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Musical, Recensioni, Teatro, Teatro

Jesus Christ Superstar 2017

jesus christ superstar

 Teatro Sistina

12 aprile 2017. Prima

Intramontabile, inarrestabile, immarcescibile!

Jesus Christ Superstar torna a Roma, al Teatro Sistina, e continua a travolgere con la sua potenza!

Lo spettacolo  di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice, nell’adattamento e con la regia di Massimo Romeo Piparo, nell’imponente allestimento prodotto dalla PeepArrow Entertainment,  si conferma l’opera rock più irresistibile di sempre, non patendo affatto il passare del tempo, ma, anzi, rinnovando ad ogni rappresentazione la propria meritatissima fama e coinvolgendo ed entusiasmando il pubblico di ogni età.

Il musical, forte di un lungo tour europeo dal 2014 al 2016, che lo ha visto protagonista assoluto in Olanda, dove si è aggiudicato il titolo di migliore produzione internazionale, torna a Roma ancora più potente e carico di energia.

Eseguito in lingua originale, interamente dal vivo e con la grande e strepitosa Orchestra diretta dal M° Emanuele Friello, Jesus Christ Superstar torna a conquistare, coinvolgere ed emozionare il pubblico.

Lo spettacolo si ispira alle vicende dell’ultima settimana della vita di Gesù (ingresso a Gerusalemme, il tradimento di Giuda, il processo, la condanna a morte e la crocifissione) dalla prospettiva di Giuda e dando risalto al conflitto umano tra lui e Gesù.

Nei panni di Gesù sempre il mitico e inarrestabile Ted Neeley, che già nello storico film di Norman Jewison del 1973 diede una impronta indelebile al ruolo di Gesù: Ted ha un carisma tutto suo, emana una luce così avvolgente e la sua voce è sempre così potente e suadente.

Sul palco con lui otto meravigliosi solisti e uno straordinario ensemble di 19 elementi tra ballerini, acrobati, trampolieri e mangiafuoco.

Un cast eccellente composto da professionisti di enorme talento che catturano l’attenzione del pubblico conquistandone il gradimento grazie alle loro caratteristiche specifiche e peculiari inserite in una miscela perfetta.

Feysal Bonciani è un tormentato Giuda in un’interpretazione vocale ed espressiva di grande impatto; Paride Acacia e Francesco Mastroianni sono un coppia perfettamente affiatata nei panni rispettivamente di Hannas e Caifa, grazie anche alle loro splendide vocalità così diverse eppure così ben amalgamate; Simona Di Stefano è Maddalena, in una bella interpretazione che esalta il sentimento di pietà nei confronti di Gesù; Emiliano Geppetti è un Pilato fortemente combattuto che riesce a trasmettere tutta l’emotività del suo personaggio; Elia Lo Tauro è uno strepitoso Simone e il suo assolo è eccezionale; Mattia Braghero è un Pietro carico di tormento interiore; Salvador Axel Torrisi è un Erode a dir poco eccentrico, ma strabiliante. Per lui una considerazione in più: presente per tutto lo spettacolo con l’ensemble, ballando e cantando, esplode poi nel suo personaggio così pittoresco ed esuberante senza risparmiarsi.

La scena di Erode è completamente cambiata rispetto alle edizioni del 2014 e 2015 e devo dire che è stata una scelta eccellente e davvero azzeccata. Qualcosa  che stacca da tutto il resto senza risultare inadeguato, anzi restituendo con vividezza l’abisso che separa non solo due uomini e due re, ma due mondi.

Al fianco di questi grandi protagonisti, un ensemble che con una grande carica fisica, emotiva ed espressiva esegue le bellissime e trascinanti coreografie di Roberto Croce.

A tal proposito ho apprezzato in particolare le scene di Gesù nel tempio , con acrobati, mangiafuoco e giocolieri, e quella in cui Gesù è in mezzo ai lebbrosi, ai miseri del mondo e ai disgraziati, una scena di grande impatto emotivo.

Imponente e spettacolare l’allestimento, a partire dalla strepitosa orchestra che è parte stessa della scena: presente sul palco parte su di una pedana girevole che è essa stessa scenografia e  parte arroccata su impalcature di tubi, travolge con la bellezza della musica rock.

Le bellissime scenografie di Giancarlo Muselli elaborate da Teresa Caruso ricreano gli spazi in cui la storia si svolge in maniera compatta, ma molto funzionale: colonne, scale, impalcature, pedane a scomparsa e la pedana girevole vengono sfruttate al massimo per dare l’idea del movimento e dello spazio percorso, con l’ausilio di efficaci video proiezioni. Poi, quella passerella che si stacca dal palco avanzando sulla prima fila della platea e da cui Ted Neeley dà tutto se stesso e la sua carica emozionale e interpretativa nell’assolo.

I costumi sono di Cecilia Betona e sono davvero belli: colpiscono soprattutto quelli  di Hannas e Caifa, quelli di Erode e dell’ensemble nella scena del confronto tra il re e Gesù.

Jesus Christ Superstar è uno spettacolo a dir poco straordinario. Pensavo di aver già visto nel 2014 e nel 2015 una versione al massimo delle sue potenzialità, invece mi ha entusiasmato vedere come sia ulteriormente cresciuto e come arrivi ancora sempre così diretto, forte e compatto.

Poi, ammirare Ted Neeley ancora sul palco a 73 anni offrire una performance eccezionale è qualcosa di unico ed emozionante.

 

Peep Arrow Entertainment
presenta

Ted Neeley in
Jesus Christ Superstar

di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice
adattamento e regia  di Massimo Romeo Piparo

con orchestra dal vivo

con Feysal Bonciani, Paride Acacia, Simona Di Stefano, Emiliano Geppetti, Elia Lo Tauro, Francesco Mastroianni, Salvador Axel Torrisi, Mattia Braghero.

 

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La Classe di Vincenzo Manna

la classe

Teatro Marconi

18 marzo 2017. Prima

La Classe, scritto da Vincenzo Manna e diretto da Giuseppe Marini, è un bellissimo e intenso spettacolo di teatro civile e impegnato che rappresenta il risultato di un progetto nato dalla sinergia di soggetti operanti nei settori della ricerca (Tecné), della formazione (Phidia), della psichiatria sociale (SIRP) e della produzione di spettacoli dal vivo (Società per Attori).

Nasce, infatti, da un progetto che ha preso l’avvio da una ricerca condotta da Tecné, basata su circa 2.000 interviste a giovani tra i 16 e i 19 anni, sulla loro relazione con gli altri, intesi come diversi, altro da sé, e sul loro rapporto con il tempo, inteso come capacità di legare il presente con un passato anche remoto e con un futuro non prossimo. Gli argomenti trattati nel corso delle interviste hanno rappresentato un importante contributo alla drammaturgia del testo di Vincenzo Manna.

La storia si svolge ai nostri giorni in una cittadina europea in grave crisi economica e in cui criminalità e conflitti sociali sono all’ordine del giorno in un clima di progressivo decadimento sociale, morale e culturale.

A rendere il clima ancora più drammaticamente esacerbato è la presenza, appena fuori della città, del cosiddetto Zoo, uno dei campi profughi più vasti del continente, la cui presenza provoca ulteriori conflitti all’interno e all’esterno del nucleo cittadino.

A dividere quelli che sono i resti di una società civile in disfacimento dallo Zoo è un muro, eretto col preciso scopo di rifiutare l’integrazione e di non vedere cosa accade dall’altra parte.

Vicino al muro dello Zoo, in uno dei quartieri più popolari della periferia cittadina, c’è una scuola superiore che, attraverso i propri corsi professionali, dovrebbe avviare i giovani al lavoro. In quella scuola c’è una classe composta da sei giovani difficili, sospesi per motivi disciplinari e che devono recuperare crediti frequentando un corso istruito apposta per loro. A tenere questo corso sarà Albert (Andrea Paolotti), straniero di terza generazione di 35 anni, laureato in Storia e assunto come Professore Potenziato. Da subito il Preside (Tito Vittori) dell’Istituto Comprensivo metterà in chiaro con Albert che il corso non ha nessuna rilevanza didattica, ma serve solo a far recuperare crediti agli studenti che, nell’interesse della scuola, devono adempiere all’obbligo scolastico e diplomarsi il prima possibile.

I sei giovani sono ragazzi problematici, arrabbiati, che covano dentro un rancore e una diffidenza estremi che li portano a scontrarsi l’uno con l’altro e col mondo esterno.

Tuttavia Albert riuscirà a vedere nella loro rabbia una possibilità di espressione. Dopo i primi inevitabili e violenti contrasti, Albert riuscirà ad attirare la loro attenzione e a conquistarne la fiducia attraverso la presentazione di un bando europeo per le scuole superiori che ha per tema “I giovani e gli adolescenti vittime dell’Olocausto”.

I ragazzi, turbati dalla ferocia e disumanità di quelle testimonianze, si impegneranno a ricostruire una storia e degli eventi che non potranno lasciarli indifferenti. Allo stesso tempo, però, la cittadina verrà scossa da atti di violenza e disordine sociale, causati dalla presenza dello Zoo. Le reazioni dei ragazzi saranno diverse e, a volte, drammaticamente imprevedibili e porteranno a conseguenze inaspettate.

Sul palco, grazie alle scene di Alessandro Chiti, viene ricreata un’aula di scuola interamente arredata con banchi, sedie, cattedra, lavagna, appendiabiti e un televisore, ma completamente deteriorata e trascurata, con il pavimento riempito da cartacce lasciate lì a macerare nel tempo che trascorre, per i ragazzi, stanco e piatto.

Scuola, strutture, studenti e corpo docente sono specchio della crisi economica e sociale della cittadina.

I ragazzi sono mondi isolati e solitari, pianeti facenti parte della stessa galassia, ma che ruotano su se stessi senza avere forza attrattiva sugli altri. Ragazzi arrabbiati e delusi che vorrebbero solo una possibilità, ma che non sanno chiederla né coglierla, congelati ormai una immobilità che è diventata routine.

Sei giovani diversi per provenienza e temperamento: Maisa (Cecila D’Amico) è una ragazza musulmana timida e spaventata che ha paura di tutto e tutti; Vasile (Edoardo Frullini) è uno zingaro che col suo atteggiamento è causa dei suoi stessi mali; Talib (Haroun Fall) è un ragazzo di colore che sta con tutti, ma in fondo non ha nessuno; Nicolas (Carmine Fabbricatore) è quello più arrabbiato di tutti, prepotente e violento; Arianna (Valentina Carli) è una ragazza che guarda sempre ciò che non va e non riesce a reagire alla vita; Petra (Giulia Paoletti) è una ragazza ebrea sensibile ed educata, che ride sempre, ma in realtà si sente fuori posto in quel contesto.

Gli elementi di questo microcosmo, vari per etnia, religione e colore oltre che per il carattere, si troveranno concentrati in una ricerca storica che ha per oggetto altri individui come loro, come loro diversi, come loro distanti eppure così vicini.

Allo stesso tempo vivranno tutte le sollecitazioni forti, complesse e drammatiche che arrivano dalla vicinanza dello Zoo, in cui i rifugiati non sono altro che altri uomini, di altre etnie, che, come loro, chiedono un’opportunità.

La storia si svolge sull’intreccio di questi tre importanti livelli che vengono portati avanti con grande potenza narrativa e vivezza espressiva, anche in un linguaggio forte che qui è perfettamente funzionale: parole forti usate, ma mai abusate.

Da una parte c’è la cosiddetta società civile, in profonda crisi, in cui esseri umani diversi devono fare i conti con i propri enormi problemi sociali, politici ed economici; dall’altra c’è lo Zoo, un’ulteriore realtà isolata dalla città da un muro, in cui sono costretti i rifugiati, altri stranieri.

Tra le due realtà, c’è il progetto di studio che i ragazzi compiono su un terzo mondo che non è solo ideale, ma che li metterà di fronte a se stessi, al loro modo di vedere il mondo e, soprattutto, al loro modo di volere il mondo.

La Classe è una storia di solitudini, di diritti negati, di convivenze pensate impossibili, che si stacca dalla teoria del progetto di studio, che supera il muro che divide noi e loro e che arriva dritta fino a noi senza filtri, con una potenza drammaturgia ed espressiva fortissima e coinvolgente.

In questa storia, non c’è solo la rivolta, la ribellione, la contestazione, ma c’è la presa di coscienza, il desiderio di conoscere la storia degli altri, c’è un percorso di auto conoscenza e auto determinazione nella progettualità, alla ricerca di un qualcosa in cui mettere se stessi per darsi una possibilità.

E’ un’analisi lucida, accurata della nostra realtà, crudele perché la realtà lo è molto spesso.

Al centro di tutto l’impianto drammaturgico è la scelta: “tutto quello che siete adesso lo sarete per tutta la vita”, dice ad un certo punto il professor Albert. Si deve scegliere chi si vuole essere e darsi da fare per arrivare il più vicino possibile all’idea che vorremmo di noi.

Alla fine gli uomini rappresentati in questa storia sono solo esseri umani che vogliono riappropriarsi della propria dignità e vogliono avere ancora una possibilità. Uccelli a cui sono state tarpate le ali.

Il testo di Vincenzo Manna è potente, richiama immagini e scatena emozioni e reazioni.

La regia di Giuseppe Marini va di pari passo col testo ed è lucida, tagliente, lasciando fuori fronzoli o effetti per dare spazio, voce e luce solo alle storie e all’interpretazione di un cast strepitoso.

Un cast fortissimo composto in prevalenza da giovani che sanno muoversi su quel palco con ferocia e aggressività, ma anche con intensità ed espressività comunicando ognuno il mondo interiore del proprio personaggio. Ognuno di loro ha spazio per muoversi nel proprio personaggio colorandolo in ogni forte accento e ad ognuno è affidato un monologo in cui la tensione esplode e la vis interpretativa può raggiungere l’apice.

Cecilia D’Amico, Carmine Fabbricatore, Edoardo Frullini, Valentina Carli, Giulia Paoletti, Haroun Fall sono eccezionali e colpiscono a viso aperto lo spettatore.

Andrea Paolotti, grandissimo interprete, riesce a far arrivare tutte le emozioni del proprio personaggio: rabbia, frustrazione, impegno e desiderio di dare una possibilità a quei ragazzi. Il suo non è un personaggio staccato, al di sopra del gruppo, ma è parte di questo gruppo e questo si avverte sia nella storia che nell’approccio alla recitazione. Paolotti interagisce in maniera eccellente con questi giovani attori gestendo con capacità lo spazio scenico e regalando momenti di grandissima intensità. Ho concentrato più volte il mio sguardo nei suoi occhi e ho visto e vissuto l’anima del suo personaggio.

Tito Vittori, nelle vesti del Preside, è abile nel disegnare un personaggio cinico e disinteressato al bene comune, una sorta di politico corrotto di una piccola comunità.

Da segnalare, poi, la partecipazione della straordinaria Ludovica Modugno nei panni della Rifugiata e protagonista di un intenso e difficile monologo che è una cruda testimonianza di un’esistenza annientata dall’orrore che solo l’uomo può generare.

la classe la classe

Società per Attori

presenta

La Classe

di Vincenzo Manna

regia Giuseppe Marini

con Andrea Paolotti, Cecilia D’Amico, Tito Vittori, Carmine Fabbricatore, Edorardo Frullini, Valentina Carli, Giulia Paoletti, Haroun Fall

e con la partecipazione straordinaria di Ludovica Modugno

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Torre Elettra di Giancarlo Nicoletti

torre elettra

Teatro Brancaccino

26 gennaio 2017

Periferia di Roma. Torre Elettra è il baluardo del Fronte della gente comune, è il forte, il centro logistico e operativo di una lunga guerra civile tra la cittadinanza e il governo, guerra che ha portato all’estinzione del controllo di uno Stato corrotto.

A Torre Elettra non c’è più un sistema legale che garantisca la libertà dei cittadini, la tanto sfruttata e infamata democrazia. Torre Elettra è ormai il territorio di chi si fa giustizia da sé. Anche le attività di contrabbando, un tempo ritenute illegali, ora sono solo attività pari alle altre, semplice commercio.

Per anni a Torre Elettra è imperversata una guerra civile che ha fatto molti morti. Tra questi anche Fulvio, marito di Velia, con la quale ha avuto tre figli: Virginia, morta  a sedici anni, in uno scontro in cui aveva voluto seguire il padre; Alma che vive con la madre e Flavio, trasferitosi per studio in Germania, dove ha vissuto per sei anni impossibilitato a tornare a causa della chiusura delle frontiere.

A seguito di un armistizio tra Stato e popolo insorto, in un momento di debole distensione, le frontiere vengono riaperte e Flavio può tornare a casa, dove lo ha preceduto di una settimane il carissimo amico Valerio, giornalista, col quale vive le sue giornate in Germania.

A casa lo aspettano con ansia la madre e la sorella, due donne che convivono in continuo conflitto a seguito di enormi rancori che affondano le radici nel passato oscuro e drammatico della famiglia.

Appena arrivato a casa, Alma cercherà di coinvolgere Flavio in una vendetta di famiglia. A questo punto si tratterà di capire dove sta la verità e di decidere se accettarla, andando avanti per la propria strada, oppure vendicare i torti, le bugie e le cattive azioni di chi dovrebbe amarti e difenderti.

Nel frattempo la situazione a Torre Elettra è sempre più tesa, a seguito di alcuni scontri dimostrativi, pilotati dal comitato del Fronte della gente comune per manipolare l’opinione pubblica. A capo del Fronte c’è Sergio, da anni compagno di Velia, sobillatore, calcolatore e cinico: alla fine un politico come quelli che c’erano prima, ma privo di un consenso legale e istituzionale.

Con il ritorno casa  di Flavio, Alma si metterà in moto per eseguire una vendetta covata da tanto tempo e condivisa con Olimpia, la sua ragazza, unica persona a lei vicina.

I ragazzi si troveranno così a confrontarsi e scontrarsi sul desiderio di vendetta, tra impeti istintivi e bestiali e valutazioni etiche.

Quello che succederà metterà in gioco considerazioni sulla libertà di scelta, sul valore attivo dell’omissione, sulla liceità del farsi giustizia da soli, ribaltando le dinamiche relazionali. Saranno scelte difficili, pesanti e molto pericolose, in un dramma in cui nessuno, forse, uscirà vincitore e in cui non morire non significa necessariamente vivere.

Come sempre Giancarlo Nicoletti pone una serie lunga e drammatica di riflessioni intense su temi forti e importanti: legalità e senso civico; liceità di una giustizia autodeterminata; l’avvelenamento dei rapporti familiari;  il sapore e il senso della vendetta; il modo, personale per ognuno, di salvare se stesso da un’eredità pesante e da una vita fatta di odio, rancore e, magari, senso di colpa.

Il tutto è raccontato col suo consueto stile attento e una drammaturgia strutturata su schemi precisi che fanno avanzare la storia svelando gradualmente gli angoli bui. In questo spettacolo i personaggi presentano gli aspetti molteplici e contradditori che possono coesistere in un essere umano a fronte di drammi esistenziali che qui vengono risolti dando sfogo all’esasperazione.

In generale, i personaggi sono approfonditi nei tratti psicologici e nella loro evoluzione all’interno della storia e si riesce a seguirne il percorso emotivo. Ho trovato meno tratteggiati Alma, la figlia che medita vendetta, che resta un personaggio un po’ troppo fisso (non so se questa sia un’intenzione drammaturgica o registica o una piccola mancanza) e Valerio, il giornalista vissuto sette anni in Germania frequentando “fumosi salotti”, il cui percorso verso un senso di rivalsa non mi è apparso ben definito.

Gli attori in scena sono straordinari.

Liliana Massari (Velia) è meravigliosa in questo ruolo di donna ferita a vita in cerca di un riscatto a tutti costi. Elegante e altera, algida quando necessario, con negli occhi quella luce della donna pazza di dolore che non vuole piegarsi nonostante tutto.

Cristina Todaro dà grandissima  prova del proprio talento nei panni di Olimpia, ragazza rimasta sola che si dà da fare in mille modi per vivere, ostinata e fiera. Fidanzata con Alma, sarà con lei in ogni cosa, decisa a dedicarle la propria esistenza. E’ il personaggio più bello e intenso che le abbia visto recitare, ed uno dei personaggi meglio scritti in questa storia.

Altro bellissimo personaggio è Sergio, compagno di Velia e cospiratore, sostenuto dalla bravura di Matteo Montalto che riesce ad accompagnarlo in ogni atteggiamento, dalle sfumature agli accesi accenti, in un’evoluzione del personaggio molto convincente.

Luciano Guerra è Flavio, fermo nel suo proposito di vivere la propria vita senza fare le guerre degli altri, ma che alla fine sarà soldato a suo modo fino al momento di un onorevole, almeno secondo lui, congedo. Un bellissimo personaggio che Luciano interpreta con passione e trasporto, con decisione e polso fermo, tanto che, alla fine, “tifavo” per lui.

Valentina Perrella è sempre bravissima, presente e coinvolta, ma in questa occasione al suo personaggio mancava qualcosa.

Alessandro Giova conferma la sua crescita professionale in un ruolo che si avvicina molte alle sue corde.

Torre Elettra è lo spettacolo più breve di Giancarlo Nicoletti, ma, nonostante questo, soffre di una certa lentezza e alcuni quadri o parti di testo sono pleonastici.

La scenografia non mi è piaciuta. Va bene la semplicità e il minimalismo, ma è già vista e commette l’errore di fissare tutto alla prima scena ed essere fuori contesto nel prosieguo dello spettacolo.

Molto interessante l’inserimento della malattia e dei suoi effetti sulla mente che marchia l’intera storia familiare allargandosi a quelli più prossimi in una  sorta di crudele e ironico contrappasso della potente lucidità che ha segnato i piani di tutti.

Torre Elettra è uno spettacolo ricco di spunti di riflessione, di riferimenti al classico e al moderno riletti in chiave contemporanea. Forse troppo materiale per un’ora e quaranta minuti circa di spettacolo per essere sufficientemente contestualizzati e affrontati.

La nota verbosità complessa e articolata di Nicoletti, caratteristica da me sempre apprezzata perché gestita con grandissima padronanza e chiarezza, qui avrebbe dovuto essere ancora più contenuta. La durata di questo spettacolo rappresenta, forse, l’inizio di un percorso di sintesi che l’autore di Festa della Repubblica, #salvobuonfine e Kensington Gardens sembra aver intrapreso.

Torre Elettra

Scritto e diretto da Giancarlo Nicoletti

Con Liliana Massari, Valentina Perrella, Luciano Guerra, Matteo Montalto, Cristina Todaro, Alessandro Giova.

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