Rumoroso Silenzio, lo spettacolo scritto e diretto dal giovanissimo Luca Andreini, oggi diciannovenne, si afferma come l’evento teatrale e sociale di questo anno 2016. Uno spettacolo che nasce da un progetto condiviso e vissuto appieno sin dall’origine da un gruppo di giovanissimi professionisti, che costituiscono la produzione e accademia di forme sceniche più giovane d’Italia.
Teatro Nuovo di Bergamo, TNB, è il nome di questa produzione che, sostenuta dal patrocinio di Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato 10 febbraio, Università Degli Studi Di Bergamo, Provincia di Bergamo, Camerca di Commercio di Bergamo e Comune di Seriate, e che vede come contribuente la Fondazione della Comunità bergamasca, ha debuttato con Rumoroso Silenzio il 12 febbraio 2016 al Gavazzeni di Seriate (BG) registrando un sold out già settimane prima della data e girando, poi, per diversi teatri del nord Italia confermando un grandissimo successo di pubblico e critica: 6000 spettatori sui 6525 posti disponibili in sette date.
Rumoroso Silenzio è uno spettacolo dal profondo valore storico, civile, sociale ed estetico, che spazia tra narrazione, figura ed arti visive, ambientato nel contesto dell’esodo degli Istriani Fiumani e Dalmati, strage italiana del ‘900 da più di sessant’anni dimenticata.
Rumoroso Silenzio, però, non è il mero racconto di una tragica verità storica, bensì una richiesta d’amore contestualizzata in un certo periodo storico.
Parliamo di questo spettacolo e della sua genesi direttamente con l’autore e regista, Luca Andreini.
Luca, hai cominciato a scrivere testi teatrali molto precocemente, a quindici anni, un’età nella quale di solito i ragazzi pensano a tutt’altro che all’impegno civile. Cosa scatta nella testa di un ragazzo così giovane che prende questa strada?
Prima di Rumoroso Silenzio ho scritto tre spettacoli, ma questo è il primo a livello professionale. Il mio è stato inizialmente un caso isolato. Tutto è nato da un bisogno di fare qualcosa per me stesso, sollecitato dalla forte necessità di trovare un riscatto nei confronti di un impegnativo, seppur giovane, passato che già tanto aveva inciso sulla mia sfera emotiva.
L’idea era quella di allestire uno spettacolo teatrale: guardando le società e le compagnie con cui già mi muovevo e avvertendo l’assenza di alcuni elementi per me fondamentali, il mio bisogno di riscatto personale si è tramutato nel bisogno di fare qualcosa per gli altri, nel voler prendersi cura della gente.
Ripeto sempre in prova a tutti di mettere al centro la gente, che è quella che ci dà soddisfazione.
Teatro Nuovo di Bergamo, TNB, è la produzione che hai fondato insieme ad un gruppo di altri giovanissimi ed è stata riconosciuta come la realtà più giovane d’Italia.
Sì, siamo una compagnia, ma, più esattamente, ci siamo costituiti come produzione di forme sceniche: in ogni lavoro che decidiamo di mettere in scena partiamo dalle forme sceniche ponendo alla base la prosa e affiancando poi danza, attorialità e musica, cercando di unire tutto in un prodotto omogeneo.
Teatro Nuovo di Bergamo consta di 12 artisti e alcuni elementi che fanno parte dell’apparato organizzativo. Questa realtà, riconosciuta come la realtà più giovane d’Italia, esiste ed opera a livello indipendente da quando ho 15 anni, quindi da quattro anni, anche se giuridicamente è stata costituita da un anno e mezzo.
Rumoroso Silenzio “racconta le vicissitudini di una coppia di amanti, Ferdinando e Norma, le cui vite, intrecciandosi con l’inesorabile scorrere della storia, diventano il simbolo del disperato tentativo di salvare il proprio amore, la propria giovinezza e la propria identità di italiani. Nello spettacolo l’orrore delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata confluisce nella vita dei due protagonisti sotto forma di perdita, di perdita della propria vita, della propria nazionalità, della propria identità, delle proprie cose, delle proprie case”.
Sembra chiaro da queste tue parole, che Rumoroso Silenzio non sia uno spettacolo sulle foibe, come in molti hanno erroneamente sostenuto, ma una storia d’amore in un dato periodo storico.
Esatto, l’intenzione non era quella di raccontare le foibe, ma raccontare una storia di due giovani che vivono in quel momento storico. L’intento era quello di parlare di identità, di radici e di un senso di riappacificazione col passato, che si collega al senso della costituzione di questo gruppo di lavoro.
Lo spettacolo è stato ideato per parlare di questo: avevamo deciso di mettere in scena una storia d’amore che noi definiamo, più esattamente, una richiesta d’amore al mondo. Sono diversi i personaggi che, senza dirlo, ma facendolo capire, chiedono qualcosa al pubblico, alla gente. Non sapevamo come farlo: è difficile creare una simile suggestione con la sola fantasia. Per una storia che parlasse di questo abbiamo deciso di appoggiarci ad un contesto storico e valutandone alcuni è venuta fuori la possibilità di utilizzare questa situazione storica che non conoscevamo. Ci siamo addentrati nella materia, abbiamo studiato questa vicenda che mi ha appassionato ancora di più e le due cose, la richiesta d’amore e l’ambiente storico, si sono unite, ma l’intenzione iniziale non era di parlare di questa storia qua perché non la conoscevamo.
In quel periodo stavo leggendo un libro di Gianni Oliva che raccontava in parte questa vicenda; ho scoperto poi che ne aveva scritti altri più mirati e precisi sempre su questo argomento e ho avuto un primo approccio. Poi, poiché non mi bastava, ho cominciato a viaggiare e a sentire i racconti della gente approfondendo meglio la tematica con incontri mirati e sono andato avanti. Sono successe poi tante cose, ho avuto tante possibilità: ho scoperto che c’era un altro lavoro che parlava di questi argomenti, quello di Simone Cristicchi, anche se lo spettacolo non ha nulla a che vedere con il lavoro, di successo, di Cristicchi; poi sono stato a Trieste e ho parlato con tanta, tanta gente.
E’ curioso e bello il fatto che parli sempre al plurale. Domanda provocatoria: chi è l’autore di Rumoroso Silenzio?
Ho scritto io questo spettacolo dal momento in cui sono venuto a conoscenza di questa realtà storica. Però, da quel momento lì in poi, siccome per mia filosofia non voglio fare tutte le cose da solo, essendo legato alla realtà del gruppo, ho coinvolto subito gli altri e ci siamo messi a studiare la vicenda insieme, nonostante il testo fosse già completo e compiuto. Nonostante lo abbia scritto e diretto io, questo progetto è nato da un bisogno condiviso.
Hai appena detto che l’intento era quello di parlare di identità, di radici e di un senso di riappacificazione col passato. Quando parli di identità, cosa intendi: un’identità personale o nazionale?
Entrambe le cose con decisione. Si parlava di identità personale innanzitutto e poi, visto il contesto storico, è normale che si estenda anche a quel tipo di amore e di identità.
Infatti nello spettacolo i due tipi di identità emergono allo stesso modo: non c’è un tipo di identità che emerge di più rispetto all’altro.
Come avviene questo processo di riappacificazione col passato e di conquista di un’identità? Quali strumenti vengono offerti al pubblico?
Lo spettacolo si alterna tra presente e passato: la storia d’amore nasce dal racconto di un personaggio che per molti è stato il custode di un magazzino (anche se in scena è un luogo indefinito, un cumulo di sedie che diventano tante cose). Lo spettacolo prende avvio dal racconto di questo custode che comincia a narrare la storia degli oggetti che lo circondano; da questo racconto parte un flash inarrestabile che va a guardare al passato e si comincia a raccontare la storia di questi due personaggi attraverso queste sedie, attraverso gli oggetti, attraverso i significati di memoria, questi oggetti che ritornano in vita e diventano persone. A inizio spettacolo c’è un momento identificato come nascita che rappresenta appunto le persone che escono dagli oggetti e ritornano ad essere se stesse grazie a questo racconto.
I due personaggi sono spinti da due desideri: Norma, la protagonista femminile, vuole scappare nell’immediato da questa situazione che attanaglia l’Istria, mentre Ferdinando vuole rimanere perché vuole portare via con sé tutte le sedie, i mobili e le suppellettili in scena. Nel finale di spettacolo troviamo i due personaggi insieme: Ferdinando abbandona per un attimo la compagna per recuperare alcune delle sedie dimenticate prima di partire e si capisce, attraverso giochi di ombre, che la ragazza, rimasta sola, viene rapita e uccisa.
Dopo questa uccisione, tutt’altro che cinematografica, rappresentata dalla potenza delle arti visive, si ritorna al presente e ritroviamo il custode dell’inizio che svelerà di essere nientemeno che Ferdinando anziano, il quale, per far pace col suo passato e perdonarsi l’errore di essere andato via preferendo la sedia alla compagna, ha fatto da custode agli oggetti della sua compagna per sessant’anni.
Trovo in tutto questo una forma alta di poesia. Mi pare di capire che sia dato grande valore al senso estetico. Sono curioso di sentire il testo.
Sì, l’elemento estetico è fondamentale, ho dato prevalenza a questo. La drammaturgia è volutamente invadente, nonostante la poesia ponderata, per un contesto storico così delicato.
Quello che abbiamo cercato di fare, è stato proporre uno spettacolo non per le persone direttamente interessate o che hanno vissuto questa esperienza, ma abbiamo cercato di fare una cosa totalmente diversa e di farlo per chi solo conosceva o nemmeno sapeva. Anche se trattiamo di un contesto storico pesante e importante, abbiamo concentrato le intenzioni sulla poesia, sul discorso dell’identità e sulla bellezza dello spettacolo.
Ci sono parti musicali o un sottofondo musicale?
C’è un musicista che suona dal vivo creando in sottofondo alcune atmosfere e due danzatrici di teatro danza che riempiono la scena nei momenti di coralità: tutto avviene spesso in contemporanea all’azione degli attori.
Come abbiamo già sottolineato, siete la compagnia più giovane d’Italia: vi siete ritrovati in 12/15 ad avere interessi comuni molto forti. Come pensi di avvicinare i giovani ad uno spettacolo simile? Come gli altri giovani possono ritrovarsi in questo spettacolo? Quale è la chiave per arrivare a loro?
Quello che abbiamo cercato di fare quando abbiamo creato non lo spettacolo, ma il pacchetto spettacolo, siccome era molto complicato arrivare con delle parole dello spettacolo e con gesti di quel tipo a dei giovani, perché c’era sempre in ballo il contesto storico, è stato coinvolgerli partendo delle scuole attraverso tante iniziative che ruotano attorno allo spettacolo stesso, portando sul palco tantissimi ragazzi prima degli spettacoli, tantissimi dopo, alcuni anche durante lo spettacolo, organizzando molti momenti di incontro, open day di montaggio, prove aperte, tavoli di discussioni universitari, arrivando a portare in scena spettacoli visti da dietro le quinte per far apprezzare il mondo del Teatro. Si è provato a fare qualcosa di diverso per il teatro, cioè rendere virale un prodotto teatrale.
In parte ci siamo riusciti con queste iniziative, in parte con lo spettacolo: vedere ragazzi giovani sul palco che fanno e dicono determinate cose, sprona anche gli altri a provarci. C’è stata una grandissima partecipazione e desiderio di essere coinvolti.
C’è stato un eccellente riscontro e siamo molto, molto soddisfatti. C’è stata una partecipazione degli studenti molto attenta e coinvolta e molta curiosità nel sapere come ci si organizza, a quali rischi siamo andati incontro e come si fa.
Voi avete girato il nord…
Io ero molto preoccupato, non sapevo come sarebbe andata questa esperienza. Mi sono detto: “proviamo! Facciamo sette, otto date di prova e vediamo la risposta, per poi costruire qualcosa quest’anno 2017”.
Quale futuro desidereresti per questo spettacolo?
Mi piacerebbe molto che passasse attraverso le scuole. E’uno spettacolo che per come è costruito e per le strategie utilizzate per arrivare ai giovani può entrare nel circuito del, diciamo così, teatro ragazzi.
Nel contesto delle scuole darebbe maggior stabilità per altri progetti, potremmo andare avanti. Ci stiamo lavorando.
Eppure lo spettacolo ha avuto tantissima risonanza a livello nazionale.
Sì, però è una cosa che, come tutte le cose di quel genere, lasciano il tempo che trovano.
A livello teatrale è un periodo complicato. E’ come muoversi nelle sabbie mobili: fai tanto, ma continui ad andare a fondo. E’ difficilissimo, soprattutto qui dove la dimensione teatrale non è felice.
Purtroppo ci siamo trovati a dover collaborare con quelle che si sono rivelate le istituzioni teatrali del momento e che si occupano di prendere decisioni anche per conto degli artisti; così, anche le cose belle fatte con sacrificio rischiano di arenarsi. Quello che è successo è una cosa grandissima che ho cercato di sfruttare al meglio. Essere una realtà indipendente ha richiesto un doppio sforzo, ma è stato motivo di orgoglio e spunti. Nonostante il prodotto sia già stato veicolato è difficile sopravvivere come produzione indipendente quando ti vai a relazionare con realtà grosse. Però siamo proiettati alla prossima stagione. Abbiamo istituito una segreteria speciale per lavorare sulle date dell’anno prossimo e riprenderemo a fine settembre da Milano.
Non ha in cantiere nulla di nuovo? Dì la verità, perché se rispondi di no non ci credo.
Abbiamo un’idea grande più di questa per il 2018: vorremmo uscire cercando collaborazioni importanti per ascendere al gradino successivo. Vorremmo rivisitare e attualizzare la storia di Cenerentola nel periodo della prima guerra mondiale. Scritto in parte da me, in parte da altri.
Inoltre posso dirti che Rumoroso Silenzio diventerà un libro! E’ un caso anomalo: di solito, infatti, sono i romanzi a diventare copioni, invece in questo caso il copione diventerà un romanzo. Lo sto già scrivendo.
Ringrazio Luca per questa bellissima chiacchierata e direi che a questo punto non possiamo sottrarci dalla necessità di assistere a questo spettacolo che nella prossima stagione toccherà altre città italiane. Nel frattempo, aspettiamo il libro!!!
TNB/TEATRO NUOVO DI BERGAMO
Produzione ed accademia di forme sceniche
IGSFA GROUP PRODUCTIONS
Di: Andreini Luca
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