STILL LIFE (2013)
TRITTICO FURIOSO
focus ricci/forte
drammaturgia ricci/forte
regia Stefano Ricci
con Anna Gualdo, Giuseppe Sartori, Fabio Gomiero, Liliana Laera, Francesco Scolletta
movimenti Marco Angelilli
Produzione ricci/forte
in collaborazione con Garofano Verde e il sostegno del Teatro di Roma
Un tipo di Teatro diverso da tutto ciò che avevo visto finora, un’esperienza unica e forte che parte dal palco per arrivarti dentro e strizzarti anima, cuore e stomaco.
Non saprei definire nemmeno di che tipo di Teatro si tratti: facendo anche una bella gaffe, mentre parlavo con uno dei protagonisti, Giuseppe Sartori e con l’ideatore dei movimenti Marco Angelilli, ho esclamato: “Questo non è Teatro,” volendo intendere che è qualcosa di più. Molto di più.
Non è solo rappresentazione, ma è vita vera che corre sul palco, è energia che si irradia sul pubblico.
L’impressione è quella di una scossa elettrica: il corpo viene attraversato da scariche elettriche che corrono sotto pelle e dalle vene si irradiano dappertutto. Ogni organo sussulta e resta in tensione nell’attesa contemplativa della scena che si svolge.
Ho imparato che nel Teatro di Ricci/Forte la fisicità è un elemento fondamentale e fondante: gli attori sono chiamati a lunghi e pesanti sforzi fisici e a tenere i muscoli in tensione per tutto il tempo dell’esibizione.
E’ la Vita stessa che viene rappresentata nello sforzo di viverla e di sostenerne i colpi, nella tensione a cui siamo continuamente sottoposti sotto tutti i punti vista e nella ricerca continua di una dimensione che possa essere ristoratrice, ma che sembra essere un non luogo irraggiungibile.
E’ un Teatro vero, forte, di impatto; un Teatro che usa mezzi di uso quotidiano, che non crea mondi fantastici, anzi ti inabissa in un gorgo esistenziale intimo, ma anche universale dal quale non sai se esiste scampo.
Il testo è eccezionalmente diretto, efficace, penetrante: vengono presentati e sviscerati concetti di fronte ai quali sarebbe facilissimo cadere nella retorica, con una scioltezza linguistica, una metrica e una modulazione della voce e dei toni che rendono tutto non solo comprensibile, ma anche immediatamente percepibile, fruibile.
Dire cose difficili con parole semplici è un enorme pregio. Per farsi capire è necessario sapersi spiegare. Sono due principi che ho sempre sostenuto essere fondamentali.
Senza scrivere trattati o saggi, per esempio, viene fornita la definizione di Bacio nella maniera più semplice, ma anche più efficace, in un linguaggio che arriva diretto e che non necessita di interpretazione. E quel bacio arriva, “scandaloso”, a sconvolgere antichi cliché che dovrebbero essere già desueti.
Linguaggio comprensibile, dicevo. Anche perché, a “complicare” le cose, a rendere il contesto maggiormente articolato, ci sono già le scene, forti, e le musiche. In un allestimento già ricco di figure forti, un linguaggio puro, schietto e diretto aiuta ad arrivare prima e meglio al centro del discorso.
Anche la forza rappresentativa è immensa: le scene sono crude, hanno un qualcosa di primitivo, di selvatico, qualcosa che richiama e riporta alla parte istintuale dell’uomo, anche a quella più aggressiva; a quella parte priva di un senso del controllo dettato dal ragionamento.
Le musiche, in un’alternanza di techno, elettronica e commerciale, accompagnano e sostengono le scene fornendo un forte substrato emotivo.
Sullo sfondo della scena, su un pannello, vengono proiettate a tratti scritte che riportano elementi o particolari salienti.
In un punto della scena, un po’ dietro, un enorme lavagna carta sulla quale vengono disegnati grafici, assi cartesiani e insiemi quasi a voler delineare una geometria del dolore, un’algebra delle aggressioni, dei delitti e delle istigazioni al suicidio.
Still Life (2013) è uno spettacolo figurativo di grandissimo impatto scenico ed emotivo; la fisicità degli attori è al servizio della scena e del messaggio; è uno spettacolo altamente iconografico dove oggetto e azione sono inestricabilmente legati l’uno all’altra in una dimensione temporale che vive il presente, travalicando però se stessa. L’azione è qui e ora, ma potrebbe essere già stata e potrebbe ancora dover accadere.
Si potrebbe dire che si tratta di Teatro di denuncia, ma non è solo questo: certo il Teatro di Ricci/Forte ha una fortissima componente sociale, quindi anche di denuncia, ma mai questa denuncia è puramente stilistica, o pura retorica. Il fatto raccontato, il fatto rappresentato, il fatto richiamato è, piuttosto, un pretesto per raccontare, rappresentare e richiamare altro: soprattutto è un mezzo, insieme agli altri, per risvegliare la coscienza.
Still Life (2013) nasce come “omaggio” per ricordare l’adolescente, uno dei tantissimi, che si suicidò, perché vittima di bullismo omofobico, impiccandosi con la sua sciarpa rosa. Allora Still Life (2013) è un richiamare l’attenzione su uno dei tanti problemi che gravano sulla società contemporanea e ne segnano l’imbarbarimento culturale e la disumanizzazione.
E’ un richiamare alla memoria una natura sociale alla quale saremmo chiamati, un ricordare il male del mondo, una denuncia che non vuole rimanere arido proclama intellettualistico artificioso e che non lo è.
Still Life (2013) ha il grandissimo pregio di sbatterti la realtà in faccia: nuda e cruda così com’è, nella sua spettacolare e terribile naturalezza.
La scena si apre con un gruppo di ragazzi, due maschi e due femmine, che giocano a mimare i titoli dei film: la spensieratezza adolescenziale, però, viene presto spezzata da un evento, che non è un evento oggettivo, quanto più la rappresentazione stessa della violenza umana.
Sul pannello in fondo vengono proiettati i nomi e l’età di ragazzi vittime della discriminazione sessuale.
Nomi che un domani non verranno ricordati da alcuno, perché così la cronaca come l’opinione pubblica si scorderanno di loro. Ma quei nomi sono legati ad esistenze che sono state e sono reali e a persone che restano a sopravvivere senza i propri figli, amici, amanti che portavano quei nomi.
Gli spunti di riflessione sono tantissimi in questo spettacolo dell’anima.
La coscienza è scossa dalla verità e nudità dei messaggi che vengono lanciati senza filtri, veri e reali come la vita e il dolore.
“Ci si nasconde ancora non per vergogna, ma per mancanza di rispetto”; “A differenza del mondo animale nel mondo umano l’individuo conta più del genere”…
Raccontare questo spettacolo non è facile, e nemmeno giusto: ogni parola detta o scritta rischierebbe di togliere efficacia alla scena rappresentata; non c’è bisogno di raccontare le scene quando si può raccontarne il senso, senza darne spiegazione, lasciando così allo spettatore la voglia di avvicinarsi a questo mondo che è Still Life (2013), il desiderio di affrontare la propria vita durante questa realistica e drammatica messa in scena.
Sì, perché un elemento forte di questo spettacolo è l’interazione col pubblico; interazione è però un termine che non descrive nemmeno bene il senso. Si tratta di un coinvolgimento emotivo, di una vera e propria condivisione del proprio sentire con quello rappresentato, di una partecipazione attiva, senza retorica e senza forzature, alla vita che scorre sul palco, drammatica, forte, mai fredda.
Ho trovato eccezionale l’accostamento di diversi livelli di linguaggio e rappresentazione: la storia dentro una storia, in un fluire dinamico e mai stantio; la musica; l’enorme forza espressiva dell’esprimersi per immagini; il simbolismo; la gestualità asciutta e dirompente.
Ci sono scene in cui tutto questo raggiunge un apice incredibile, da rimanere a bocca aperta e senza fiato.
La cattiveria dell’uomo, la brutalità , la disperazione prendono forma nei gesti, nelle parole e negli strumenti di scena volta a volta utilizzati.
Un messaggio, sempre più chiaro, sempre più forte, viene lanciato per tutto lo spettacolo: “è il momento di incazzarsi, basta falsità. A chi serve questo letargo?”. Basta vivere nell’ipocrisia, è ora che le coscienze si risveglino; basta fingere di non vedere, omologarsi ad una società di plastica.
“C’è un vuoto, un vuoto di persona”. Basta con queste assurde morti causate dalla cattiveria, dall’ignoranza, dalla paura del diverso, dall’omofobia: “quel morto ci abita dentro…il suicidio è una sconfitta per tutti”.
“Oguno di noi ha una tomba da lucidare…vivi al quadrato, vivi al cubo”, si deve vivere anche per chi non c’è più.
Il Teatro di Ricci/Forte è espressione di un nuovo mondo, fatto delle stesse cose di quello vecchio, ma che oggi parlano un’altra lingua e indossano altri vestiti. Sono la voce di umanità che non riescono a dirsi, ma hanno bisogno di raccontarsi, che non trovano più spazio, che non hanno un posto assegnato nella nostra società, che vivono il rifiuto e sono precari della vita.
Utilizzano forme e linguaggi che potrebbero sembrare eccessivi, ma non lo sono: rappresentano esattamente la vita così come è: brutale, cruda, senza filtri, mordace.
Esasperazione ed eccesso sono solo il riflesso di una società esasperante ed eccessiva.
Gli attori, Anna Gualdo, Giuseppe Sartori, Fabio Gomiero, Liliana Laera e Francesco Scolletta sono strepitosi: sono loro là, sopra quel palco, ma non sono solo loro; sono quello che interpretano, ma non sono solo attori. Sono uomini e donne che credono in quello che fanno, che vivono il messaggio che lanciano; sono protagonisti di una realtà lacerata e lacerante che si mettono in prima persona in discussione.
Le loro figure e le loro prestazioni ricevono valore aggiunto dai bellissimi movimenti scenici curati da Marco Angelilli: gli attori sono in continuo movimento. Passi, corse, corpi che si inseguono, si accavallano, si uniscono, si attraggono e si respingono; fiati che si sentono respirare, cuori che si sentono battere.
Still Life (2013) è una denuncia del letargo intellettuale e sentimentale della nostra società: è il tentativo di risvegliare realmente le coscienze e viene vissuto dallo spettatore anche come un cammino che porta alla catarsi, alla liberazione da certi sentimenti e da certe paure, alla purificazione dal dolore, o, almeno, alla sua metabolizzazione.
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