SILVANO TOTI GLOBE THEATRE
dal 31 agosto al 16 settembre
LA BISBETICA DOMATA
di William Shakespeare
Regia di
Loredana Scaramella
Traduzione e adattamento Loredana Scaramella
Prodotto da Politeama Srl
“È stata lunga ma, finalmente, le nostre note discordi
entrano in armonia…”
La bisbetica domata V, 2
MA L’AMORE NO
Un allestimento de La Bisbetica domata non può prescindere, soprattutto oggi, da una riflessione su quell’ultimo lungo monologo nel quale la ex bisbetica e indomita Caterina tesse le lodi della mitezza e della soggezione allo sposo. Quello sposo che dal momento in cui la incontra la sfida, la affronta, la inganna, la porta con sé in una casa inospitale – ma, si sa, è per gioco! – e con gesti gentili, ovvero con gentilissime torture, la riduce prima al silenzio e poi alla conversione a discorsi non suoi. Si, perché se la ribellione di Caterina e il suo essere “bisbetica ” è soprattutto nella voce e nell’eloquio puntuto, brillante e inarrestabile con cui affronta il mondo, il suo pacato silenzio e il suo discettare a comando sono il segno di una riduzione forzata all’obbedienza. Negli Anni Settanta, durante le più accese battaglie femministe, si guarda con occhi preoccupati e attenti alla riduzione al silenzio e all’addomesticamento dell’eloquio e dell’energia fisica tanto apprezzata nei maschi e condannata nel sesso opposto. È uno sguardo “dalla parte delle bambine”, come titolava un famoso saggio del tempo. Da allora molto è cambiato nel campo della definizione di genere e molto quotidianamente continua a cambiare, mentre la biologia e l’etica affrontano nuove realtà ed interrogativi. Ma Caterina, creatura shakespeariana nata da una figura di tradizione medioevale, dove si pone in questo flusso di riflessioni sul rapporto uomo-donna, e soprattutto sul femminile? E, ai fini di una rappresentazione, qual è il momento in cui un racconto di domatore e domata – oltre al suo significato simbolico non legato ai due sessi – può ancora essere concepito nei limiti della nostra storia sociale? Credo che, nel nostro paese, l’ultimo periodo in cui si sia cercato di inquadrare programmaticamente la donna in uno schema politico, sociale ed economico sia il Ventennio fascista. La figura femminile viene strutturata e il suo ruolo viene molto valutato, ma solo in quanto moglie e madre. La donna ribelle – cioè sola -, soprattutto se sessualmente libera, è dannosa perché contraria ai principi dello Stato. Come controparte è ben leggibile l’immagine di un domatore istituzionale, un maschio superiore per definizione. Da qui la decisione di collocare il racconto di Shakespeare prima dell’inizio dell’ultima guerra, che cambierà definitivamente i rapporti di equilibrio nella coppia, ma più complessivamente fra i sessi.
Dagli Stati Uniti e dal resto dell’Europa arrivano germi di mutamento che hanno già modificato il costume nelle classi più agiate e in quelle zone a margine in cui l’eccentricità è un attributo strutturale. Sono infatti “diverse” le dive del cinema (attrici ma anche produttrici e registe) e le donne comuni che lavorano come operaie, dattilografe, segretarie, e che guardano con simpatia alle ragazze dello spettacolo dal vivo, che di quelle dello schermo cercano di seguire l’esempio: le divette, le cantanti, le soubrette dalla vita indipendente.
È quindi alla fine degli Anni Trenta che collochiamo il racconto della Bisbetica: è ancora possibile in quell’epoca l’idea di una doma della femmina, ma la donna ha degli strumenti per opporsi e la battaglia dei sessi vive un momento cruciale, particolarmente appassionante.
Shakespeare nella struttura dell’opera, in particolare nell’in quarto del 1594, ci fornisce una cornice completa, che è la storia del calderaio ubriacone Sly, al quale viene giocata una beffa da un
potente che rientra nella taverna alla fine di una battuta di caccia. L’uomo trova Sly disgustoso e miserabile, quindi passibile della sua feroce attenzione. Decide di divertirsi ai danni del poveraccio e di fargli credere di essere un potente. Seguendo uno schema antico, già presente ne Le Mille e una notte, lo traveste dandogli le caratteristiche di una insigne autorità. Proprio mentre sta organizzando la beffa, arriva in una taverna, che nel nostro allestimento diventa una pensione-ristorante, un gruppo di musicisti e attori di avanspettacolo, che fa il suo ingresso con tutto l’armamentario tipico dello spettacolo viaggiante – valigie, biciclette, baule armadio, cagnolino – per riposare in attesa dell’arrivo delle ballerine (che peraltro mai arriveranno). Gli artisti si trovano di fronte l’uomo di potere il quale, dopo averli osservati, valutati e in qualche modo tacitati con la sua presenza, propone loro di interpretare, in cambio di vitto alloggio, una pièce di suo gradimento per compiacere un signore bizzarro. La compagnia accetta di mettere in scena la commedia che non conosce se non sommariamente e che l’uomo distribuisce su fogli volanti, tenendo per sé il ruolo di Petruccio. È infatti invaghito della cantante, che ha già avuto modo di ammirare, che interpreterà Caterina. È un’artista particolare, con una fisicità e un approccio centrato, autonomo, in contrasto con la bella soubrette, che rappresenta una femminilità più convenzionale. La compagnia, con i mezzi che ha e con le tecniche che conosce, cioè quelle dell’avanspettacolo, e con la sua gerarchia e distribuzione di ruoli, – il fantasista, il comico, il duo, la soubrette, il ballerino di tip-tap, il macchiettista, il cantante d’opera -, si organizza per offrire la sua professionalità al racconto, che assume una forma musicale e leggera nell’ambiente del ristorante trasformato in palcoscenico, passerella, strada. Il gioco di equivoci e sotterfugi da farsa che la trama shakespeariana suggerisce prende i colori del varietà e le ombre del kabaret tedesco.
Lo spettacolo va avanti su un doppio piano, seguendo lo schema già scritto di teatro nel teatro, ma per quanto riguarda la coppia cantante-uomo di potere la relazione fra Petruccio e Caterina fa da specchio a quella reale. Sotto la maschera del ruolo, l’uomo fa le sue avances, che la cantante cerca di schivare con i suoi mezzi. Sono mezzi verbali: Caterina, come anche la cantante, ha padronanza di eloquio, sa confrontarsi con il mondo. L’uomo è affascinato e attratto dalla sua insolita esuberanza, dalla sua personalità eccessiva e brillante. In uno slancio di desiderio e di sopraffazione cerca di vincerla: le toglie la parola, le toglie le sue parole e, una volta ridotta al silenzio durante il primo incontro, la prende in sposa. Ma la vera doma avviene durante il soggiorno a casa di Petruccio. Caterina attraversa la fame, la sete, l’astinenza dal sonno e da qualunque piacere, compreso quello delle gioie femminili, che era lecito attendersi dopo il corteggiamento, e quello degli abiti e di qualunque forma estetica. Un’altra beffa: altro che l’amore raccontato dalle canzoni.
Quando i due coniugi partono per andare al matrimonio della bella Bianca, la sorella ambita da tutti i pretendenti, il viaggio si svolge scandito da rumori e musica in un crescendo di tensione in cui si scontrano la logica della Bisbetica e il volere di Petruccio, fino al momento in cui Caterina, vinta, abdica totalmente al suo pensiero e accetta quello di lui. In questo nuovo assetto di sudditanza, arriva al banchetto di nozze. Le due nuove spose, Bianca e la Vedova, hanno maturato una certa libertà, come impugnando il testimone lasciato incustodito. È contro di loro che Petruccio spinge Caterina, ormai domata, a supportare la tesi di una donna mite, obbediente, succube. La sua arringa è così efficace che l’ubriaco Sly, risvegliandosi, vede nella commedia che crede di aver sognato un insegnamento su come comportarsi con la moglie, e si avvia verso un esito che è facile immaginare coronerà la beffa. La compagnia incassa il compenso e ripone i suoi strumenti, la musica e i canti lasciano posto al silenzio, rotto dal rumore dei passi che si allontanano e delle valigie che si chiudono.
La cantante-Caterina rimane sola, davanti all’uomo che fino a qualche istante prima è stato Petruccio, con una decisione da prendere, sospesa tra libertà e legame, solitudine e coppia, finzione e realtà.
Approfondire e allargare il respiro del racconto in questa direzione, già disegnata da Shakespeare, suggerisce diverse implicazioni. Oltre che esilarante rappresentazione di una guerra dei sessi all’insegna di vecchi e nuovi modelli di genere, il testo si presenta come occasione di riflessione sul carattere dell’esperienza teatrale come specchio amplificante della vita, luogo di esplorazione dei suoi interrogativi nascosti, e si rivela metafora del rapporto fra l’artista e il potere, della reciproca fascinazione e della difficoltà di mantenere viva e libera la propria voce, la discussione, il pensiero.
Interpreti
(in ordine alfabetico)
Nicola, tenente DONATO ALTOMARE
Lucenzio, boy della compagnia GIULIO CAVALLINI
Cristoforo Volpe, FEDERIGO CECI
Ortensio, boy della compagnia DIEGO FACCIOTTI
Gremio, comico GIANNI FERRERI
Curzio, Vincenzo, Comandante GABRIO GENTILINI
Tranio, comico PAOLO GIANGRASSO
Biondello, Giuseppe, aiuto cuoco,
ballerino di tip tap LORENZO GRILLI
Battista, attore di prosa ROBERTO MANTOVANI
Professore, amministratore di compagnia IVAN OLIVIERI
Vedova, sarta LOREDANA PIEDIMONTE
Caterina, cantante eccentrica CARLOTTA PROIETTI
Bianca, soubrette SARA PUTIGNANO
Petruccio, Caposettore MAURO SANTOPIETRO
Filippo, cantante ANTONIO SAPIO
Grumio, fantasista FEDERICO TOLARDO
Musiche eseguite dal vivo :
quartetto WILLIAM KEMP
Violino ADRIANO DRAGOTTA Sassofoni LORENZO PERRACINO
Chitarra FRANCO TINTO Contrabbasso DANIELE ERCOLI
MAESTRO MOVIMENTI DI SCENA
Alberto Bellandi
AIUTO REGIA
Francesca Visicaro
ALLESTIMENTO A CURA DI
Susanna Proietti
SCENE
Fabiana Di Marco
COSTUMI
Susanna Proietti
CONSULENZA COREOGRAFICA
Laura Ruocco
ASSISTENTE COREOGRAFO
Giulio Benvenuti
DIREZIONE TECNICA
Stefano Cianfichi
DISEGNO LUCI Umile Vainieri DISEGNO AUDIO Franco Patimo