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Danza, Recensioni, Teatro, Teatro

Recensione di Non si uccidono così anche i cavalli?

giuseppe zeno

Una trascinante e disperata corsa per la celebrità 

Teatro Sala Umberto, 1 ottobre 2019

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Vivi lo spettacolo, canta lo spettacolo, paga lo spettacolo, guarda lo spettacolo con la dancing marathon!

Vincitore del Premio Camera di Commercio Riviere di Liguria al 52° Festival Teatrale di Borgio Verezzi torna a Roma, al Teatro Sala Umberto, Non si uccidono così anche i cavalli? lo spettacolo tratto dal romanzo di Horace McCoy del 1935 da cui nel 1969 fu prodotto l’omonimo film diretto da Sidney Pollack.

Lo scenario creato da McCoy potrebbe considerarsi antesignano dei reality dei nostri giorni. La storia, che si svolge nella California dei primi anni trenta, in piena Grande depressione, racconta di una folle maratona di ballo dove i partecipanti, spinti dal desiderio di riscatto da una misera vita e dalla brama di celebrità, ballano per giorni e notti senza interruzioni, diventando oggetto di scommesse da parte del pubblico, sotto gli occhi di curiosi, ma anche di registi e produttori, con la speranza di vincere il premio in denaro in palio o di essere scritturati.

Le regole sono rigidissime: le coppie in gara devono ballare ininterrottamente potendo usufruire solo di una pausa di dieci minuti ogni due ore, nei quali dover fare tutto: riposare, mangiare, bere…

A condurre lo sfiancante evento, un vero e proprio gioco al massacro, è Joe (Giuseppe Zeno), presentatore ammaliatore e cinico che tira i fili dei destini dei concorrenti, ma a sua volta è vittima del giro d’affari che alimenta lo spettacolo.

Le coppie in gara partecipano con la speranza di poter cambiare la propria vita, ma vengono fagocitati dalle spietate dinamiche dello spettacolo fino a restarne annientati. Tra di loro c’è Gloria (Silvia Salemi), unico altro personaggio “parlante” oltre a Joe, una donna sconfitta dalla vita che cerca disperatamente un riscatto che sembra essere senza speranza.

Tradotto da Giorgio Mariuzzo, adattato e diretto da Giancarlo Fares, Non si uccidono così anche i cavalli? è uno spettacolo emozionante che con toni drammatici e ironici mette in risalto i sacrifici che molte persone sono disposte a fare per rincorrere il successo e le tante esasperazioni in cui spesso si cade, mostrando un ampio spettro di tipi umani disperati e grotteschi.

Lo spettacolo trascina in una folle corsa per la celebrità, in una dancing marathon, una maratona della vita tanto coinvolgente da far mancare il fiato.

Lo spettatore impara a conoscere le coppie in gara attraverso le parole di Joe, ma, soprattutto, attraverso gli sguardi dei protagonisti, quegli occhi grandi e illuminati dalla speranza, aperti sulle possibilità, che mano a mano perdono luce, si riempiono di lacrime e rischiano di spegnersi, e i loro gesti, prima così ampi, precisi ed energici e poi sempre più infiacchiti e avviliti dalla stanchezza e dagli eventi che accadono intorno.

Non si uccidono così anche i cavalli? è uno spettacolo tutto concentrato sulla maratona danzante che questi splendidi attori portano in scena con energia, grinta, tenacia, forza, resistenza fisica e passione, riuscendo a raccontare la storia di ognuno solo attraverso gli sguardi, i gesti e i passi, rendendo con potente carica espressiva le passioni e i drammi che i personaggi vivono. Passo passo si conoscono i vari personaggi grazie all’empatia che i giovani attori e le giovani attrici riescono a suscitare nel pubblico, che finisce per parteggiare per l’uno e provare antipatia per l’altra.

Meriterebbero ognuno/a un encomio personale per la straordinaria capacità di coinvolgere e stravolgere senza dire una parola, ma solo con l’agilità e la bellezza dei movimenti e le doti espressive: Riccardo Averaimo, Alberta Cipriani, Vitoria Galli, Alessandro Greco, Salvatore Langella, Martin Loberto, Elisa Lombardi, Maria Lomurno, Francesco Mastroianni, Matteo Milani, Piefrancesco Scannavino, Lucina Scarpolini, Viviana Simone.

A dirigere questa matassa umana, questa bolgia di corpi e anime disperate, è Joe, interpretato dallo straordinario Giuseppe Zeno. Bravissimo, coinvolgente e pienamente in parte, restituisce un personaggio complesso: affabulatore e magnetico, dapprima si conquista il favore del pubblico e dei concorrenti come un bravo presentatore, per trasformarsi strada facendo in un feroce e cinico Caronte che trascina questi ultimi sull’orlo dello sfinimento fisico e psichico per poi abbandonare le loro anime a vagare tra le nebbie del fiume.

Suo contraltare è Gloria interpretata dalla bravissima cantante Silvia Salemi che per la sua prima prova attoriale si cimenta con un ruolo molto difficile in cui è chiamata a recitare e ballare. Il suo personaggio, che dovrebbe fare appunto da contraltare a quello di Giuseppe Zeno, non restituisce la medesima potenza espressiva, rimanendo un poco sullo sfondo. Nonostante l’intensità dei due brani cantati, il ruolo è complesso e destinato ad un’attrice di esperienza. Per quanto la sua interpretazione sia stata gradevole e personale, l’impressione è che Silvia resti un po’ troppo inserita nel gruppo quasi a cercarne la protezione, mentre il personaggio di Gloria deve staccarsi da tutti gli altri e risaltare per la storia che racconta. Indubbiamente il tempo e l’esperienza l’aiuteranno a raggiungere la maturità che il personaggio richiede.

Su tutto regna la regia lucida e attenta di Giancarlo Fares che riesce a mettere in risalto l’emotività e l’intimità dei personaggi.

Altra protagonista dello spettacolo è la musica eseguita dal vivo dai cinque bravissimi elementi della band Piji Electroswing Project: Piji (voce e chitarra) Egidio Marchitelli (elettronica, chitarra e cori) Dario Troisi (pianoforte) Saverio Capo (basso e cori) Andy Bartolucci (batteria). Musiche in stile swing, elettro-swing e jazz manouche composte appositamente per lo spettacolo da Piji, e bellissimi e famosi brani rielaborati in un processo di metamorfosi molto efficace.

Elemento fondamentale dello spettacolo sono le bellissime coreografie di Manuel Micheli, ogni volta diverse per ognuna delle sette coppie in scena ed eseguite contemporaneamente. Da segnalare poi i bellissimi costumi di Francesca Grossi.

Brani in ordine di esecuzione

Primo atto

Dancing Babylon (Piji)

Maniac

Balla Ballerino

Ne Resterà (Piji)

La Quadrille

Voglio vederti Danzare

Disco Labirinto

Secondo atto

Lurido tango (Piji)

I don’t feel like dancin’

Dancing in the dark

Al ballo mascherato

Crying at the discoteque

Dance me to the end of love

I sogni di Gloria (Piji)

Non si uccidono così anche i cavalli? (Piji)

Ballo Ballo

CAVALLI ZENO E PIJI A75-310 ok

Non si uccidono così anche i cavalli?

Traduzione Giorgio Mariuzzo

Adattamento Giancarlo Fares

Tratto dall’omonimo romanzo di Horace McCoy

Regia Giancarlo Fares

Con Giuseppe Zeno, Silvia Salemi, Riccardo Averaimo, Alberta Cipriani, Vittoria Galli, Alessandro Greco, Salvatore Langella, Martin Loberto, Elisa Lombardi, Maria Lomurno, Francesco Mastroianni, Matteo Milani, Piefrancesco Scannavino, Lucina Scarpolini, Viviana Simone

Coreografie Manuel Micheli

Con la partecipazione live del Piji Electroswing Project

Canzoni originali Piji

Band: Piji (voce e chitarra) Egidio Marchitelli (elettronica, chitarra e cori) Dario Troisi (pianoforte) Saverio Capo (basso e cori) Andy Bartolucci (batteria).

Scene Fabiana Di Marco

Costumi Francesca Grossi

Disegno luci Anna Maria Baldini

Assistente alla regia Claudia Fontanari

Alessandro Longobardi per Oti – Officine del Teatro Italiano

Foto di Massimiliano Fusco

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Il Candidato – Le idi di marzo

il candidato

Teatro Hamlet

24 marzo 2017. Prima

Il Candidato – Le idi di marzo è il riadattamento dell’opera teatrale Le idi di Marzo – Farragut North di Beau Willimon e racconta dei giochi di potere e dei repentini cambi scena che avvengono nelle campagne elettorali americane.

Stephen Bellamy è un giovane addetto stampa, il migliore del Paese, che lavora per la campagna presidenziale del governatore Morris. In un momento cruciale della campagna, in cui è ora di verificare l’appoggio del popolo e dei pezzi grossi negli Stati principali, Stephen viene agganciato da Tom Duffy, responsabile della campagna elettorale dell’avversario che gli propone un accordo che potrebbe essere molto vantaggioso o rivelarsi un pericoloso tranello.

Stephen lotterà con se stesso, in bilico tra la fedeltà al suo amico e capo Paul Zara, responsabile della campagna e l’allettante proposta di far parte della squadra vincente.

Una notizia che lo riguarda, arrivata nelle mani dell’avida giornalista Ida Horowicz, potrebbe mettere in pericolo la sua posizione e c’è qualcuno pronto ad approfittare di questa crisi per scansare Stephen dal suo ruolo e prenderne posto. Si tratta di Ben Foss, un giovane scaltro e arrivista che lavora nell’ufficio stampa di Stephen.

Lo spettacolo ruota intorno alle dinamiche ciniche, fredde e calcolatrici di una campagna elettorale americana. Ogni personaggio è una pedina in gioco, ognuno è fagocitato da un sistema che non lascia tempo al ripensamento o al rimorso.

Anche la scelta scenografica di utilizzare sei pannelli movibili su ruote, con rappresentate da una parte delle figure su carte da gioco, rappresenta questo essere tasselli di un meccanismo che si autoalimenta distruggendosi piano piano.

Gli attori in scena sono bravi a rappresentare questo gioco politico e psicologico in cui ambizione, arrivismo, corruzione, doppio gioco e inganno muovono le fila della storia e alla fine ognuno si ritrova a fare i conti con il proprio fallimento.

La storia personale di Stephen e il suo relazionarsi con la giovane stagista Molly Pearsons, anche lei alla fine una pedina del gioco, danno quel risvolto umano necessario alla storia.

Il Candidato racconta una storia americana e lo fa all’americana, con i toni forti e accesi di una enorme campagna elettorale giocata più sui comunicati stampa creati ad hoc per screditare la concorrenza che sulla presentazione di un programma politico. Una storia che nei toni e nelle modalità probabilmente non ci appartiene molto perché non siamo abituati a queste campagne elettorali enormi e sensazionali.

La recitazione è molto enfatizzata proprio per rendere il clamore delle notizie e degli scandali, reali o inventati, che si susseguono nell’avvicendarsi della storia, ma nelle reazioni ed emozioni restituisce qualcosa di abbastanza forte e intimo.

La prova attoriale è di buon livello, gli scambi sono efficaci e gli scontri credibili. Mauro De Maio si cala bene nel personaggio dell’ambizioso e presuntuoso Stephen e riesce a tirarne fuori anche la drammaticità; Riccardo Averaimo è credibile nei panni di Paul Zara, amico e capo di Stephen, uomo cinico e pragmatico; Giacomo De Rose restituisce con atteggiamenti e toni un personaggio viscido e calcolatore, il Tom Duffy che cercherà di portare via Sthepen a Paul; Pierfrancesco Perrucci è Ben, il giovane addetto stampa, e si insinua sottilmente nella storia per emergere nel finale; Roberta Rigano crea un’efficace interazione con De Maio/Stephen colorando le pieghe della sua Molly, restituendo forza e debolezza di una ragazza ancora non pronta alla dura vita politica; Rossella Ambrosini è la cinica giornalista Ida, però poco incisiva.

Il testo è molto asciutto e restituisce nei dialoghi la velocità e l’immediatezza di ciò che accade in scena e dei meccanismi che si agitano nella storia e anche la regia di Simone Villani è indirizzata verso un taglio “freddo” e selettivo.

Nel complesso Il Candidato è uno spettacolo che arriva. Ci sono sicuramente alcune cose da sistemare come alcuni movimenti. Ci sono, infatti, delle belle idee relative ai movimenti di scena, ma credo si possano approfondire per renderli omogenei al resto. Sono sempre dell’idea che se si vuole usare un oggetto di scena o una soluzione visiva, queste vadano sfruttate fino in fondo.

Anche il finale, bello e ad effetto, arriva forse troppo in fretta: è un finale in un certo senso inaspettato e basterebbe un elemento, anche solo visivo, che ne desse un accenno che possa poi essere richiamato.

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Il Candidato – Le idi di marzo

adattamento de Le idi di marzo di Beau Willimon

regia Simone Villani

aiuto regia Ambra Lucchetti

con Mauro De Maio, Riccardo Averaimo, Roberta Rigano, Pierfrancesco Perrucci, Giacomo De Rose, Rossella Ambrosini

scenografia Vittoria Giampaolini

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RomeoeGiulio. AbaricoTeatro, 29 gennaio 2016. Prima.

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Bologninicosta porta in scena RomeoeGiulio, uno spettacolo emozionante che è un manifesto di impegno civile e sociale.

Il titolo fa subito pensare alla tragedia di Shakespeare, ma si tratta di un pretesto narrativo e concettuale, un riferimento e un’attualizzazione dei temi sottesi all’opera de Il Bardo: l’amore contrastato, lo scontro con una realtà ostile, la mancanza di comunicazione all’interno della famiglia, il percorso di conoscenza di se stessi e il riconoscimento della propria identità sessuale, il giudizio degli altri e la mancanza di accettazione da parte degli altri.

In un allestimento originale vengono affrontati con lucida asprezza i temi dell’amore, dell’integrazione, il razzismo e l’omofobia.

RomeoeGiulio non è soltanto uno studio sull’omofobia, ma prima di tutto un testo sulla questione di genere in quanto tale. Uno spettacolo quanto mai attuale in un periodo storico come quello presente dove ancora è necessario lottare per vedere riconosciuti i propri naturali diritti civili; non mancano, quindi, riferimenti all’attualità politica e sociale.

RomeoeGiulio sono solo due giovani uomini che si amano; non vogliono niente, non chiedono niente se non essere riconosciuti nel proprio amore, essere considerati quello che sono, esseri umani che si amano. Romeo e Giulio vogliono solo essere se stessi e amarsi liberamente.

Invece intorno ci sono solo ostacoli: la famiglia che non vuole vedere, una madre possessiva concentrata su se stessa, politici che si spendono in discorsi retorici contro l’amore omosessuale, preti inquisitori. Alla fine, sopraffatti dagli sguardi indagatori, dalle condanne sociali, abbandonati dalle famiglie, sono costretti a piegarsi, a soccombere, a morire nella solitudine di un freddo abbraccio.

Lo spettacolo è diviso in scene, in quadri che offrono punti di vista diversi, dando voce a carnefici di vario tipo. In tutto dodici quadri (come le stazioni della Via Crucis): Ninna Nanna, ovvero La Pietà; Dark Room ovvero Il ballo; The kiss ovvero Il balcone; Outing ovvero La confessione; Gender ovvero Lezioni di sessualità; Madonna Montecchi ovvero Madre di Romeo; Amore contrastato ovvero La colonizzazione ideologica; Fiati ovvero La prima notte; Gulag e tacchi a spillo ovvero L’aggressione di Genova; Monseur Capuleti ovvero Padre di Giulio; Temporali ovvero La morte; Ritorno primordiale ovvero Il matrimonio.

RomeoeGiulio è uno spettacolo molto fisico, che richiede un grande sforzo muscolare; i corpi si inseguono, respingono, si intrecciano con velocità e ritmo, rimanendo sempre in tensione. Sono più i gesti che vengono trattenuti che quelli che esplodono in un’azione finale e questo crea attesa e, appunto, tensione nello spettatore.

Ciò che deve essere buttato in faccia è buttato in faccia, ma non c’è esagerazione; nulla è fine a se stesso o ha il solo scopo di stupire; ogni azione, ogni parola ha un significato preciso. Non c’è esasperazione come scelta stilistica; ciò che appare esasperato lo è perché è la realtà che viviamo ad essere esasperante.

La drammaturgia è bellissima, inserendo un insieme di elementi combinati perfettamente: si nota subito che dietro ci sono studio e preparazione. Sofia Bolognini, autrice e regista, dimostra di avere una grande preparazione, di aver visto e letto molto, ma anche di aver interiorizzato ed elaborato. Sofia riesce a far proprio il  bagaglio culturale ed esperienziale e a tramutarlo filtrandolo attraverso la propria personalità e sensibilità.

Al suo fianco il compagno Dario Costa, autore delle musiche e dei suoni che ha composto una drammaturgia sonora che si affianca perfettamente al testo dando spunto e spinta alle azioni, alle parole e alle emozioni e scandendo i passaggi trai vari quadri. Una colonna sonora cucita sugli attori.

“RomeoeGiulio è uno studio sul corpo violentato e violento degli attori in scena. È uno studio sulla fatica, sulla verità che racconta un corpo portato all’estremo”.

Si può ritrovare in questo modo di fare teatro qualcosa di già visto, terreni già esplorati: mi viene in mente la drammaturgia di Ricci/Forte. Però, l’opera di bologninicosta non è assolutamente un proporre qualcosa di già fatto: c’è studio, lavoro, elaborazione, costruzione e decostruzione.

D’altronde in ogni disciplina c’è qualcuno che ha lasciato una traccia importante e indelebile: la bravura e la differenza sta nel, se mai fosse, prendere spunto, ma poi introiettare, personalizzare ed elaborare.

RomeoeGiulio è in maniera evidente un lavoro di gruppo: è palpabile l’energia sul palco degli attori, la loro unione e sinergia. Il metodo seguito da bologninicosta, infatti, prevede una collaborazione continua tra autore, regista, attore e compositore musicale: l’attore non deve solo eseguire, ma essere parte del processo creativo. Un collettivo teatrale in un processo di sperimentazione continua e creatività autogestita.

Fondamentale è il ruolo del Coro, protagonista coi protagonisti: donne vestite da uomini e uomini vestiti da donne che rappresentano la società, con le sue paure, i suoi fantasmi, i bisogni e desideri.

Non si può prescindere dal coro in questo spettacolo: è un corpo unico che disegna lo spazio, definisce le azioni, primariamente con il grande uso di una forte fisicità, in secondo luogo con la voce e il canto per dare enfasi alle emozioni.

Riccardo Averaimo, Aurora di Gioia, Gabriele Olivi e Nicole Petruzza compongono il Coro donandosi completamente all’opera senza risparmiarsi: corpo, muscoli, spasmi, voce e cuore, mettono tutto in questa rappresentazione e si vede e arriva.

Mauro de Maio è un formidabile Romeo: così preso e presente, ogni movimento ed espressione arrivano diretti e pungenti. Dimostra di aver fatto un grande lavoro sulla espressività del corpo e del viso.

Andrea Zatti è un dolcissimo e sperduto Giulio, innamorato di Romeo; apparentemente un po’ più acerbo come attore, Andrea sostiene con trasporto il suo difficile ruolo.

Gianluca Paolisso è Madonna Montecchi, Madre di Romeo; una grande interpretazione per una figura che viene portata all’estremo non diventando mai ridicola. Eccentricamente truccata e addobbata, questa figura rispecchia l’amore che soffoca, l’amore che comanda, l’amore ripiegato su se stesso e, anche, lo sguardo degli altri, il giudizio esterno, l’opinione pubblica. Un plauso a Gianluca che raggiunge il suo apice nel momento drammatico.

Sofia Bolognini, autrice e regista, fa anche la sua apparizione in scena nelle vesti di Padre Capuleti, padre di Giulio, in un monologo duro e crudele, in una delle scene forse più forti.

RomeoeGiulio è uno spettacolo, ma anche un manifesto di impegno civile, sociale e politico. E’ testimonianza di un progetto, frutto di di un enorme lavoro di grande impegno e forti aspirazioni. Uno spettacolo che merita di girare ed essere visto.

RomeoeGiulio

Testo: Sofia Bolognini

Romeo: Mauro de Maio

Giulio: Andrea Zatti

Madonna Montecchi (Madre di Romeo): Gianluca Paolisso

Monseur Capuleti (Padre di Giulio): Sofia Bolognini

Coro: Riccardo Averaimo, Aurora di Gioia, Gabriele Olivi, Nicole Petruzza

Drammaturgia: Sofia Bolognini

Composer and live sound manager: Dario Costa

Regia: Sofia Bolognini

Assistente alla regia: Dario Costa

bologninicosta è una produzione che si occupa di arti perfomative. È un progetto di ricerca sociale e artistica.

Sociale perché si interessa di questioni civili utilizzando gli strumenti offerti dalla sociologia: indagine sul campo, raccolta dati, interviste. È uno studio attivo sul territorio, che attraverso l’esperienza diretta con le realtà suburbane amplifica e trasmette la voce delle minoranze.

Artistica perché, attraverso l’attivismo creativo, va alla ricerca di nuovi linguaggi. Spettacoli teatrali, live performances, istallazioni audiovisive: bologninicosta è un tentativo di contaminazione e sfondamento tra pratiche diverse di comunicazione col pubblico, passando dalla teatro-danza alla sperimentazione sonora con l’utilizzo di sintetizzatori e drum-machines.

bologninicosta è un processo, un’officina creativa in cui vocazione civile e onestà artistica vanno di pari passo, nel tentativo sempre aperto di ridisegnare un’ipotesi di spettacolarità più autentica e meno grossolana, una forma di fruizione più consapevole e precisa, veramente umana.

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