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Recensioni, Teatro, Teatro

Giusto la fine del mondo – Recensione

Giusto la fine del mondo

Piccolo Eliseo

13 febbraio 2020

 

Giusto la fine del mondo, in scena al Piccolo Eliseo, è uno spettacolo di Jean-Luc Lagarce, l’autore attualmente più rappresentato in Francia dopo Shakespeare e Molière, qui presentato con la traduzione Franco Quadri.

Louis (Alessandro Tedeschi), dopo dodici anni di assenza, torna nel proprio paese natale per rivedere la famiglia e comunicare la notizia della propria malattia e della sua imminente morte. Ritroverà la madre vedova, Martine (Anna Bonaiuto), il fratello maggiore Antoine (Vincenzo De Michele), la sorella Suzanne (Angela Curri) e la cognata Catherine (Barbara Ronchi).

Ognuno di loro riverserà fiumi di parole su Louis quasi a voler riempire in una volta sola il vuoto lasciato da quei dodici anni di assenza e di silenzio.

Suzanne, che era troppo piccola quando Louis se ne andò, non ne serba un ricordo, ma cova lo stesso un enorme senso di solitudine, pur rimanendo delusa e anche arrabbiata perché il fratello non aderisce all’idea che se ne era fatta. Antoine si dimostra rancoroso, manifestando la gelosia che da sempre nutre verso il fratello, divenendo a tratti brutale. La madre oscilla continuamente tra la gioia di rivedere il figlio, coltivando la speranza di instaurare un dialogo familiare, ed una fredda indifferenza, dovuta alla consapevolezza che il passato è ormai cristallizzato e certe dinamiche non cambieranno. La cognata Catherine, imbarazzata, insicura, pur tentando di metterlo a proprio agio, resta distante, continuando a dargli del lei.

Louis andrà via la sera stessa, senza aver rivelato il motivo per cui era tornato.

Giusto la fine del mondo è uno spettacolo sulla incomunicabilità, sull’ascolto, in cui tutti, tranne Louis, parlano e nessuno, forse nemmeno Louis, ascolta. I discorsi sono monologhi mascherati da dialoghi, una pletora di parole rigurgitate per riempire il vuoto lasciato da sentimenti che non trovano voce.

Mentre i suoi familiari lo investono con le loro parole, rinfacciandogli la propria libertà, Louis tace, si isola, non riuscendo o forse non volendo più dire quello per cui era tornato. Alla fine capisce e lascia loro il potere di dire. Forse pensa di doverglielo. Forse è lui che deve dare pace a loro.

A volte Louis sembra già morto e pare quasi che la sua famiglia non aspettasse altro che il momento di potergli dire addio.

Giusto la fine del mondo si svolge nel tempo ristretto e insieme dilatato di un giorno o forse un anno.  La scenografia non è particolarmente interessante; unico elemento significativo sono le tre veneziane che separano il dentro e il fuori, dividendo ciò che è da ciò che è stato o che potrebbe essere.

La reazione a questo spettacolo è incredibilmente contraddittoria: se, da una parte, la storia provoca suggestioni e anche rabbia per l’ostinazione dei personaggi a non volersi ascoltare, dall’altra la rappresentazione provoca fastidio.

E’ difficile comprendere da dove provenga questa insofferenza, se dallo stile del di Lagarce che procede per enunciati ellittici, con periodi spezzati che riprendono da dove era finita la frase precedente, oppure ne richiamano una parte, indugiando su pochi, ma ripetuti concetti fino a diventare ridondante e ossessivo, o se da un’interpretazione che è apparsa per molti versi fredda, distante, anche fuori parte, come se gli attori (o i personaggi?) fossero estranei alle loro parole.

Louis è uno scrittore omosessuale e malato di Aids, ma di questo non si trova traccia, se non nella gestualità di Tedeschi nel monologo finale.

L’interpretazione di Anna Bonaiuto non provoca entusiasmo; Alessandro Tedeschi rivela un’inflessione troppo accentuata, in contrasto con l’effetto generale. Sicuramente è molto bella la prova attoriale di Barbara Ronchi nei panni di Catherine di cui ben rappresenta l’imbarazzo, un certo distacco e il ruolo di moglie comprensiva e protettiva nei confronti del marito.

Vincenzo De Michele è davvero impetuoso nel ruolo di Antoine, il cui sfogo/monologo finale, sprezzante e disperato, è un momento molto forte. Angela Curri è irritante.

Il vero problema è capire questa insofferenza che lo spettacolo suscita, questo senso di sgradevolezza e di lentezza siano voluti dall’autore o dal regista, Francesco Frangipane, o un effetto collaterale di un testo dal linguaggio difficile, scomodo, aspro, confuso e dall’incapacità dei personaggi di comunicare.

Giusto la fine del mondo

Di Jean-Luc Lagarce

Traduzione Franco Quadri

Regia Francesco Frangipane

Con Anna Bonaiuto, Alessandro Tedeschi, Barbara Ronchi, Vincenzo De Michele, Angela Curri

Scene Francesco Ghisu

Costumi Cristian Spadoni

Musiche originali Roberto Angelini

Luci Giuseppe Filipponio

Produzione Argot Produzioni e Fondazione Teatro Metastasio di Prato

in collaborazione con Pierfrancesco Pisani e Amat

Foto di Lorenzo Cicconi Massi

 

 

 

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Comunicati stampa, Teatro

PICCOLO ELISEO – Giusto la fine del mondo

fine

Piccolo Eliseo

13 febbraio – 1 marzo 2020

Foto di Lorenzo Cicconi Massi

Giusto la fine del mondo

Di Jean-Luc Lagarce

Traduzione Franco Quadri

Con

Anna Bonaiuto

Alessandro Tedeschi

Barbara Ronchi

Vincenzo De Michele

Angela Curri

Scene Francesco Ghisu

Costumi Cristian Spadoni
Musiche originali Roberto Angelini

Luci Giuseppe Filipponio

Regia Francesco Frangipane

Produzione Argot Produzioni e Fondazione Teatro Metastasio di Prato

in collaborazione con Pierfrancesco Pisani e Amat

L’autore al tempo stesso classico e contemporaneo attualmente più rappresentato in Francia

dopo Shakespeare e Molière

Louis – uno scrittore malato di Aids e prossimo alla morte – dopo essere stato lontano da casa per dodici lunghi anni, torna nel suo paese natale per rivedere i suoi familiari e comunicare loro la notizia della sua malattia e della sua imminente morte. Ad aspettarlo trova la madre vedova, i due fratelli Antoine e Suzanne e la cognata Catherine. I membri della famiglia reagiscono tutti in maniera diversa all’incontro: la sorella minore Suzanne è sinceramente felice di poter riabbracciare il fratello e, anche se quasi non lo conosce, prova un forte senso di abbandono; nel fratello Antoine si riaccende la gelosia verso di lui, che era sempre al centro dell’attenzione; la cognata Catherine, una donna gentile e insicura, cerca di metterlo a suo agio, stemperando gli eccessi del marito Antoine; la madre Martine, benché impreparata al ritorno del figlio, è raggiante e fiduciosa che in famiglia possa tornare il dialogo, interrotto anni prima o forse mai veramente iniziato. Louis andrà via la sera stessa, senza aver comunicato ai suoi il vero motivo della sua ‘visita’.

Note di regia

Una storia, quella di Louis, che si è drammaticamente intrecciata con la vicenda personale dell’autore, morto di AIDS a 38 anni. Dopo essere stato lontano da casa per dodici lunghi anni, torna nel suo paese natale per rivedere i suoi familiari e comunicare loro la notizia della sua malattia e della sua imminente morte. Ad aspettarlo, la madre vedova, i due fratelli Antoine e Suzanne, e la cognata Catherine. Una storia dell’incomunicabilità nella quale nessuno riesce ad esprimere i propri sentimenti, dove il dialogo si riduce a inutili tentativi di riempire il vuoto con le parole. Un testo dalla poetica dirompente costruito su lunghi flussi emotivi in cui ogni personaggio grida la propria insoddisfazione e frustrazione.

Una bulimia di parole che ogni familiare vomita addosso al protagonista impedendogli di dire quello per cui è venuto. Un Louis tramortito e confuso, avvolto in quella ‘bolla’ che lo continua a tenere distante ma che in qualche modo lo protegge. Ma anche un Louis, che uscendo da quella bolla, con estrema lucidità e razionalità si apre sinceramente e autenticamente al mondo. Il tutto in una domenica come tante.

Debutto nazionale 25 gennaio 2020 Macerata, Teatro Lauro Rossi

DURATA: 75 minuti

personaggi e interpreti:

Louis Alessandro Tedeschi
Martine, la madre Anna Bonaiuto
Suzanne, la sorella Angela Curri

Antoine, il fratello Vincenzo De Michele
Catherine, la cognata Barbara Ronchi

PICCOLO ELISEO

Da giovedì 13 febbraio a domenica 1 marzo 2020

Biglietteria tel. 06.83510216

Giorni e orari: lun. 13 – 19, da martedì a sabato 10.00 – 19.00, domenica 10 – 16

Via Nazionale 183 – 00184 Roma

Biglietteria on-line www.teatroeliseo.com e www.vivaticket.it

Call center Vivaticket: 892234

Orario spettacoli:

Da martedì a sabato ore 20.00

Domenica ore 17.00

Prezzo 20 €

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Comunicati stampa, Teatro

PICCOLO ELISEO – Le braci di Sándor Márai

Piccolo Eliseo

23 gennaio – 9 febbraio 2020

Le braci

Dall’opera di Sándor Márai

Adattamento Fulvio Calise

Drammaturgia e regia Laura Angiulli

Con

Renato Carpentieri

Stefano Jotti

 

Scene Rosario Squillace

Disegno luci Cesare Accetta

Produzione Il Teatro coop. produzioni Galleria Toledo

Quando il destino, sotto qualsiasi forma, si rivolge direttamente alla nostra individualità, quasi chiamandoci per nome, in fondo all’angoscia e alla paura esiste sempre una specie di attrazione, perché l’uomo non vuole soltanto vivere, vuole anche conoscere fino in fondo e accettare il proprio destino, a costo di esporsi al pericolo e alla distruzione…

Vi è un segmento letterario che riflette sul senso della vita, sul destino e sull’incomunicabilità tra gli individui, temi che animano la letteratura europea tardo ottocentesca e si estendono fino agli albori del secondo conflitto mondiale e oltre. Dai Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, all’uomo della folla, il flâneur del simbolista Charles Baudelaire, alcuni autori di grande raffinatezza intellettuale quali August Strindberg, Thomas Stearns Eliot, Jean-Paul Sartre, ma anche Walter Benjamin, James Joyce, David Herbert Lawrence, Ferdinand Céline, Franz Kafka, Luigi Pirandello e altri ancora – ciascuno a proprio modo e in una visione critica spesso ferale – elaborano il sentimento di deumanizzazione della società moderna dando forma a un vasto contenitore letterario dai confini incerti, che si definisce con il termine Esistenzialismo, in cui molti temi dei movimenti modernista e crepuscolare possono essere inscritti. A questo ambito appartiene l’idea dell’uomo attraversato da un profondo senso di alienazione e solitudine, testimone di un mondo al suo declino, diviso tra passato idealizzato e presente moderno e disumano.

Il passaggio d’epoca segnato dalla Prima Guerra Mondiale è il luogo temporale in cui l’ungherese Sándor Márai colloca il nucleo retrospettivo del romanzo Le Braci – Le candele bruciano fino in fondo, il titolo originale pubblicato nel 1942 -, un testo legato con filo rosso alla grande tradizione romanzesca, che assieme guarda alla crisi dei grandi miti della società occidentale ed al transito in un “nuovo mondo”, rovente e mefitico inferno tropicale da cui fa ritorno il personaggio Konrad dopo una disonorevole fuga durata quarant’anni. Fredda e assillante invece l’attesa per il generale Henrik, che attende il giorno della rivalsa immerso in un tempo sospeso fino ad un mattino del 1940, quando riceve l’improvviso annuncio della sua visita.

Nei personaggi de Le Braci, le attitudini dei due caratteri opposti legati da antica amicizia – onore, orgoglio e disciplina nella socialità per il soldato Henrik, melancolico temperamento artistico da poeta per il fuggitivo Konrad – rispecchiano valori decaduti tardo ottocenteschi. La questione di fondo qui posta è puramente etica, umana, dove l’elemento destabilizzante della ragione risulta essere la passione contenuta nel desiderio. Bisogna essere coerenti con sé stessi o rispettosi degli altri? Il senso della vita risiede nel legame d’amore che ci unisce a qualcuno. Il disincanto della risposta rende impossibile il rimarginarsi delle ferite. Ma permette di morire pacificati.

Si può e soprattutto si deve restare fedeli alla passione che ci possiede, anche se questo significa distruggere la propria felicità e quella degli altri? Perché me lo chiedi? Sai che è così”. (da Le Braci)

Sándor Márai e il senso della vita di Lavinia D’Elia

Due uomini alla resa dei conti. Henrik, un anziano militare. Konrad, il suo migliore amico. Due voci risuonano dagli abissi dei loro destini di solitudine. Sono le braci dell’incendio di un mondo che non esiste più; braci non ancora ridotte in cenere, covate sotto i carboni consunti dell’esistenza trascorsa. Sopravvissuti al loro tempo, sono entrambi tenacemente rimasti vivi resistendo stoicamente in una bolla d’attesa, lunghissima, diretta solo al momento cruciale del loro rendez-vous. Vanitas e ricordi sono fumi di ciò che resta dei grandi sentimenti ottocenteschi, idealizzazione dei “legami di parentela spirituale” traditi, ora riposti nelle morte proiezioni dei fantasmi delle loro vite trascorse. L’incomunicabilità si traveste da orgoglio. Brucia il diario di Krisztina, moglie e amante, o del tradimento del principio d’onore. Cosa ne è stato dunque dell’umanità del singolo, di quella età dell’oro anteriore alla Grande Guerra che ne ha segnato la battuta d’arresto, quando la dignità rendeva uomini e la passione ne alimentava i sentimenti? Come candela, la vita deve bruciare fino in fondo. La forza d’immaginazione della morte, in opposizione alla vendetta che tiene in vita, è più poderosa dello stesso vivere, una conclusione non evitata, né cercata, tra coraggiosa attesa e paura del vero, indicibile e umano. Scrive Sandor Márai: due persone non possono incontrarsi neanche un giorno prima di quando saranno mature per il loro incontro.

DURATA: 1 ora

Personaggi e interpreti:

Henrik         Renato Carpentieri

Konrad         Stefano Jotti

TRAILER: https://vimeo.com/334874007 psw teatrogalleriatoledo

PICCOLO ELISEO

Da giovedì 23 gennaio a domenica 9 febbraio 2020

Biglietteria tel. 06.83510216

Giorni e orari: lun. 13 – 19, da martedì a sabato 10.00 – 19.00, domenica 10 – 16

Via Nazionale 183 – 00184 Roma

Biglietteria on-line www.teatroeliseo.com e www.vivaticket.it

Call center Vivaticket: 892234

Orario spettacoli:

Da martedì a sabato ore 20.00

Domenica ore 17.00

Prezzo 20 €

Foto di Cesare Accetta

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