Kensington Gardens, dal 25 febbraio al 6 marzo 2016 al Sala Uno Teatro.
Drammaturgia e regia di Giancarlo Nicoletti.
Con: Annalisa Cucchiara, Riccardo Morgante, Cristina Todaro, Valentina Perrellam Alessandro Giova, Eleonora de Luca, Francesco Soleti
E con: Luca Notari.
Kensington Gardens è il terzo capitolo della Trilogia del contemporaneo scritta da Giancarlo Nicoletti, preceduto da Festa della Repubblica e #salvobuonfine.
La storia è ambientata a Londra in un ipotetico futuro. Il potere è stato preso da un partito xenofobo che dichiara clandestini tutti gli stranieri sul suolo britannico e ne impone l’espulsione immediata, consentendo di sparare a vista su chiunque non sia inglese. Unica eccezione viene fatta per alcune categorie di stranieri che svolgono determinati lavori che lo Stato considera utili: queste persone potranno rimanere in Inghilterra previo il superamento di un esame di cittadinanza.
La storia racconta di sei italiani che, a causa di questa legge, sarebbero costretti lasciare il territorio britannico, ma, essendo legati ad un personaggio molto influente, Elena Salfi Corvini, famosissima cantante, riescono ad ottenere un permesso speciale di 90 giorni. I sei italiani, però, dovranno rimanere chiusi in una casa nei Kensingotn Gardens, una casa totalmente recintata e isolata dall’esterno, senza possibilità di contatti con alcuno. Alla fine dei 90 giorni il Governo dovrà decidere cosa farne, se tenerli in suolo britannico oppure mandarli via.
In realtà, i reclusi sono cinque: Elena Salfi Corvini, il figlio Tommaso, Cecilia, sorella di Elena, Sabrina Steurer e Massimo de Maiori, compagno di Elena. Oltre a loro, poi, c’è Paolo Altini, marito di Sabrina, con la quale ha una figlia di due anni. Paolo, essendo chimico, può aspirare a sostenere l’esame di cittadinanza e quindi può circolare liberamente entrando e uscendo dalla casa. Poi ci sono Julia, una ragazza inglese amica di Tommaso col quale canta e William, un magistrato inglese, amico del gruppo di artisti che ha una storia clandestina con Cecilia.
Lo spettacolo comincia all’ottantanovesimo giorno di permanenza nella casa dei Kensingotn Gardens; nella casa c’è grande agitazione.
Data la lunga permanenza in isolamento, i rapporti sono diventati tesi e logori ed escono fuori
grosse frizioni fra i personaggi. Tutte le relazioni all’interno della casa sono in crisi.
I caratteri sono un tentativo di lettura contemporanea delle dinamiche dei personaggi di Il Gabbiano di Cechov, operazione molto pericolosa e molto interessante. Il mondo del teatro, così vivo e importante per i personaggi cechoviani, viene qui sostituito dalla musica: cambia il contesto, ma la valenza è la stessa.
Così Elena Salfi Corvini è Irina: lei vive solo per la musica, trascurando il figlio per la carriera per lunghissimi periodi. Tommaso è Konstantin, il figlio di Elena, un aspirante musicista che vive come un grandissimo peso e ostacolo il confronto e il giudizio della madre.
Julia, l’amica inglese, è Nina, una ragazza che vuole fare la cantante, ma viene ostacolata dalla famiglia. Si inammorerà del fidanzato di Elena avendo con lui una storia tormentata.
Massimo de Maiori è Trigorin, che, anziché essere un affermato scrittore, è un compositore di successo, affascinato dalle cose e dalle persone belle, si invaghirà di Julia vivendo una seconda giovinezza.
Sabrina Steurer e Paolo Altini rappresentano un po’ le dinamiche di coppia di Mascia e Medvedenko. Lui innamorato, legato alla loro figlia e affezionato all’idea di famiglia; lei una ragazza incapace di prendersi responsabilità, che va avanti per inerzia, lasciando che le cose fluiscano autonomamente; assolutamente non innamorata né legata al marito, in realtà ama Tommaso.
Cecilia e William, invece, riassumono alcuni caratteri di Polina e Dorn, ma sono anche altro. Cecilia è il personaggio che, tra tutti, più si allontana dall’impianto cechoviano. Lei si è sempre presa cura del nipote Tommaso (è la sorella di Elena) ed è un po’la padrona di casa. Smania per uscire dalla casa, ma, alla fine, il suo personaggio subirà una trasformazione. William è un conservatore, un uomo a cui piace vivere in pace senza problemi, un uomo che difende il suo equilibrio.
Giancarlo Nicoletti, autore e regista, per questo terzo capitolo della Trilogia del contemporaneo si cimenta con un tema un po’esasperato, ma enorme e con un riferimento/confronto pericoloso.
Mentre in Festa della Repubblica si pone l’attenzione su dei pezzi scottanti della realtà italiana e in #salvobuonfine si parla di un problema sociale gravissimo e attuale, Kensington Gardens ci impone uno sforzo di immaginazione, rappresentando una realtà esasperata e, per ora, solo immaginata.
Per quanto portato all’eccesso, il problema trattato in Kensington Gardens è di profonda attualità e socialmente allarmante: l’idea di un partito xenofobo che prende il potere definendo immigrati clandestini tutti coloro che non hanno la cittadinanza e imponendo loro di andare via dal paese pena il rischio di venire uccisi, seppur forte ed estremizzato, è molto attuale (soprattutto se pensiamo a certa nostra politica, o alla situazione in Francia o, anche, alle recenti dichiarazioni della Gran Bretagna di voler uscire dalla Unione europea).
La grande intuizione, qui, è quella di porre la questione del principio di identità territoriale e di un esame di cittadinanza in un paese occidentale, ricco e sviluppato, come la Gran Bretagna.
Viene da considerare, in effetti, che quando noi italiani parliamo di extracomunitari pensiamo alla gente proveniente da paesi lontani e in estrema difficoltà come l’Africa; invece extracomunitario significa essere fuori della Unione Europea.
Noi non ci pensiamo mai, perché, nonostante tutti i problemi che abbiamo, siamo un paese occidentale avanzato, invece prendere coscienza di questo può essere terribile.
Il dramma forte è temere che da un momento all’altro possa affermarsi un gruppo qualsiasi che prende il potere e fa una legge per la quale tutti gli stranieri presenti nel paese sono immigrati clandestini e devono essere cacciati o, peggio, uccisi.
L’intera società verrebbe poi allevata sin dalla più tenera età attraverso un indottrinamento ideologico forte e penetrante. Tutte cose che ci rimandano ad un terribile passato trascorso da poco.
Altra grande operazione è quella di rappresentare la storia attraverso una identificazione e rilettura contemporanea dei personaggi di Il Gabbiano di Cechov, cosa di cui ho già ampiamente parlato; identificazione talmente riuscita da rischiare che in alcuni punti Cechov sia più presente di Giancarlo Nicoletti.
Kensington Gardens è uno spettacolo corale dove l’apporto di ogni singolo attore è fondamentale in funzione del significato globale; per sua stessa struttura stilistica, narrativa e drammaturgica, la riuscita o meno dello spettacolo è da imputare sempre al gruppo di lavoro e mai al singolo individuo.
Un gruppo di attori e attrici di straordinaria bravura; un gruppo fortemente coeso dove ognuno è pronto ad offrire il proprio sostegno all’altro.
La tessitura narrativa richiede la forte compartecipazione di ognuno al tutto, l’adesione completa ad un progetto globale e questo gruppo risponde pienamente alle richieste del proprio regista al quale ognuno si è affidato con grandissima liberalità e disponibilità.
Seguendo la scia dei protagonisti cechoviani, i personaggi sono tutti fortemente caratterizzati: uomini e donne deboli, dei perdenti. Ognuno di loro prende vita sul palco con momenti di interpretazione molto forti; grande carica emotiva, grande sofferenza, grande rabbia, grande repressione.
Annalisa Cucchiara, semplicemente strepitosa, è una enorme Elena/Irina, donna in conflitto con la crisi di mezz’età e la smania di essere sempre in primo piano; un’interpretazione forte, carismatica, in alcuni momenti fantasticamente sopra le righe, vocalmente avvolgente e ineccepibile.
Luca Notari è un grande Massimo de Maiori/Trigorin: si trova a suo agio in un personaggio che, in parte, gli assomiglia; affascinante e talentuoso, Trigorin è amante delle belle cose e preda di emozioni nuove. Luca mette del suo in questo personaggio regalandogli la propria bellissima voce.
Anche se breve, il duetto tra lui e Annalisa è meraviglioso.
Riccardo Morgante è Tommaso/Konstantin; Riccardo è un giovane attore con alle spalle già molte belle esperienze; ha lavorato con Giancarlo Nicoletti in #salvobuonfine interpretando un ruolo impegnativo anche psicologicamente. Anche qui la sua sfida non è facile, ma è affrontata con grande piglio e determinazione e Riccardo porta a casa un grandissimo risultato. Egli restituisce tutta l’ansia di vita di Tommaso e tutta la sua frustrazione con grande vividezza.
Eleonora de Luca è un’attrice bravissima e la sua Julia è esattamente come uno si aspetterebbe Nina. Nel monologo finale di Julia/Nina è meravigliosa: il pezzo è difficilissimo, ma lei lo interpreta con grandissima intensità e sofferta partecipazione.
Cristina Todaro interpreta Cecilia: un ruolo difficile, molto dinamico che, prevedendo un’evoluzione del personaggio, richiede un doppio impegno di concentrazione e di adattamento ai diversi e opposti stati d’animo del personaggio e Cristina è stata ineccepibile. Grande interpretazione anche la sua ed è sempre bello vederla in scena, così come Valentina Perrella, altra storica attrice di Nicoletti insieme a Cristina Todaro e Alessandro Giova.
Valentina (Sabrina) dà dimostrazione un’altra volta di saper fare l’attrice; in tre lavori con Nicoletti ha interpretato tre donne diverse. Anche se per farci apprezzare le sue doti drammatiche basterebbe la scena finale di #salvobuonfine, qui, per via di un personaggio enormemente sofferente,Valentina raggiunge una drammaticità molto intensa, sostenuta per tutto lo spettacolo.
Alessandro Giova cresce sempre più; ogni spettacolo è sempre un passo avanti, un progresso, un’evoluzione. Paolo è un personaggio difficile e complesso; il suo percorso durante la narrazione è un esacerbarsi di emozioni, paure e sentimenti repressi che Alessandro riesce a rappresentare in ogni sfumatura. Strepitoso nella sua apologia del partito.
Infine Francesco Soleti; per lui, in un certo senso, il ruolo più scomodo. William è un conservatore che non vuole che il proprio equilibrio venga turbato. Egli è inglese, è un ospite, non rischia nulla. La sua interpretazione, quindi, deve essere giocata su ritmi lenti e pacati; William è uno spettatore, non ha mai un ruolo attivo; nel confronto con gli altri, presi da sogni frustrati e ricordi malinconici, è un personaggio svantaggiato. Francesco traduce le intenzioni del regista di creare un personaggio che stacchi dagli altri, quindi i gesti e le parole sono pochi e controllati.
Kensington Gardens è assolutamente uno spettacolo da vedere.
Il testo, come sa bene chi conosce i lavori di Nicoletti, è ottimamente scritto: diretto e schietto, possiede una grande potenza nella scelta, nell’uso e nella successione delle parole.
La regia è attenta e penetrante: ogni quadro è studiato sotto ogni punto di vista. I costumi, l’uso delle luci e la musica, completano l’ottimo allestimento.