Non solo racconta il dramma sociale del lavoro minorile e, in genere, dello sfruttamento di persone ai margini della società, derelitti e disperati, ancora oggi presente in molte parti del mondo, ma anche il dramma interiore di un ragazzo rimasto solo al mondo che si aggrappa alla speranza che la madre sia ancora viva e che possa ritrovarla nel ventre della terra.
Oltre alla storia e alla sua efficace rappresentazione, colpiscono alcuni elementi drammaturgici e movimenti scenici che richiamano una dialettica contrastante.
Dapprima Sebastiano è presentato come un giovane istruito, che ama la cultura; infatti parla in italiano senza accenno alla cadenza.
In un secondo momento, sprofondato nel baratro della propria disperazione e nel ventre della terra, adotta il dialetto come forma di comunicazione più genuina, più aderente ad uno stato d’animo fortemente scosso e anche per una comunicazione più naturale e spontanea con i suoi compagni di lavoro.
E’ il segno di un progetto di affermazione professionale e personale che va in frantumi, ma che, allo stesso tempo, sottolinea la solidarietà tra gli ultimi.
Sebastiano, abbattuto, si lascia risucchiare dalla terra, ma non è solo: nel suo cuore egli spera di ritrovare la propria madre viva in quel ventre profondo e oscuro.
Questo legame tra madre e figlio, l’incapacità di rassegnarsi al distacco drastico e tragico senza la possibilità di piangere su un corpo morto, sono elementi emozionali che Mocciola sa fondere con naturalezza con l’elemento reale e altrettanto drammatico dello sfruttamento dei “carusi”.
La nudità costante di Sebastiano, oltre che motivata, come già scritto, da un dato reale e oggettivo, indica il suo totale abbandono nei confronti di una vita che lo ha privato di tutto, abbattuto e umiliato.
Le immagini suscitate dallo spettacolo si rincorrono scomponendosi e ricomponendosi in nuove immagini che portano un nuovo messaggio, a volte un’evoluzione del personaggio.
E’ il caso, per esempio, della posizione fetale in cui lo spettatore lo trova già durante il suo ingresso in sala e che avrà un proprio sviluppo più avanti, nel delirio onirico in cui Sebastiano ritrova e riabbraccia la madre.
E’ come se quel bisogno di rientrare nel ventre materno, quell’assenza costante e dolorosa, trovasse un conforto in un sogno, tenero, ma doloroso.
Unico attore in scena, Salvo Lupo, giovane attore siciliano che rivela interessanti doti interpretative.
Incurante della propria nudità, Salvo la veste di emozioni e movimenti che mantengono sempre alta la tensione narrativa e interpretativa che egli riesce a modulare a seconda dei personaggi che continuamente incarna con repentini cambi di posizione e con tonalità di voce diverse.
Salvo Lupo riesce a portare lo spettatore nel mondo interiore di Sebastiano e in un viaggio nel ventre della terra oltre che dell’anima a tal punto che per tutto il tempo sembra di vedergli addosso il fango riversatosi con le acque smosse dal terremoto che continua a vivere su di lui nel sudiciume della miniera e a sentire il suo dolore e la sua paura.
Alcuni piccoli buchi di regia vengono riempiti con capacità dai movimenti e dall’espressività di questo giovane attore che ha già lavorato con Daniele Salvo e Marco Carniti.
A fine spettacolo il pubblico in sala, emozionato e coinvolto, ha tributato un lungo applauso all’intero gruppo di lavoro.
Nel ventre – Voci dal centro della terra
Di Antonio Mocciola
Adattamento e regia Marco Medelin
Con Salvo Lupo