Teatro Brancaccio
30 marzo 2017.
Era da tanto che desideravo assistere ad uno spettacolo della Parsons Dance, la compagnia americana celebre per la sua danza atletica e vitale che trasmette gioia di vivere.
Finalmente, dopo un grande successo di pubblico, la Parsons Dance è tornata a Roma, al Teatro Brancaccio, per regalare altre emozionanti serate di pura bellezza.
Parsons Dance, nata dal genio creativo del geniale coreografo David Parsons e del light designer Howell Binkley, è una compagnia che è riuscita ad affermarsi sulla scena internazionale con successo sempre rinnovato, lasciando un segno nell’immaginario teatrale collettivo grazie a coreografie divenute veri e propri cult della danza mondiale.
La danza della Parsons Dance, basata su una tecnica perfetta e su un grandissimo impegno fisico, è una carica di energia pura e di positività. E’ passi, figure, linee, ma è anche acrobatica; è danza, ma è anche teatro. La danza della Parsons Dance è una potente forma espressiva e di comunicazione. E’ linguaggio, muto, fatto del ticchettio dei piedi dei danzatori che è leggero anche quando creano le figure più dinamiche, vorticose e potenti delle loro coreografie; un linguaggio fatto di musica, luci ed una potente carica espressiva.
Nel suo miscelare tecniche e stili diversi, ottenendo sempre risultati magici e creativi, è una danza elegante e virtuosistica che è rappresentazione, Teatro.
Quello proposto dalla Parsons Dance è uno spettacolo sensazionale, ricco di emozioni, colori e calore, energia, positività, grinta, carattere, forza fisica, ma anche delicatezza.
Ogni quadro è di grande impatto e ha risvegliato in me uno scenario immaginifico molto forte.
Così, pur non conoscendo le musiche e i brani sui quali danzavano, né le storie che andavano a raccontare, mi sono lasciato trasportare dalle coreografie sorprendenti, energiche e forti che questi ragazzi interpretavano e che hanno destato in me un’incredibile suggestione onirica, tanto da farmi immaginare delle storie.
Così nel primo quadro, Finding Center, ho immaginato di essere in una foresta, con la pioggia che ticchetta sulle foglie degli alberi, piccole gocce che scendono cadenzate mentre animali e piante si risvegliano. A questa immagine, poi, se ne è sostituita un’altra, in cui uomini e donne si corteggiano, ponendosi l’uno di fronte all’altra, scrutandosi, “annusandosi” per sentire le affinità. Non solo. Ho lavorato davvero di fantasia trasportato da quei meravigliosi passi eseguiti con tale precisione, ma anche freschezza e naturalezza. Il corteggiamento porta poi alla formazione delle coppie e, quindi, all’amore: sembrava una celebrazione dell’amore questa danza, come quelle belle feste di matrimonio dove tutti ballano intorno alla coppia di sposi felici.
Nel secondo quadro ho visto l’abbandono completo alla danza caratterizzato da una continua tensione verso l’altro, quasi un’aspirazione al divino. Ho trovato il terzo quadro, invece, molto più urban e mi ha fatto pensare alle amiche di quartiere che si incontrano e girano per le strade incrociando gli altri ragazzi creando una sorta di crew che si fronteggiano con passione.
Hand Dance, il quadro in cui dal buio spuntano solo le mani, è molto poetico e suggestivo. Mani e braccia si muovevano con una grandissima precisione in tutte le sequenze e mi ha fatto pensare a alle coreografie naturali che creano nell’oceano i grandi banchi di pesci.
Il successivo quadro aveva una musica piuttosto metallica che sembrava riprodurre un rumore che proviene dallo spazio. A un certo punto è arrivato il momento più sorprendente di tutto lo spettacolo: Caught, la celebre coreografia ( a me sconosciuta fino a ieri) che David Parsons creò per se stesso nel 1982 è che è costituita da un incredibile assolo su musiche di Robert Fripp nel quale il danzatore sembra sospeso in aria grazie ad un gioco di luci stroboscopie e definita dalla critica “una delle più grandi coreografie degli ultimi tempi”. In effetti è una coreografia strabiliante: il ballerino sembra essere sospeso, quasi volare, per tutto il tempo della coreografia. E’ un pezzo che richiede sicuramente una grandissima resistenza fisica, tantissimo fiato e un’enorme contrazione dei muscoli. Fondamentale è la perfetta sincronia del gioco luci coi salti del danzatore.
Il quadro successivo mi ha dato l’idea di una festa da ballo di quelle tradizionali e folcloristiche che si fanno ancora in molte città di provincia.
Quello dopo ancora mi ha trasmesso la tenacia di una donna nell’affrontare la solitudine attraverso un grande desiderio di libertà. L’ultimo quadro, In The End, è un quadro corale dove spicca il sentimento di amicizia, l’euforia, la gioia di vivere, di stare insieme e condividere.
Parsons Dance è uno spettacolo eccezionale e dal grandissimo impatto visivo ed emozionale che sorprende, cattura, attira, coinvolge e lascia a bocca aperta.
I ballerini sono dei professionisti eccezionali dalla grandissima preparazione atletica e di cui si possono solo ammirare i corpi, le figure e le linee che disegnano con i loro muscoli asciutti e tesi e il sorriso sempre stampato in viso.
E’ stato sorprendente vedere come ogni passo e figura che realizzavano sembrasse fatta con una leggerezza incredibile, senza che mai trasparisse la fatica del movimento che era sempre molto chiaro e pulito.
Fondamentale, per tutto lo spettacolo, è il ruolo del light designer Howell Binkley (vincitore di un Tony Award per lo spettacolo di Broadway “Hamilton”) che esalta con fantasia e immaginazione le performance della compagnia.
Mi sembra doveroso e giusto citare questi magnifici danzatori, tra i quali spicca un’italiana di grandissimo talento, la straordinaria Elena D’Amario che, dopo aver vinto una borsa di studio per la Parsons Dance per l’anno 2010/2011 non l’ha più lasciata (o forse è meglio dire che loro non se la sono fatta sfuggire).
Insieme a lei hanno ballato Sarah Braverman, Ian Spring, Geena Pacareu, Omar Romàn De Jesùs, Eoghan Dillon, Zoey Anderson e Justus Whitfield.