Un Gabbiano
Regia e adattamento di Gianluca Merolli
Dopo l’ottimo debutto di giugno a Napoli, è tornato a Roma Un Gabbiano, la prima regia di Gianluca Merolli.
Lo spettacolo è andato in scena dal 9 al 19 ottobre, al Teatro Sala Uno riscuotendo un grande successo di pubblico e critica.
Rispetto al debutto napoletano, molte sono state le differenze portate in scena a Roma. Un Gabbiano è una creatura in movimento; fino all’ultimo il regista ha continuato a pensare, riflettere, apportare modifiche.
La prima urgente necessità è stata quella di trovare due nuovi attori per due dei quattro protagonisti, Sorin e Trigorin. Operazione non facile visti i tempi stretti di preparazione.
Dietro questo spettacolo c’è stato tantissimo lavoro: un’intensa attività di progettazione, sperimentazione, tentativi; un grande lavoro prima di tutto cerebrale ed emotivo da parte del regista. Poi, un ottimo lavoro di squadra: grandi professionisti che si sono messi al servizio delle idee di Gianluca portando se stessi, il proprio vissuto in sala prove, ricevendo a loro volta una grande apertura mentale del regista, un’accoglienza spirituale straordinaria.
Alcune soluzioni sono state modificate, arricchite oppure snellite. Gianluca ha lavorato molto nell’asciugare il più possibile; modifiche decise dal regista, ma sempre condivise col suo fantastico gruppo di attori.
Anche la colonna sonora ha subito delle variazioni, arricchendo ulteriormente lo spettacolo di momenti topici.
Felicissima la scelta del teatro: un luogo così particolare che si è adattato perfettamente alle necessità logistiche di questo dramma. Un sito che è esso stesso scenografia, con la presenza di quinte naturali, che si è reso perfetto all’esigenza e alla volontà di utilizzare una scenografia essenziale, fatta di oggetti simbolici piuttosto che di grandi strumenti.
Un grande impegno per Gianluca, nel doppio ruolo di regista e attore. Occuparsi della regia ed essere contemporaneamente sul palco non facilita certo il lavoro di analisi e composizione dei quadri scenici. E’ necessario vedere e sapersi vedere allo stesso tempo. Sicuramente anche questo allestimento ha richiesto un grosso impegno fisico ed emotivo per lui, che è stato sostenuto da un cast di persone e artisti eccezionali.
Anita Bartolucci, Irina, grandissima attrice di indiscusso talento. Lei è la Diva per me; incarna L’Attrice di Teatro; grande presenza, forte carisma, sguardo penetrante e una voce al servizio del personaggio.
Graziano Piazza, arrivato in corsa in questo progetto, non è stato affatto penalizzato da questo fatto, inserendosi, anzi, con estrema naturalezza in questo gruppo e portando sulla scena un Sorin fantastico: umano, sensibile, realmente “innamorato” del nipote e suo grande sostenitore, spaesato e in difficoltà nei confronti dell’austera sorella, ma saldo pur nelle sue debolezze.
Giulia Maulucci è una fantastica Masa, una donna “gotica” che “seppur non dolorista” gode del dolore che le è toccato in sorte. Giulia crea una Masa disperata, ma forte; esasperata, ma risoluta; concentrata nell’allontanare da sé il suo amore per Konstantin cercando di scacciarlo con una relazione di comodo. Una donna triste, che ama vivere; una donna mai rassegnata al dolore, ma che dolorosamente combatte la propria guerra con l’esistenza.
Giulia per me è la Regina; è grande, attenta, profonda; lei ha vissuto con Masa tutto il periodo di preparazione e rappresentazione.
Francesca Golia è Nina; perfetta per il ruolo della dolce, giovane, sognante ragazza di provincia che aspira a diventare un’attrice e ostinata nel credere di esserlo diventata.
Fabio Pasquini stupisce, colpisce e attrae con la sua sublime interpretazione di Medvedenko: un ometto (un omuncolo?) grigio e triste, a proprio agio nella sua sventura: “Che cos’è il mio dolore, la mia sventura, se ho la forza di essere felice?”. Un uomo che accetta il proprio destino e che cerca solo di vivere al meglio la sua meschina realtà. Un uomo che potrebbe sembrare banale, goffo, triste, ma che Fabio riesce a personalizzare e a rendere particolare attraverso una serie di atteggiamenti particolari e pose buffe.
Ivan Alovisio è un Trigorin forte, sostenuto, arroccato in se stesso. Ivan caratterizza il suo personaggio puntando sul distacco da tutti; presente con tutti, ma coinvolto da nessuno. La sua unica ossessione è scrivere, scrivere, scrivere e Ivan accompagna il suo Trigorin in tutto questo viaggio tenendo a mente solo questo scopo: gli altri sono solo un possibile spunto per i propri racconti. Non c’è malizia in lui, né vuoto utilitarismo; egli si approccia agli altri con un distacco naturale, attento non alle persone in quanto tali, ma alle storie che di esse si possono raccontare.
Gianluca Merolli è un Konstantin alla continua ricerca di conferme: conferma come figlio, non amato dalla madre. “M’ama, non m’ama, m’ama, non m’ama..lo vedi? Mia madre non mi ama”. Conferma come amante “il tuo sguardo è freddo, la mia presenza ti imbarazza”; conferme come scrittore, come uomo…
Gianluca interpreta un Konstantin che, per alcuni versi, si estranea dalla realtà, non perché vuole allontanarsene (anche se palese è il rifiuto della società del tempo da parte sua), ma perché è la realtà stessa a sfuggirlo, a non riconoscerlo come frutto del suo tempo.
Un Gabbiano di Gianluca Merolli è il frutto di un intenso e continuo lavoro e come ogni frutto porta un seme, un seme che mette radici in chiunque assista allo spettacolo e che, nel tempo, sedimenta, alimentando l’anima e il cuore di nuove, uniche sensazioni. Lo spettatore esce dal teatro che non è più la stessa persona: i numerosi stimoli visivi e intellettuali di questo adattamento restano in fondo all’anima in attesa di essere elaborati in base al vissuto personale di ogni singolo spettatore.
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