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Recensioni, Teatro, Teatro

La guerra non è un gioco. War Game

war game2

War Game – La prima guerra virtuale

Teatro Ghione

11 aprile 2018

In qualsiasi modo li si assortisca (Riccardo/Veruska, Veruska/Guido…), in qualsiasi ruolo (autore/attore, attore/regista), anche in ordine sparso, Veruska Rossi, Riccardo Scarafoni e Guido Governale sono garanzia di ottima scrittura, grande originalità e senso profondo.

War Game – La prima guerra virtuale li vede impegnati tutti e tre insieme nella scrittura e nella regia con risultati davvero soddisfacenti e decisamente all’altezza delle aspettative.

Lo spettacolo è un racconto di un particolare momento della Prima Guerra Mondiale che riesce a raccordare con grande vividezza il passato al presente e si propone di omaggiare la memoria di tre eroi italiani, i primi soldati aviotrasportati : I Tenenti Alessandro Tandura e Pier Arrigo Barnaba (Medaglia d’oro al Valor Militare) e il Tenente Ferruccio Nicolosio (Medaglia all’Ordine Militare dei Savoia).

Guido Governale, Veruska Rossi e Riccardo Scarafoni partono dagli elementi terribili e drammatici della guerra, primo conflitto tecnologico che vide l’ideazione di nuove strategie e nuove armi (i lanciafiamme, i primi bombardamenti aerei, i primi attacchi con i gas, i primi carri armati, i primi lanci col paracadute) ai quali aggiungono sollecitazioni molto vicine al vissuto odierno, per portarli all’attenzione del pubblico con una modalità decisamente contemporanea.

Sette bambini si ritrovano nella cameretta di uno di loro. Si festeggia un compleanno. Il regalo per il festeggiato è un gioco virtuale che è stato loro proibito perché considerato, a ragione, troppo violento e dannoso per gli effetti che potrebbe avere su menti giovani non ancora strutturate e pronte a confrontarsi con la crudeltà del mondo. Per loro è solo un gioco, un divertimento come altri: War Game – La prima guerra virtuale.

Con spensieratezza, grande curiosità e con quell’emozione che deriva dal compiere qualcosa di proibito, creano i propri alias e cominciano a giocare. Sette bambini si ritrovano a essere sette ragazzi, soldati mandati sul campo di guerra: Wolf, Jedi, Joker, Dexter e Leonard formeranno la squadra degli Arditi e saranno accompagnati da Daniel, figlio del tenente Baluk, verso il campo dell’azione.

Improvvisamente catapultati in un mondo totalmente lontano e diverso dal loro, di cui qualcuno ha una vaga idea attraverso i racconti del bisnonno, immersi nei loro visori per realtà virtuale, vivranno potenti e devastanti emozioni in una dimensione che non è reale, ma che fa male lo stesso.

War Game è una storia commovente, intensa e drammatica che parla di amore e paura, condivisione e individualità e lo fa a tutti con la forza di un linguaggio vivido e reale che riporta all’attualità della guerra con enorme efficacia e suggestione perché la guerra non conosce epoche ed è sempre contemporanea.

I giovanissimi e bravi attori che interpretano i bambini ricreano quel momento in cui la spensierata infanzia individuale viene spezzata dallo spirito del gruppo che, con incoscienza e spavalderia, vuole rompere le catene del divieto genitoriale per raggiungere un’adultità precoce, rappresentando dinamiche di conflitto interno e autodistruzione, ma delineando anche un processo di consapevolezza.

I bravissimi giovani attori che interpretano i soldati restituiscono con un’immediatezza che colpisce e coinvolge l’atmosfera cameratesca, muovendosi dal gioco per alleggerire gli animi e farsi coraggio allo strenuo sostegno nelle difficoltà, ma rappresentano anche, con angosciante realismo, la paura di morire, ma, soprattutto, il tragico dilemma umano ed etico tra uccidere per sopravvivere oppure morire da innocenti.

Il testo è davvero ben scritto e strutturato: accompagna infatti con agilità e abilità il racconto diviso in due spazi scenici e temporali con continuità pur esprimendosi con due linguaggi diversi.

La regia sostiene costantemente la drammaturgia grazie ad una profonda sinergia tra parola/azione/tempo/luogo e scene che, talvolta, si svolgono simultanee.

La musica è perfettamente adatta e belli e ben eseguiti sono anche i movimenti coreografici, come quello dei bombardamenti.

Anche la scenografia, seppure essenziale, è molto funzionale: sullo sfondo, su un palco rialzato, la camera dei ragazzi in cui si svolge l’azione reale; davanti, una radura con pochi alberi, campo di battaglia in cui ha luogo l’azione virtuale.

Il pubblico non solo osserva, ma viene coinvolto in un’azione tridimensionale che si svolge su due livelli.

Veruska Rossi, Riccardo Scarafoni e Guido Governale, nel loro rendere memoria ai tre primi soldati aviotrasportati rievocando l’orrore della guerra che è sempre intorno a noi, in linea con il lavoro che da anni svolgono sulla tematica infantile e adolescenziale, richiamano anche pericoli molto più vicini alla nostra quotidianità, prendendo in questo caso ad esempio il rapporto tra individuo e gruppo o branco e la violenza di alcuni giochi virtuali la cui suggestione è talmente potente da poter scuotere e in certi casi sconvolgere la psiche e influenzare i comportamenti dei giovani che non hanno ancora gli strumenti per affrontare l’orrore del mondo reale.

Perché se War Game è un gioco, la guerra non lo è.

 

War Game – La prima guerra virtuale

scritto e diretto da Rossi, Riccardo Scarafoni e Guido Governale

con Andrea Amato, Francesco Buccolieri, Niccolò D’Ottavio, Daniele Felici, Alberto Fumagalli, Diego Tricarico

e

Lorenzo Bruschi, Alessandro Buccilli, Alessio Di Domenicantonio, Riccardo Micheli, Valerio Montanari, Santiago Narciso, Davide Pinter, Tommaso Reitani, Flavio Rossi, Leonardo Salari, Francesco Tiburzi, Alessandro Volpes

La voce di War Game è Chiara Gioncardi

scene Lisa De Benedittis

costumi Lisa Sorone

aiuto regia Silvia Parasiliti Collazzo

luci Luca Palmieri

audio Fabrizio Cioccolini

direttore di Scena Matteo Palmieri

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Recensioni, Teatro, Teatro

Il segreto del teatro di Gur Koren

il segreto del teatro

Sala Umberto

23 marzo 2017

Il segreto del teatro è uno spettacolo divertente ed emozionante di Gur Koren, con la traduzione di Danilo Rana e la regia di Lorenzo Goielli.

Una  famiglia anomala: il padre Toby, gangster dal cuore docile e il figlio Zac, prossimo alla laurea e super tecnologico, sono degli spacciatori; la madre, Vera, è una stilista di abiti da sposa, scaltra, intelligente, cinica e figlia di un grandissimo boss dello spaccio morto ammazzato.

Si ritrovano a voler gestire gli “affari di famiglia”, ma non sono esattamente delle linci: un’importante spedizione verso la Macedonia non arriva a destinazione e i tre devono trovare il modo di riscattarsi da questo insuccesso e conquistare il mercato macedone.

L’occasione arriva quando la si imbatteranno nella compagnia Teatro Fantasia, una fondazione di teatro amatoriale composta da giovani diversamente abili che dovrà partecipare ad un concorso proprio in Macedonia.

Il Teatro Nazionale è in crisi a causa dei tagli ai fondi voluti dalla politica economica corrente e i ragazzi della compagnia sono costretti a cercare fondi porta a porta.

A questo punto, Toby si fingerà produttore per agganciare la compagnia, fornendogli i soldi per il viaggio e progettando di nascondere il carico di droga negli oggetti di scena.

I ragazzi metteranno in scena Romeo e Giulietta: Toby e Zac, assistendo alle prove per capire come meglio nascondere il carico, sempre accompagnati da un’improbabile guardia del corpo, entreranno in contatto con i ragazzi della compagnia e si innamoreranno de Il segreto del teatro.

Tra prove esilaranti, goffi tentativi per cercare opportuni nascondigli senza farsi scoprire, problemi vari e ripensamenti, i protagonisti arriveranno a capire che siamo tutti diversamente abili e che ognuno di noi è una persona con bisogni speciali.

Il segreto del teatro è una commedia vitale ed energica; divertentissima, eppure invita alla riflessione; a tratti cinica, ma molto emozionante. Il testo è ottimamente scritto in un continuo cambio di prospettiva reso con grandissima padronanza e fluidità sul palco.

In una  girandola di emozioni e divertimento i personaggi sono attori e gli attori personaggi entrando e uscendo dai due ruoli con ritmo e naturalezza.

Lo spettacolo rappresenta con forza e incisività uno dei conflitti eterni: da una parte l’amore, dall’altra la famiglia. E’il conflitto che viene raccontato in Romeo e Giulietta, è il conflitto di sempre, che si proietta e si consuma nella vita di Toby, Vera e Zac con grandissima emozione. Il conflitto è il medesimo, ma il finale sarà diverso e ci insegnerà ad amare e a sacrificare i nostri interessi per amore degli altri.

La regia di Lorenzo Gioielli, coadiuvato dalla regia associata di Virginia Franchi, è lucida, snella, diretta: non indugia sulla disabilità alla ricerca di effetti, ma riesce a mettere in luce la ricchezza di questi ragazzi, con delicatezza, tenerezza e senza pietismi.

Il cast, infatti, è composto da attori e attrici normo dotati e diversamente abili che si amalgamano con grandissima empatia garantendo un bellissimo spettacolo divertente ed emozionante, dimostrando come “diversamente” sia un avverbio improprio quando si parla degli esseri umani. Come ha detto lo stesso regista, infatti, “siamo tutti diversamente abili e la normalità è soltanto una parola”.

Non importa chi sia cosa, chi sia il normodotato e chi il diversamente abile. Le differenze si annientano, i livelli si pareggiano: tutti sono normodotati e tutti sono speciali. Tutti sono attori. Soprattutto, tutti sono persone.

Cito velocemente i bravissimi componenti di questo cast.

Alberto Bognanni è un divertentissimo Toby, gangster dal cuore tenero; la grande Veruska Rossi sosterrà la sua Vera nel passaggio da donna d’affari cinica a madre e moglie; Alberto Fumagalli è un bellissimo Romeo moderno, giovane premuroso e sensibile, chi si innamorerà di Lia/Giulietta, una bravissima Alice Bertini. Gli scambi emotivi tra i due sono forti e realistici. Alberto riesce a rappresentare l’impotenza e il senso di colpa del suo personaggio, quel suo essere in bilico tra l’amore e la famiglia. Alice lo ricambia con la determinazione e il coraggio del proprio personaggio. Molto brava questa ragazza nel rappresentare con realismo una ragazza cieca. I due, insieme, creano una bella energia, che erompe delicata, tenera e romantica nella scena del balcone.

Lorenzo Caldarozzi è Eins, che nello spettacolo interpreta Romeo: un personaggio eccentrico e sopra le righe che diverte tantissimo grazie alla caratterizzazione di Caldarozzi. Emanuela Annini è Rainbow, una stupenda regista, caparbia e tenace; Ludovica Boccaccini è una divertentissima e dolcissima Kiev, che interpreta Mercuzio; Alessandro Tiberi è Dilan che nello spettacolo fa Tebaldo; Francesco Massaro è la guardia del corpo della famiglia di Zac, impacciato, un po’ sciocco e sensibile; Ajay Bisogni è Natan; Silvia Parasaliti Collazzo è una simpatica Darling, golosa di panini e che nello spettacolo interpreta la madre di Giulietta; Valeria Antonucci è Nina, una ragazza muta che parla col linguaggio dei segni.

Il segreto del teatro è un bello spettacolo, gradevole e onesto che mi ha colpito per la delicatezza e per la sinergia di questi bravissimi interpreti.

il segreto del teatro il segreto del teatro

Il segreto del teatro

di Gur Koren

traduzione Danilo Rana

con Alberto Bognanni, Veruska Rossi, Emanuela Annini, Valeria Antonucci, Alice Bertini, Ajay Bisogni, Ludovica Boccaccini, Lorenzo Caldarozzi, Alberto Fumagalli, Francesco Massaro, Silvia Parasaliti Collazzo, Alessandro Tiberi

in collaborazione con Accademia Arte nel Cuore

regia Lorenzo Gioielli

regia associata Virginia Franchi

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Recensioni, Teatro, Teatro

Matteo 19,14 di Lorenzo Gioielli

rossi

Matteo 19,14

Lasciate che i bambini vengano a me

Teatro Cometa Off, 12 aprile 2016

LocandinaMatteo

Un testo di circa vent’anni fa, portato in scena allora e poi un’altra volta nel 2006 e poi più niente, lasciato in un cassetto, come si suol dire.

Poi quella telefonata di Riccardo Scarafoni e Veruska Rossi, diciamolo subito, grandissimi interpreti, a Lorenzo Gioielli, attore, regista e scrittore di talento, alla ricerca di un testo.

Allora, quel testo, forte e crudo, torna dal passato con un’attualità sconcertante, aprendo ferite e offrendo un profondo spunto alla riflessione morale.

Matteo 19,14 non è solo un testo, splendido, che racconta una storia, quanto l’avvio di una seria e grave questione morale e, quindi, filosofica.  La questione etica, posta al centro del dibattito, incontro e scontro tra i due protagonisti, è una delle questioni fondamentali della filosofia morale non solo moderna: cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e se l’uomo sia da considerare come un mezzo o come un fine.

Il fascino e la grandezza di questo testo, tra le altre cose, è quella di porre una questione all’attenzione del pubblico senza dare risposte, ma fornendo elementi di argomentazione validi e veri per entrambi i punti di vista, drammatici e tragici perché reali, perché la realtà è spesso più drammatica della fantasia e quando una storia tocca e sconvolge la coscienza, la tragicità è assoluta, forte e pungente, perché vera.

Forte di un determinismo assoluto, per cui il mondo è dominato dal caos, inteso come forza primigenia generatrice aperto a tutte le possibilità, da cui deriva il cosiddetto “effetto farfalla”, per cui “il battito di ali di una farfalla può scatenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza”, più semplicemente legato ad un discorso di azione e reazione, Matteo19,14 sonda il terreno del libero arbitrio, scevro di ogni misticismo, e della consapevolezza delle proprie azioni, conseguenze comprese, sollevando la domanda indiretta se la questione morale afferisca solamente alla coscienza individuale o, piuttosto, essendo l’individuo parte fondante della società, non si riversi, amplificata, nel mondo sociale.

Due sconosciuti si incontrano per caso. Il destino li rende antagonisti in un crudele gioco alla sopravvivenza. Devono solo scegliere cosa sono disposti a fare pur di raggiungere ognuno il proprio obiettivo. Trattandosi di un gioco di intrecci che si sveleranno solo alla fine, non voglio svelarvi la trama.

Riccardo Scarafoni e Veruska Rossi mettono in scena tutto di se stessi: verità e finzione, umanità e rappresentazione, dolore e trasporto. Impossibile fingere: essi stessi sono presi dal senso profondo del dramma che mettono in atto.

Straordinari, drammaticamente ed emotivamente coinvolti, incarnano (leggete lentamente queste parole e scandite le lettere, sentitele entrare dentro di voi) la paura, il dubbio, la disperazione, ma anche le certezze con  le quali motiviamo le nostre scelte e dietro le quali ci nascondiamo. Uccidere per sopravvivere; scegliere chi abbia maggiore dignità di vivere.

Lo spettacolo fila veloce e ricco di tensione per poco meno di un’ora trascinando lo spettatore in un vortice di pensieri e lasciandolo a fare i conti con la propria coscienza.

Riccardo e Veruska vivono, interpretano, mutano; la storia sembra uscire da loro stessi e prendere piede e piega con le loro parole, nelle loro espressioni e nei loro gesti. Riccardo colpisce per una capacità di trasfigurare: il suo volto cambia espressione e intensità a seconda delle emozioni che incarna; la faccia passa dal rassicurante all’aggressivo, dal compassionevole al cinico in una maniera sconvolgente. Non solo il viso cambia incredibilmente, ma il cranio stesso sembra modificarsi per accompagnare la trasformazione del personaggio e l’esacerbarsi dei sentimenti. Veruska colpisce per l’identificazione col personaggio, per il realismo e per quella forza che solo le donne hanno. Sembra quasi che attinga ad un dolore privato e lo porti alla sublimazione rendendolo funzionale alla trama.

Un testo, quello di Lorenzo Gioielli, vincitore nel 2004 del Premio “Gran Giallo Città di Cattolica” per il miglior racconto inedito dell’anno, pubblicato per la Mondadori, che, drammaturgicamente, disegna un cerchio perfetto: crudo, asciutto, ci presenta un uomo e una donna di fronte a se stessi, alla propria coscienza e alle responsabilità nei confronti del prossimo.

La narrazione parte in una direzione rimanendo aperta tutto il tempo ad imprevedibili e drammatici svolgimenti, mantenendo, però, continuità ed aprendo un ventaglio di emozioni forti e dolorose.

Un testo essenziale: non ci sono espressioni ridondanti o figure retoriche complesse; è diretto, limpido; un esempio di oratoria.

L’allestimento è curato nei dettagli e fortemente simbolico. Tre videowall trasmettono immagini di paesi e città in rovina a causa della guerra, della povertà e della fame, scene di bambini traditi, foto di farfalle di varie specie a ricordare quel battito d’ali.

La scenografia è caratterizzata dall’uso intenzionale e studiato dei colori, così come ci ha abituato nel tempo Riccardo Scarafoni, qui anche regista. Predominano, in immagini, oggetti e dettagli speculari, il verde e il viola:  il colore della rabbia. Così come mi ha fatto notare lo stesso regista, se facciamo riferimento ai fumetti, possiamo notare come il verde e il viola siano i colori coi quali viene rappresentata la rabbia: Hulk è verde e viola, il primo Joker di Batman anche.

C’è da aggiungere che il viola è anche il colore dei paramenti sacerdotali durante la Quaresima ed evoca la passione di Cristo.

La regia è rigorosa, essenziale e puntuale; il ritmo serrato non cala mai; si viene trasportati nelle pieghe di un dramma che muta mano a mano che si svolge, sorretto dalle grandi capacità attoriali e camaleontiche dei due protagonisti i cui personaggi mutano atteggiamento nel corso della storia.

Matteo 19,14 è un giallo che pone una domanda ben precisa, aprendo le porte ad una profonda e inquietante riflessione: quale crimine siete disposti a compiere per salvare chi amate?

Un esempio di Teatro che può essere definito civile, ma anche sociale e morale; un Teatro di cui si sente la mancanza.

Matteo 19,14. Lasciate che i bambini vengano a me

di Lorenzo Gioielli

Regia Riccardo Scarafoni

Scene: Emanuela Cignitti

Luci: Giacomo Cursi

Scenotecnica: TNT Srl

Costumi: Lisa Sorone

Aiuto Regia: Leonarda Imbornone

Foto e Video: Patrizio Cocco

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