“Le notti bianche“
di
Fëdor Dostoevskij
Nel 200° Anniversario della nascita dell’Autore
Regia: Lorenzo Lavia
Scene: Eleonora Scarponi
Costumi: Alessandro Lai
con
Lorenzo Lavia
Marial Bajma Riva
DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROGETTO
Le notti bianche di Fëdor Dostoevskij – Trieste
Lo spettacolo “Le notti bianche “di Dostoevskij nasce dall’esigenza di trasporre sulla scena quello che è universalmente considerato un capolavoro della narrativa mondiale di fine Ottocento. I protagonisti del libro sono un uomo ed una giovane donna. I due si incontrano durante una lunga notte insonne, la prima di una lunga serie, in cui – complice il buio – si raccontano e si confidano fino ad innamorarsi. L’amore però, per quanto elemento centrale dell’intera vicenda, non esaurisce in sé la carica emotiva che il libro riesce a trasmettere: quello che arriva come una deflagrazione è il rapporto tra di loro e la grande solitudine che vivono e che riesce per un attimo a lasciare spazio alla comunicazione.
Trasporre in dialogo quello che è un racconto è un’operazione complessa e ambiziosa: è necessario modulare abilmente un capolavoro per portarlo ad essere universalmente riconosciuto come esperimento visivo e non soltanto mentale. Il tipo di approccio utilizzato ha fatto leva in prima istanza sul rispetto quasi maniacale della parola originale, modulata e portata a servizio dei quella parlata. I due personaggi che si muovono in un non-tempo e in un non-spazio sono legati da un filo indissolubile che è rappresentato dalla loro solitudine e dall’angoscia che abita le loro notti, per l’appunto, trascorse in bianco. Nelle loro lunghe chiacchierate hanno la possibilità di raccontarsi e di accedere a quel luogo segreto dell’anima che solitamente non condividono con altri all’infuori di loro. Estrapolando alcuni passaggi descrittivi e rendendoli espressivi e non solamente scenografici, i personaggi si muoveranno con destrezza tra le vie di San Pietroburgo: la grande balena (come descritta dall’autore stesso) capace di ingurgitare nella sua pancia enorme qualsiasi avventore. La volontà del regista è quella di regalare al pubblico un’immersione profonda all’interno di un racconto che sveli l’interiorità dei protagonisti e al tempo stesso fornisca domande su quella di chi la osserva. Come di fronte ad una lente deformata, vedremo un uomo ed una donna conoscersi, legarsi e separarsi, azzerando l’unità temporale e vivendo nell’arco di un’ora e mezza quello che loro hanno vissuto nel corso di quattro nottate.
QUALITÀ ARTISTICA
Descrivere la qualità artistica di uno spettacolo quando si parla di Fëdor Dostoevskij come autore equivale a chiedersi: perché leggere ancora oggi Dostoevskij? O nel nostro caso: perché portarlo in scena?
Perché chi ama leggere e andare teatro sa che Dostoevskij si inserisce in quel ristretto circolo di autori e drammaturghi che – partendo da Sofocle fino ai giorni nostri – rappresentano l’élite della drammaturgia e della letteratura mondiale.
“le notti bianche” di Dostoevskij racconta la storia di due personaggi che facilmente sono identificabili con noi ma anche con i nostri figli e con i nostri genitori: si tratta di universalità propria solo, appunto, delle grandi opere letterarie. Due persone che vivono una profonda solitudine, quella che l’autore ha provato su se stesso e che ha trasposto all’interno della sua opera. Esseri umani incapaci di parlare tra loro, incapaci di comunicare il loro lato più nascosto, incapaci di raccontare le loro “memorie” che vengono dal “sottosuolo” della loro anima. Racconta la paura di essere considerati “uomini ridicoli”, la paura di ammettere a loro stessi di essere dei “sognatori”. Quell’incapacità di aprirsi alle persone che li circondano, di allontanarle sempre di più per poi restare, inesorabilmente, soli.
La solitudine che oggi proviamo noi, isolati dal mondo, trincerati dietro agli schermi di computer o telefonini: quella stessa solitudine che i protagonisti provano nelle notti bianche di insonnia e sogni ad occhi aperti.
La forza di Dostoevskij oggi, la forza de “le notti bianche” oggi, è il loro essere senza tempo: avvolti dalla coltre del buio che annulla ogni pregiudizio o preconcetto sociale ed antropologico e che porta lo spettatore in una immediata immedesimazione con la storia che sta seguendo. Il muro che alzano per difendersi dalla vita è lo stesso muro che spesso, per paura, alziamo quando ci troviamo di fronte a qualcuno che può essere in grado di abbatterlo e di scoprire il nostro mondo interiore.
ALLESTIMENTO (DESCRIZIONE)
L’allestimento proposto risponde all’esigenza del regista di destrutturare l’opera decontestualizzandola dalla localizzazione geografica del romanzo (la Russia di fine Ottocento) per renderla universalmente riconoscibile attraverso l’unica via del rapporto tra i protagonisti. La parola diventa quindi l’unico elemento di riconoscibilità tra i personaggi che – scevri da qualsiasi appiglio realistico – avranno a disposizione soltanto il pensiero e la relazione tra di loro. Ricreare la notte attraverso il buio assoluto permetterà allo spettatore di sospendere la propria incredulità e di attraversare con i personaggi un lungo viaggio fatto di descrizioni che stimolino la sua fantasia molto di più di quanto sia possibile fare con qualsivoglia elemento scenografico o visivo. La sola luce presente sarà quella che richiamerà alla mente i lampioni che illuminavano le notti bianche vissute dai due sognatori. Per quanto riguarda i costumi che indosseranno, la scelta anche qui tenderà verso il minimalismo: qualche piccolo richiamo di costume d’epoca insieme ad un abbigliamento neutro costruiranno l’estetica di due personaggi fuori dal tempo. Per rendere efficacie la magia della messa in scena lo spettacolo sarà adatto a spazi coperti
AUTORE
Fëdor, secondo di sette figli, nasce a Mosca nel 1821 da un medico militare russo Michail Andreevič, figlio di un arciprete ortodosso discendente da una nobile famiglia lituana, dal carattere stravagante e dispotico che alleva il ragazzo in un clima autoritario. La madre, Marija Fëdorovna Nečaeva, proveniva da una famiglia di ricchi e prosperi commercianti russi; dal carattere allegro e semplice, amava la musica ed era molto religiosa. Sarà lei a insegnare a leggere al figlio facendogli conoscere Aleksandr Sergeevič Puškin, Vasilij Andreevič Žukovskij e la Bibbia. A Fëdor succederanno altri sei figli: le quattro sorelle Varvara, Ljubov’, Vera e Aleksandra Dostoevskaja e i due fratelli Andrej e Nikolaj.
Nel 1828 il padre Michail Andreevič è iscritto con i figli nell’albo d’oro della nobiltà moscovita. Nel 1831 Fëdor si trasferisce con la famiglia a Darovoe nel governatorato di Tula dove il padre ha comprato un vasto terreno. Nel 1834, insieme al fratello Michail, entra nel convitto privato di L.I. Čermak, a Mosca. Nel febbraio del 1837 la madre, da tempo ammalata di tisi, muore e il giovane viene trasferito col fratello a San Pietroburgo entrando nel convitto preparatorio del capitano K. F. Kostomarov per sostenere gli esami d’ammissione all’istituto d’ingegneria. Il 16 gennaio 1838 entra alla Scuola Superiore del genio militare di San Pietroburgo, dove studia ingegneria militare, frequentandola però controvoglia essendo i suoi interessi già orientati verso la letteratura.
L’8 giugno 1839 il padre, che si era dato al bere e maltrattava i propri contadini, viene ucciso probabilmente dagli stessi. Alla notizia della morte del padre, Fëdor, all’età di 17 anni, ebbe il suo primo attacco di epilessia. Le crisi epilettiche lo perseguiteranno per tutta la vita, al confine oggi studiato fra malattia e parapsicologia o mistica. Nell’agosto 1841 viene ammesso al corso per ufficiali e l’anno seguente viene promosso sottotenente. L’estate successiva entra in servizio effettivo presso il comando del Genio di San Pietroburgo.
Il 12 agosto 1843 Fëdor si diploma, ma nell’agosto 1844 dà le dimissioni, lascia il servizio militare e rinuncia alla carriera che il titolo gli offre. Lottando contro la povertà e la salute cagionevole, comincia a scrivere il suo primo libro, Povera gente (Bednye Ljudi), che vede la luce nel 1846 e ha gli elogi di critici come Belinskij e Nekrasov. In questo primo lavoro, lo scrittore rivela uno dei temi maggiori della produzione successiva: la sofferenza per l’uomo socialmente degradato e incompreso.
Nell’estate Dostoevskij inizia a scrivere il suo secondo romanzo, Il sosia (Dvojnik), storia di uno sdoppiamento psichico che non ha però il consenso del primo romanzo, e a novembre, in una sola notte, scrive Romanzo in nove lettere (Roman v devjati pisem). Vedono successivamente la luce alcuni racconti su varie riviste, tra i quali i romanzi brevi Le notti bianche (Belye noči) e Netočka Nezvanova.