DOPPIO SOGNO
di Giancarlo Marinelli
tratto dall’omonimo racconto di Arthur Schnitzler
Con Ivana Monti, Caterina Murino, Ruben Regillo, Rosario Coppolino
E con Andrea Cavatorta, Francesco Maria Cordella, Serena Marinelli, Simone Vaio, Carlotta Maria Rondana
scene Andrea Bianchi
costumi Adelia Apostolico
musiche Roberto Fia
light designer Mirko Oteri
regia Giancarlo Marinelli
Al Teatro Quirino fino al 19 aprile
Doppio Sogno è uno spettacolo visionario in cui sogno e realtà, falsità e verità si alternano e intrecciano continuamente, accavallandosi, rendendo difficile capire quando ci si trovi in un mondo o nell’altro.
Un viaggio nel terreno dell’inconscio e dell’onirico, tra ricordi sognati e ricordi indotti come quando si è in preda ai deliri di una febbre molto alta: la Verità è lì a un passo (su una sedia come direbbe uno dei protagonisti), ma è celata, offuscata, esasperata, ingigantita. Un viaggio nel senso di colpa, nella paura dell’abbandono e nei processi mentali inconsci che elaborano queste paure in figure immaginifiche che tormentano l’esistenza dell’individuo.
Un delirio della mente dove i fantasmi che vengono a tormentarci, per assurdità, chiedono perdono per la loro stessa presenza e dove il carnefice è a sua volta vittima.
Tratto dall’omonimo racconto di Arthur Schnitzler a cui si è ispirato Stanley Kubrick per il suo incompiuto Eyes Wide Shut, Doppio Sogno parte dall’ipotesi di un tradimento solo pensato per scaraventare la coppia protagonista, innamoratissima e affiatata, in un baratro esistenziale dove si insinuano il dubbio e la frustrazione fino a scavare profondi fossati nell’anime tormentate, facendo vivere (o rivivere?) pensieri celati al raziocinio e portandoli all’esasperazione attraverso l’espediente del sogno delirante, del ricordo indotto, dell’incubo martellante. In questo delirio febbrile le persone si intrecciano e nessuno è più come sembra: ognuno nasconde qualcosa, un segreto, un peccato, un vizio, ognuno indossa una maschera, non solo fisicamente, realmente, come accade per buona parte dello spettacolo, ma anche simbolicamente.
Siamo di fronte a un doppio nascondimento dove, sotto la maschera che cela il viso, esiste una maschera che cela l’animo.
Ognuno ha una doppia faccia e nasconde segreti reconditi e misteri insondabili.
In questo modo, i personaggi sono loro e altri, nascondono personalità diverse e divergenti; una situazione narrativa perfettamente in linea con l’intento dichiarato del regista di creare personaggi multipli per i suoi attori e un testo che fosse già teatro multiplo.
Tutto questo si va ad aggiungere ad un contesto, come già sottolineato, di continuo passaggio tra sogno e realtà, finzione e verità, aumentando quella dimensione di incertezza e vaghezza propria di tutta la narrazione.
L’adulterio solo vagheggiato diventa ossessione e crea pensieri quasi maniacali che vanno a mescolarsi con altri dubbi, rimpianti e interrogativi che portano il soggetto a specchiarsi e a non riconoscersi e anche a non essere riconosciuto dagli altri né a riconoscere gli altri.
Che non fosse affatto facile portare in scena un’opera incompiuta e così complessa era un dato di fatto e, purtroppo, Doppio Sogno, seppur mirabile nelle intenzioni del regista, non mi ha convinto fino in fondo.
“…solo questo mi interessa, raccontare (ancora una volta) i crimini, anche solo della fantasia, che attentano ogni giorno alla felicità della coppia; dire quanto sia disperante dover amare e essere amati, facendo i conti con l’infantile terrore e la sadica eccitazione dell’abbandono; mettere in scena la follia di chi, ad un certo punto della sua vita, è convinto che il dolore che subiamo, in verità, sia la punizione meritata a quel nostro abbandonare, tradire, violare chi ha scelto di essere, per sempre, nostro.
Il teatro è amare gli attori. E odiare tutto ciò che riescono ad essere al posto nostro.” [Giancarlo Marinelli].
Gli elementi di divertissement che dovrebbero alleggerire il tono della narrazione, quelli di stacco che dovrebbero strappare lo spettatore dalla dimensione onirica e riportarlo alla realtà e gli espedienti comici tendenti al grottesco sono, in realtà, inefficaci e distraenti. I personaggi che dovrebbero creare tensione e paura sono buffi, portati all’estremo e, seppur in una dimensione onirica, perdono di spessore e rischiano di essere vacui.
I sogni e gli incubi che tormentano l’esistenza del protagonista sotto la spinta dei sensi di colpa e delle sue paure non sono catartici, non lo portano a liberarsene, ma a rinchiudersi in se stesso; lo stesso attore protagonista si chiude in un soliloquio disperato chiaro solo a lui; il messaggio non viene trasmesso, ma trattenuto, tenuto per sé, come se non si fosse voluto dare o dire tutto.
Lo svolgimento globale sembra un po’ forzato: il fatto stesso che sia necessario che una delle protagoniste si rivolga verso il pubblico togliendosi la maschera e dicendo “ora è la verità” come a dire che quello che verrà detto da quel momento è quello che realmente è accaduto, fa capire che la narrazione non ha portato lo spettatore a cogliere appieno i vari livelli di comunicazione e a discernere da solo quali fossero gli stati onirici, quelli falsi e i fatti reali.
Nel finale si avverte una sovversione dei ruoli che fa pensare ad una deviazione da tutto quanto accaduto sino a quel momento, ma non basta. E’ nel finale che appare evidente che Doppio Sogno è soprattutto una storia d’amore, dove l’amore è talmente forte che si trasforma in paura di perderlo e tradirlo, una paura cosi disperante che rischia di allontanare i due coniugi innamorati.
La cifra di tutto è nelle ultime parole della protagonista, dapprima presentata come donna frivola, egoista e anaffettiva, quando, ormai disperata, riuscirà a riportare il marito alla lucidità strappandolo al delirio e minacciandolo di amore: “ non ti azzardare più a impazzire senza portarmi con te! (…) Sono sempre la stessa, una che ti cercava”.
Una menzione di onore deve essere fatta per la grandissima Ivana Monti, strepitosa, bellissima, altera, anche divertente, un’attrice che regala un’interpretazione magistrale propria della vecchia scuola di Teatro, quel Teatro di cui, oggi, si avverte la mancanza.
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