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Recensioni Teatrali. Il Libro di Flaminio Boni.

recensioni teatrali

Da qualche mese ho pubblicato un libro (completamente autoprodotto) che raccoglie alcune delle mie recensioni teatrali.

Dall’inizio del 2014 fino alla data di pubblicazione (dicembre 2016) ho scritto quasi 300 recensioni di Teatro e Musical, la mia grande passione, ma anche, in parte minore, di spettacoli di danza ed eventi. Oggi, gli articoli sono più di 360.

In questo primo volume ne ho raccolte ottanta, scegliendo quelle secondo me più significative e spaziando per genere e tipologia.

Ho scelto di arrivare fino ad agosto 2016 per poter poi pubblicare un secondo volume che conterrà le recensioni della stagione 2016/2017.

Il problema che si pone è come far arrivare a tutti la notizia e, soprattutto, come informare le persone coinvolte e citate nel testo evitando intrusioni moleste sui social con tag e citazioni varie (che però risulterebbero molto efficaci).

Ho  pensato di pubblicare l’indice del libro in modo che tutti, addetti ai lavori e spettatori, possano scorrerlo e ritrovare ciò che li riguarda o ciò che interessa loro e, magari, decidere di volerne una copia.

Nella sezione finale, inoltre, il volume è arricchito da contributi di alcuni grandi personaggi del Teatro e del Musical italiano che hanno accolto l’invito di scrivere un pensiero sul Teatro e sull’attività del critico e che continuo a ringraziare con grande affetto e sono: Marco Simeoli, Dino Scuderi, Brunella Platania, Fabrizio Angelini, Gianfranco Vergoni, Alessandro Salvatori, Daniele Derogatis, Pietro De Silva, Stefania Fratepietro, Andrea Palotto, Graziano Piazza e Piero Di Blasio.

 

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SPETTACOLI PRESENTI NEL VOLUME

Jesus Christ Superstar

Dignità Autonome di Prostituzione (Brancaccio)

Non è come sembra

Amori e resti umani

Rapunzel (2014)

Trasteverini

In due sotto a ‘na finestra

Io sono il vento

La torta di Joe

L’ultimo volo

Festa della Repubblica

Tutti a bordo

Sweet Home Europa

I Corti Teatrali – III ed. nazionale

#salvobuonfine

#Realiti (Teatro Furio Camillo)    

Processo a Pinocchio

Grease (2015)

Still Life (2013)

Macadamia Nut Brittle

Imitationofdeath

Ora

Fak Fek Fik

Ti amo, sei perfetto, ora cambia (2015) 

Dignità Autonome di Prostituzione

Dignità Autonome di Prostituzione – La musica

Ciao Amore Ciao

Re Lear

Piccolo e squallido carillon metropolitano

Io, mai niente con nessuno avevo fatto

Nunsense

Un marito ideale

Priscilla – La Regina del Deserto

Piombo e Cocaina

Cattivi Ragazzi

Processo a Pinocchio

#salvobuonfine

Piccioni e farfalle fanno la rivoluzione

Immigrati brava gente

La scala

#Realiti (Teatro Cometa Off)

Ho imparato a sognare

Fogli di Immenso Silenzio

Il Bagno

Sister Act

Se ti sposo mi rovino

Una serata tra amici

Vita, Morte e Miracoli

Una serata tra amici

Rumori fuori scena

Mumble Mumble

Monologhi dell’atomica

Nerone – Duemila anni di calunnie

Otello

RomeoeGiulio

Affittasi camera da letto

Alcazar

Kensington Gardens

Appuntamento al buio

Dyonisus – Il Dio nato due volte

Modigliani

L’Amore è ‘na cicatrice

Yesus Christo Vogue

Yerma

Un bacio dai tuoi papà

Rapunzel    (2016)

Le ragazze di Via Savoia, 31

Matteo 19,14

Vite Parallele

Trasteverini

Moby Dick – Me Stesso. Cerco

Taxi a due piazze

Grease (2016)

Arancia Meccanica

Thanks for Vaselina

Il Majorana show

Donna non rieducabile

Ti amo, sei perfetto, ora cambia (2016) 

Non c’è due senza te

Lear – La Storia

Amalfi Musical

Sogno di una notte di mezza estate

Il racconto d’inverno

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Recensioni, Teatro, Teatro

Il racconto d’inverno al Globe

Silvano Toti Globe Theatre

26 agosto 2016. Prima

Il racconto d’inverno, l’inverno del cuore dove il gelo annebbia la mente, oscura i pensieri e confonde inesorabilmente le idee portando l’animo e la mente umane a convincersi di ciò che non è vero.

Un gelo così ficcante, intenso e subdolo da salire improvviso e silenzioso come nebbia dal lago che si espande tutto intorno invadendo in un attimo il sottobosco e riempiendo ogni spazio. Allo stesso modo nella mente e nel cuore di Leonte, Re  di Sicilia, si creano un gelo ed una nebbia densa che oscura tutto lasciandolo completamente annebbiato nel giudizio, eliminando ogni lucidità, nella convinzione sempre più forte di essere stato tradito dall’amico di sempre, Polissene, Re di Boemia e dalla moglie fedele Ermione. Un convincimento così forte e pungente che si innerva in tutto il suo corpo infettando cuore e mente.

Questa è la storia de Il racconto d’inverno, in cui si racconta del Re di Sicilia che ha ospite, da nove mesi, l’amico di sempre, Polissene e che volendo che si trattenga ancora qualche giorno, ma non riuscendo a convincerlo, chiede alla moglie di provare a convincerlo. Le poche, semplici parole di Ermione riusciranno laddove le grandi insistenze di Leonte hanno fallito: Polissene “resterà”.

A quel punto il tarlo del dubbio si insinuerà nella testa di Leonte che si convincerà di essere stato tradito dall’amico e dall’amata e addirittura che la creatura che la sposa porta in grembo non sia sua, ma dell’amico. Nasce da qui la tragedia di una moglie rifiutata,  ripudiata e imprigionata e di un amico costretto a scappare grazie all’aiuto del servitore Camillo, fedelissimo non tanto al singolo uomo quanto ad un sentimento universale di umanità.

Il primo atto si dipana come una tragedia a tutti gli effetti: violenza psicologica, crudeltà senza scampo. Nonostante tutti intorno a Leonte tentino di persuaderlo che la convinzione del doppio tradimento, dell’amico e dell’amata, sia falsa, egli ormai è completamente annebbiato dall’odio e dalla voglia di vendetta.

Polissene riuscirà a tornare in Boemia ed Ermione, imprigionata, partorirà una bambina, Perdìta, che il padre deciderà di far abbandonare in un posto remoto (scena meravigliosamente drammatica). A seguito di questa decisione di Leonte, Ermione avrà un mancamento e verrà fatta credere morta dalla fedele, intelligente e forte Paolina. Mamilio, figlio di Leonte ed Ermione, morirà per il dolore. Leonte ha perso tutto in un attimo: inutile è il repentino pentimento che scaccia la nebbia dai suoi occhi e gli fa prendere atto di una realtà lacerante.

A questo punto interviene il Tempo, il Tempo che si racconta, come voce fuori campo, nel suo scorrere. Trascorrono sedici i anni, durante i quali Leonte continua a pentirsi dei gesti compiuti e dettati dalla sua folle e insensata gelosia e di piangere la morte della moglie, del figlio e l’abbandono della figlia.

La scena si sposta in Boemia, e la tragedia vira verso la commedia con tratti musicali molto netti. Polissene contrasta l’amore del figlio per una fanciulla, non perché essa sia una pastorella, ma perché deluso e amareggiato dal fatto che il figlio non voglia  metterlo al corrente dei suoi progetti. I due innamorati allora scappano e, su consiglio di Camillo, servitore fedele ai propri principi di umanità e rispetto per tutti, chiedono rifugio al Re di Sicilia. La ragazza non è altro che Perdìta, figlia di Leonte ed Ermione, abbandonata sedici anni prima in una terra lontana. A questo punto, grazie anche all’intervento di altri personaggi caratteristici e comici, la storia si ricompone dando pace al dolore di molti.

Il racconto di inverno è un bellissimo testo, interpretato magistralmente da un cast straordinario di artisti grandissimi.

L’umanità dei personaggi di Shakespeare è sempre sorprendente e il lavoro della regista Elena Sbardella, che ne ha curato anche l’adattamento, mira a guardare tra le pieghe, addentrandosi nei meandri della mente umana e scavandone nelle emozioni.

La ragione (di Leonte) si perde, cedendo alla fragilità, cadendo nella cecità e nella sordità causate dalla paura. La ragione, però, non è irrimediabilmente persa: Paolina, la Dama, mantiene una forte lucidità, nonostante un grande dolore, e agisce, senza esitazione. Anche Camillo utilizza la propria ragione e la bontà del proprio cuore per tentare di ristabilire un ordine.

Questo allestimento muove nella direzione non tanto di raccontare una storia, quanto di approfondire l’animo umano, i sentimenti più intimi e forti che muovono gli individui alle azioni. In questa direzione è visibilmente diretto il lavoro non solo della regista, ma anche di tutto l’enorme gruppo di lavoro.

Anche la scenografia è orientata in questo senso: separè scorrevoli e porte girevoli a scomparsa sono non solo ingresso e uscita dei personaggi, celamento e svelamento, ma anche veicolano le emozioni che vengono rappresentate, talvolta con ferocia, altre volte con impeto comico.

Grandissimo impegno, intensa partecipazione e, immagino, enorme sforzo di concentrazione sono solo alcune delle caratteristiche che denotano l’enorme professionalità di questi attori, tutti meravigliosi e tra i quali spiccano alcune eccellenze.

Alessandro Averone, Leonte, intenso e drammatico, ha una timbrica vocale che rapisce e che, unita alle spiccate doti interpretative, crea un personaggio tragico e spaventoso a tutto tondo.

Gianluigi Fogacci, Polissene, riveste il ruolo dell’uomo in buona fede, dell’amico fidato e rispettoso con naturalezza: anche i tratti del viso e gli occhi trasmettono sorpresa e sgomento nel primo atto e lanciano strali per l’orgoglio ferito nel secondo.

Carlotta Proietti si difende molto bene nel ruolo di Ermione, donna ferita e umiliata, ma forte e fiera nella difesa del proprio onore e della propria rispettabilità. Avrei, però, calcato un po’ di più sulla forza di carattere di questo personaggio, affinché la dignità con cui va incontro al proprio destino non venga scambiata per rassegnazione.

Strepitosa Ludovica Modugno nei panni di Paolina, la Dama forte e lucida a dispetto degli eventi tragici. Meravigliosa (d’altronde famosissima) voce, pungente, straziante, conciliante, avvolgente, suadente e interpretazione asciutta, ma altamente significativa condensata in uno sguardo, un gesto o anche solo il movimento del labbro.

Marco Simeoli, nel doppio ruolo di Cleomene, Barone di Sicilia e di Dorca, pastorella, è sempre una garanzia di successo, miscelando la bravura e la professionalità con una vis comica trascinante abbinata ad una sorprendente capacità di caratterizzazione.

Allo stesso modo cattura, colpisce e diverte Mimmo Mignemi nel doppio ruolo di Dione, Barone di Sicilia e Mopsa, altra pastorella.

Roberto Mantovani e Pietro Montandon chiudono la schiera dei bravissimi, nei ruoli rispettivamente del pastore, padre adottivo di Perdìta e di Camillo, il fedele servitore.

Meravigliosi i costumi di Cappellini & Licheri che, nei particolari curati e nella diversità di linea disegnano una sorta di scenografia in movimento. Nel segno di una consolidata tradizione della rappresentazione, dominano il rosso e il blu, colori primari utilizzati per dividere i personaggi in squadre o famiglie e che ne rappresentano un po’ l’indole. Gli abiti, poi, sono  arricchiti da disegni e sfumature sgargianti che riportano a terre lontane.

Anche le bellissime musiche di Nicola Piovani (c’è da aggiungere altro?) suggeriscono di mondi lontani, di terre assolate, con evidente richiamo ai suoni siciliani (percussioni Paolo Volpini, tastiera e chitarra Aidan Zammit)facendo da substrato ai vari momenti emozionali.

L’uso del dialetto in alcuni, precisi momenti è consono ed efficace, richiamando la differenza sociale tra i personaggi e costituendo elemento di respiro.

C’è da dire, però, che si avverte un po’ di sofferenza causata dalla lunghezza eccessiva dello spettacolo dove alcuni tagli risulterebbero salutari alla fruizione completa. Nonostante il passaggio tra primo e secondo atto, tra un prima e un dopo, sia piacevolmente ammorbidito dall’attenta regia della Sbardella,  tale armonia non è mantenuta completamente nel secondo atto che, nonostante il tono più leggero, a tratti burlesco, soffre di alcune soluzioni coraggiose, ma, forse, troppo azzardate.

Molto, però, va imputato alla struttura stessa dell’opera shakespeariana, in cui i primi tre atti (Il racconto d’inverno nasce come tragicommedia in cinque atti) sono connotati dallo stile tragico, per poi virare negli ultimi due atti verso uno stile di commedia musicale ante litteram.

Il racconto d’inverno è un ricco e meraviglioso spettacolo che, oltre a tutte le cose già dette, ha il merito di portare in scena una delle opere di Shakespeare meno rappresentate e adatta ad un pubblico eterogeneo.

Il racconto d’inverno

dal 26 agosto all’11 settembre 2016, ore 21.00
regia e adattamento di Elena Sbardella

Prodotto da Politeama Srl

Interpreti
(in ordine alfabetico)
LEONTE
MAMILLIO
POLISSENE
BUFFONE
SERVO
PERDITA
VECCHIO PASTORE
MOPSA
PAOLINA
CAMILLO
EMILIA
ERMIONE
DORCA
AUTOLICO
ANTIGONO
FLORIZEL
ALESSANDRO AVERONE
FRANCESCO DE ROSA
GIANLUIGI FOGACCI
PAOLO GIANGRASSO
FILIPPO LAGANA’
NEVA LEONI
ROBERTO MANTOVANI
MIMMO MIGNEMI
LUDOVICA MODUGNO
PIETRO MONTANDON
LOREDANA PIEDIMONTE
CARLOTTA PROIETTI
CARLO RAGONE
STEFANO SANTOSPAGO
ANDREA TIDONA
FEDERICO TOLARDO

MUSICHE
Nicola Piovani

SCENE E COSTUMI
Cappellini & Licheri

DISEGNO LUCI
Umile Vainieri

PROGETTO FONICO
Franco Patimo

ASSISTENTE ALLA REGIA
Cristina Mugnaini

MOVIMENTI DI SCENA
Alberto Bellandi

Percussioni PAOLO VOLPINI
Tastiera e chitarra AIDAN ZAMMIT

 

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Recensioni, Teatro

Lear – La Storia al Globe

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Silvano Toti Globe Theater

23 giugno 2016. Prima

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Lear il Re tracotante e superbo che domina gli uomini e sfida gli dèi. Lear; il Re che divide il proprio Regno tra le due figlie che lo adulano falsamente escludendo dal patrimonio quella che lo ama il giusto, con rispetto e devozione.

Lear, il Re che diventa folle per il dolore straziante nel prendere consapevolezza della propria umanità e quindi finitezza e suscettibilità all’errore; il Re che impazzisce nel rendersi conto che tutto quello che aveva costruito e creato era frutto di un’inesauribile desiderio di accumulare e di potere e che si sforza di mantenere tale potere e la deferenza che ne dovrebbe derivare anche nei momenti più cupi. Lear, il Re visionario che si affida ad un inconscio matto, a un nobile servitore camuffato e a un finto mendicante fintamente folle.

Vera follia che annienta, finta pazzia che aiuta.

Lear. La Storia è una tragedia, per la struttura narrativa e compositiva e per la vicenda stessa che racconta; forse la tragedia più drammatica di Shakespeare e che più rispetta la matrice di quella greca in cui destino, fato fortuna, come li si voglia chiamare, intervento degli dèi, quindi una volontà fuori dell’uomo e di lui più forte, inganno, complotto, follia, malattia, disobbedienza e ingratitudine trovano la loro più completa espressione, in cui la catarsi si compie senza distinzione tra bene e male, facendo vittime da ambe le parti. Il bene non vince sul male, ma solo alla fine lo sostituisce: affinché l’ordine naturale e supremo venga ripristinato, sono necessarie delle vittime, si richiedono sacrifici enormi e mortali.

La tragedia presentata ieri al Silvano Toti Globe Theatre di Roma e in scena fino al 3 luglio, vede uno splendido Mariano Rigillo nei panni di Re Lear.

L’adattamento (con la traduzione di Masolino d’Amico) e la regia di Giuseppe Dipasquale sono complessi e articolati, faticosi in alcuni punti del primo atto, ma, allo stesso tempo, hanno il grandissimo pregio di rispettare e mettere in evidenza il valore altamente simbolico e allegorico dell’opera del Bardo.

Lo si vede da subito: la scena iniziale è meravigliosamente suggestiva. Lear stanco e vecchio, sdraiato in un letto, viene accolto dalle figlie che lo vestono degli abiti gloriosi del suo potere mentre in sottofondo un lento stillicidio crea una melodia suadente. La divisione del regno tra le due figlie è materialmente rappresentata dalla veste e dalla corona che si frammentano in due parti uguali.

Il simbolismo si muove oltre, portando in scena le due figlie crudeli, ingrate e ingannatrici, interpretate da due uomini a rappresentare la concezione maschilista del potere e a porre  maggiore distanza tra loro e Crudelia, figlia devota e rispettosa, che ama nella giusta misura.

Il primo atto, però, è faticoso; dopo un inizio suggestivo si avvertono delle difficoltà drammaturgiche e mancanza di ritmo. Nel secondo atto c’è una stupefacente ripresa: la narrazione stessa e i dialoghi si fanno più serrati e la drammaticità, prima veicolata attraverso dialoghi asciutti, esplode ora nei sentimenti e, soprattutto, nella follia di Lear.

Rigillo interpreta una follia realistica, tirandone fuori una tenerezza e arrendevolezza incredibili. Lear diventa un vecchio bambino, come un uomo qualunque, un uomo semplice in bilico tra lucidità e pazzia. Egli sveste Lear della sua prepotenza e protervia per ricoprirlo di umanità, dolore, disperazione e consapevolezza.

Un altro padre, ingannato e disperato, è Gloucester, interpretato con padronanza e sensibilità da un grande Sebastiano Tringali.

Meravigliosa l’interpretazione di Luigi Tabita nei panni di Regana, una delle figlie di Lear: ha dato un piglio forte e crudele, mettendone in mostra astuzia e una vena di sadismo. Postura e sguardo erano strettamente connessi all’interpretazione, ma, soprattutto all’intenzione.

Brava Silvia Siravo nei panni di Crudelia: nonostante stia poco in scena, riesce a far avvertire la presenza e l’importanza del proprio personaggio.

Buona prova anche per David Coco, Edmund, il figlio infedele di Gloucester, che trama contro tutti per raggiungere il potere. Grande presenza e carattere forte, anche se a volte, troppo caricato.

Bene Giorgio Musumeci nei panni di Edgar, il figlio ingiustamente esiliato, il finto matto, che resta fedele al padre sempre senza mai offenderne il nome. Una prova interessante, anche fisica, in un’interpretazione che richiede la capacità di mantenere i cambi di registro.

Bene, a seguire, Filippo Brazzaventre (Kent), Enzo Gambino (Duca di Borgogna), Roberto Pappalardo (Goneril).

Meno calzante e coinvolgente Anna Teresa Rossini nei panni del Matto, inconscio e alter ego di Lear. Direi un personaggio al quale non viene dato tutto il respiro che potrebbe avere privandolo di colore.

Ho trovato scarso l’uso della partitura musicale: efficace laddove presente, se ne sente la mancanza come un vuoto.

Se, come riportato nelle note di regia, “il momento alchemico è dato dalla tempesta, nella quale il disordine degli elementi prova a trovare la sua ricomposizione”, dov’era questa tempesta? Non c’era suono che ricordasse pioggia, tuono e vento. Forse l’intenzione era quella di lasciare l’opera ad un livello più intimistico e personale, rappresentando più la tempesta che si scatena dentro l’uomo che quella degli elementi naturali, ma un collegamento, un richiamo tra l’uno e l’altro mondo avrebbe reso un maggior impatto emotivo.

Infine, bellissimi i costumi di Angela Gallaro e il trucco, in particolare per Tabita/Regana.

 

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