Flaminio Boni - Un posto in prima fila
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Teatro e Coronavirus: parlano gli Uffici Stampa

 platea

Uffici Stampa: diamo la parola agli operatori teatrali liberi professionisti  il cui ruolo è forse poco conosciuto, ma tanto impegnativo quanto determinante

 

Questa sarebbe dovuta essere un’intervista ad alcuni Uffici Stampa teatrali in seguito al decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 4 marzo che decideva la sospensione degli eventi teatrali salvo che non si fossero rispettate determinate regole, tra cui la distanza di sicurezza interpersonale di almeno 1 metro (che a teatro va intesa come metro quadro, un metro per ogni lato), misura drastica che si era resa necessaria per l’evolversi della situazione epidemiologica legata al Coronavirus che sta mettendo in ginocchio il mondo intero.

L’intervista a più voci era pronta e sarebbe dovuta uscire oggi, 8 marzo 2020, ma il recentissimo nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri firmato proprio oggi e in cui si decide la sospensione degli “spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali (…)”  (art. 2, lettera b) mi ha costretto a rimetterci mano per rimodulare il discorso in base alla nuova situazione venutasi a creare con il sopra citato ultimo decreto emesso.

L’intenzione, però, è rimasta la stessa: dare voce ad una categoria di lavoratori del comparto degli spettacoli dal vivo che lavora per lo più in ombra, ma la cui alacre e continua attività è preziosa, determinante e fondamentale per teatri e compagnie.

Esce comunque oggi, 8 marzo 2020, senza farlo apposta nel giorno della Festa della donna, coincidenza appropriata visto che la grandissima maggioranza delle persone che svolgono questo lavoro sono donne. Mi sembra anche un bell’omaggio e un giusto riconoscimento a delle donne forte e indipendenti.

Hanno immediatamente risposto al mio invito Silvia Signorelli (C&S Comunicazione e Servizi, Ufficio Stampa Teatro Brancaccio, Brancaccino e Sala Umberto), Maya Amenduni (@AgenziaDiComunicazione, Giornalista e Ufficio Stampa), Mary Ferrara (Vice Presidente e Ufficio Stampa TeatroSenzaTempo), Fabiana Manuelli (Ufficio Stampa per numerosi teatri e spettacoli) e Cristina D’Aquanno (Ufficio Stampa e promozione e comunicazione del Teatro Vascello Di Roma).

Già il precedente decreto del 4 marzo aveva provocato profonda prostrazione trovando d’accordo le colleghe sulla misura adottata, ma non sulla modalità.

Quattro su cinque (Signorelli, Amenduni, Ferrara e Manuelli) hanno espresso preoccupazione per le ripercussioni pesantissime su un settore già molto provato; Maya Amenduni e Fabiana Manuelli condividono il pensiero che fosse un decreto alla Ponzio Pilato che scarica la responsabilità e gli oneri sui lavoratori del settore.

Mary Ferrara aggiunge che non estendere il decreto ad altri ambiti, limitandolo a quello artistico, sembra ridicolo. Dello stesso avviso Cristina D’Aquanno che ha definito la limitazione al settore artistico un  attacco alla cultura.

L’emanazione del decreto del 4 marzo, e sono certo ora anche quest’ultimo, ha creato un enorme caos nel lavoro di queste professioniste.

Sempre per quattro su cinque (Signorelli, Amenduni, Ferrara e Manuelli) la situazione di emergenza ha portato “un sovraccarico di informazioni immediate che sono chiaramente non considerate come un “lavoro” ed uno stress ulteriore (Silvia Signorelli)”; “a gestire una situazione di emergenza in cui ogni informazione deve essere ben calibrata e gestita con la massima accortezza, ogni parola pesata, ogni azione ben ponderata (Maya Amenduni); il lavoro di mesi vanificato e senza più certezze lavorative (Fabiana Manuelli)

Ancora diverso il punto di vista di Cristina D’Aquanno: “Nessun caos, uso i miei mezzi ora per avvertire più persone possibile della vera minaccia: la solitudine. Restando soli e chiusi in casa il cervello non si connette più e non riceve più stimoli e informazioni e piano piano si spegne (…)”

A questo punto, credo davvero che le risposte fornite alle successive domande, valgano ancora, e forse di più, in seguito al nuovissimo decreto di oggi.

Alla domanda Ora chi penserà al sostentamento di tutti i lavoratori del Teatro? le colleghe sono tutte d’accordo nell’affermare che non ci sarà da parte dello Stato alcun tipo di sostegno per la categoria dei lavoratori dello spettacolo (ricordo che lavorano tutti a partita Iva), riscontrando in questo, evidentemente, un’enorme ingiustizia.

Cristina D’Aquanno ravvisa addirittura “l’inizio di una destabilizzazione che parte dalla cultura per disperdere i popoli e il potere che genera l’unità delle menti”

Cosa sarebbe auspicabile che il Governo facesse?

Anche a questa domanda la risposta è unanime: si dovrebbe sostenere ed aiutare innanzitutto i produttori ed i gestori dei teatri senza i quali nessuno può lavorare: attori, registi, personale di scena, botteghino, tecnici, mascherine ed anche uffici stampa che sono sempre i fanalini di coda.

Servono interventi, fondi straordinari, ammortizzatori sociali, credito d’imposta per gli investimenti; forme di tutela per i lavoratori che  si sono visti saltare spettacoli, tournèe. Si dovrebbe pensare a un fondo straordinario per tutto il settore dello spettacolo, ma soprattutto per quei musicisti, attori, danzatori che non hanno i contributi di disoccupazione assicurati.

“Un governo con la G maiuscola dovrebbe pensare e sapere che la cultura è alla base della civiltà” – Silvia Signorelli

“La cultura paga sempre, in un paese come il nostro dovrebbe essere tenuta sotto stretta considerazione e non come ultima ruota del carro.” Mary Ferrara

Per Cristina D’Aquanno lo Stato dovrebbe solo “Dire la Verità”

Alla domanda su cosa pensano di fare ora con questa battuta di arresto forzata, se recuperare progetti accantonati o porre  le basi per nuovi progetti le risposte sono tutte all’insegna della propositività, senza lasciarsi andare o arrendersi (gli uffici stampa sono abituati a fare, disfare, ricominciare, mettere in discussione, recuperare, ripartire, ricostruire).

Sicuramente si perderanno moltissimi lavori e moltissimi soldi

“(…) ma sono da sempre abituata a reinventarmi e andrò avanti, sempre a testa alta, senza compromessi e senza aiutini…” – Silvia Signorelli

“Alcuni progetti saranno recuperati, altri purtroppo no. Ai nuovi progetti non bisogna rinunciare e forse in un momento così difficile,  al netto di questo decreto all’italiana e dell’assenza del teatro dal discorso pubblico (…) l’unica cosa da fare è quella di utilizzare questa sospensione obbligata per studiare, leggere e pianificare i nostri progetti.” – Maya Amenduni

“C’è intenzione di prendere spunto da questa inattività per creare rete. Ora più che mai, l’unione fa la forza.” – Mary Ferrara

“Per quel che mi riguarda, mi voglio concentrare sui prossimi eventi già fissati – che sono tanti – nella speranza che tutto ciò passi presto. Voglio essere fiduciosa.” – Fabiana Manuelli

“Porrò le basi per nuovi progetti, ora più che mai si conferma l’evidenza che vogliono sconnettere i popoli tra loro, le famiglie tra loro, i singoli individui tra loro. (…)” – Cristina D’Aquanno

Pur non essendo in grado di fare previsioni, ho chiesto loro quali pensano saranno le conseguenze a breve termine e quali quelle a lungo termine.

Di nuovo quattro voci concordi nell’affermare che le perdite economiche saranno pesantissime e non si limiteranno al mese di fermo, ma faranno sentire i loro effetti per moltissimi mesi. Fermare la stagione ora, significa che la stessa è terminata. Le ricadute economiche saranno drammatiche. Solo alcuni, pochi, spettacoli, potranno essere riprogrammati e sarà anche necessario convincere il pubblico a tornare a teatro.

“Sto già pensando a modelli di comunicazione che portino a stimolare un pubblico che sarà in parte difficile da far riavvicinare al teatro. Perché anche quando questo incubo finirà, ci porteremo dietro qualche trauma” – Mary Ferrara

Diverso il messaggio di Cristina D’Aquanno che invita “(…) tutti a fare un lavoro di introspezione e di preparazione spirituale (…) purificare l’anima e prepararsi a difendersi culturalmente documentandosi e potenziare il senso critico.”

Quindi, ho chiesto, quando tutto questo sarà finito, cosa aspetterà a tutti i lavoratori del settore?

Oltre al coraggio e al rimboccarsi le maniche è bello che ci sia la consapevolezza, da me sempre sostenuta e difesa, di fare finalmente rete.

“Sarà un periodo durissimo sicuramente ma possiamo e dobbiamo recuperare forze e volontà, serietà e professionalità”. Mi piacerebbe che per una volta si pensasse tutti insieme, si agisca e si reagisca in modo unitario senza pensare al proprio orticello ma guardando al futuro del teatro italiano che ci coinvolge tutti e non cercando di trovare le sovvenzioni e gli aiuti solo per la propria categoria o per il proprio teatro. Altrimenti saremo ancora e sempre una categoria di opportunisti e di presuntuosi che barcolla e annaspa perché incapace di una costruttiva e seria rinascita” – Silvia Signorelli

“Tanto coraggio e voglia di non farsi sopraffare” – Maya Amenduni

“Di rimboccarsi le maniche, ma siamo abituati. Di reinventarci forse e di fare ammenda su una cosa: è ora di dare una dignità professionale a questo settore. Un messaggio che una volta per tutte deve arrivare chiaro a istituzioni e pubblico (…). – Mary Ferrara

“Noi siamo abituati a non fermarci mai: siamo già pronti a ripartire, rimboccandoci le maniche e facendo meglio di prima.” – Fabiana Manuelli

“Un rinnovamento come la Fenice, abbiamo nuovi e multipli orizzonti da raggiungere attraverso l’immaginazione e l’esperienza acquisita a teatro, per ricostruire, conservare e proteggere il gioco dell’arte teatrale ovunque saremo.” – Cristina D’Aquanno

Ringrazio queste professioniste del settore spettacolo per la cura e la dedizione che mi hanno fornito nell’approfondire le conseguenze sociali ed economiche di questa nuova situazione di emergenza.

Silvia Signorelli

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Maya Amenduni

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Mary Ferrara

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Fabiana Manuelli

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Crisitina D’Aquanno

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         Chi volesse rispondere o aggiungere qualcosa potrà farlo contattandomi direttamente.

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Recensioni, Teatro, Teatro

Omaggio ad Alda Merini con Dio arriverà all’alba

dio arriverà all'alba

Antonio Nobili omaggia Alda Merini con Dio arriverà all’alba.

Teatro Cometa Off

16 gennaio 2018. Anteprima nazionale

Chi meglio di un poeta può raccontare una poetessa? E’ quello che è riuscito a fare con grazia, eleganza e profonda ispirazione Antonio Nobili scrivendo questo meraviglioso testo.

Dio arriverà all’alba parla di una donna, Alda Merini, e della sua poesia, sondandone l’animo turbato e sofferente ed esaltandone la potenza immaginifica e verbale restituendo qualcosa dell’essere umano e molto della profondità della sua anima, arrivando al centro dell’ispirazione e riuscendo a seguirne gli sviluppi.

Un professore universitario, vecchio amico di Alda, le chiede di ricevere un giovane che sta svolgendo per lui delle ricerche sulla poesia contemporanea. Alda è molto scettica nel far entrare in casa sua estranei. E’ abituata a rimanere in casa, quasi da sola, nel disordine delle sue cose.

Il primo incontro porterà a successivi appuntamenti nei quali i due parleranno di poesia. Alda renderà partecipe Paolo (Daniel Terranegra), lo studente venuto ad intervistarla, della sua poetica, donandogli molto della sua anima. Svelerà se stessa al giovane, il suo essere e il suo pensiero, racconterà parte della propria storia e nel suo svelarsi a lui si ritroverà inevitabilmente riflessa nell’immagine reale di se stessa, quasi che quell’intervista fosse per lei necessaria in quel momento.

Trova in Paolo un interlocutore degno e capace, forse perché le ricorda le sue storie giovanili, forse per il bisogno di colmare la solitudine alla quale si è votata.

Gradualmente viene raccontata la vita intima e solitaria della poetessa attraverso anche lo sguardo delle persone che le sono state accanto: lo stesso Paolo; Arnoldo (Daniel De Rossi) amico carissimo, sensibile e impacciato con le donne; Anna (Sara Morassut), la ragazza che si prende cura di lei e della casa e di cui Arnoldo è innamorato; il medico (Alberto Albertino) che se ne prende cura e con cui si dimostra sorniona e indolente

Con loro Alda sarà ogni volta critica o premurosa, ironica o dolce a seconda dell’occorrenza, grazie a quella saggezza e sensibilità di donna e poetessa e alla capacità di sondare il profondo di ognuno proprio perché abituata da sempre a fare i conti con il suo io più nascosto e spesso fosco.

Un Io visibilmente rappresentato in scena da una bambina (Sharon Orlandini): è la sua Anima, che le ricorda che non è felice, è la Poesia stessa, è quel conflitto perenne che vive e che procura pena, provocandole quella sofferenza che è ineludibile e fondamentale per il suo essere poetico.

Fuma Alda, fuma tanto: la sigaretta per lei è un rito, quasi una medicina, qualcosa che l’aiuta ad avvicinarsi a se stessa e anche una compagnia. Il pavimento di casa sua è pieno di cenere e cicche, i tavolini sono ingombri di fogli, giornali, lattine e stoviglie e alle pareti campeggiano appunti e numeri di telefono: “Amo la sporcizia, la amo, la desidero la bramo” è scritto su uno dei tre pannelli che arredano la scena e “il disordine è confortante” dirà ad un certo punto ad Anna che vuole mettere ordine a tutti i costi, confortante perché la illude della presenza di altre persone nella casa, fantasmi che sono lì a farle compagnia.

Dio arriverà all’alba presenta Alda Merini nella sua quotidianità, nel suo essere donna complessa e ricca di emozioni, contraddizioni e dolori, ma anche di grande ironia e sempre, sempre tendente alla libertà.

Ne vengono rappresentate le movenze, la cadenza della voce, le piccole manie, il senso di colpa per non considerarsi una buona madre e il suo rapporto con la malattia mentale e restituite la profonda ispirazione e l’altissima poeticità.

Poeticità è la parola che sintetizza questo spettacolo: poetessa è Alda Merini e poeta è Antonio Nobili. Lo spettacolo sprigiona una poetica totale e vissuta che non è solo quella della Merini, ma anche quella dell’autore che dimostra una enorme capacità di elaborazione dell’immensa materia prodotta dalla poetessa.

Un testo che, a parte due poesie, è completamente originale e frutto dello studio, della passione, dell’intuito di Nobili e della sua sensibilità profonda che sa scendere nella complessità dell’anima e allo stesso tempo restituirla pura come se davvero tutto si rivelasse qui e ora.

Merito anche della straordinaria ed emozionante interpretazione di Antonella Petrone che sa incarnare fisicità ed espressività e conferire il giusto tono alle parole, dosare respiri e pause, ed esprimere una espressività pura e toccante.

Insieme a lei sul palco i vari personaggi prendono vita grazie alle interpretazioni di bravi attori. Particolarmente bella la rappresentazione dei sentimenti dolci e ingenui che Arnoldo (Daniel De Rossi) e Anna (Sara Morassut) provano l’uno per l’altra.

La scenografia rappresenta nel disordine esterno quello interno alla mente della poetessa: tre pannelli sono le pareti di casa su cui Alda affigge appunti, scrive impegni e numeri di telefono e usa come una tela su cui fermare i pensieri improvvisi; i tavoli sono come banchi di scuola pieni di oggetti e in continuo disordine.

Dio arriverà all’alba è uno spettacolo potente che restituisce la figura “nuda” di Alda Merini, avvolta solo nella sua pelle di lupo e, allo stesso tempo, risveglia l’Alda Merini che vive in noi.

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TeatroSenzaTempo Produzione Spettacoli Teatrali

presenta

Dio arriverà all’alba

scritto e diretto da Antonio Nobili

aiuto regia Margherita Caravello

assistente alla regia Francesca Romana Ciucci

con Antonella Petrone, Daniel Terranegra, Daniel De Rossi, Sara Morassut, Alberto Albertino, Sharon Orlandini

colonna Sonora originale di Paolo Marzo

scenografia Fabio Pesaro

costumi e trucco Virginia Menendez

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Recensioni, Teatro

Spettacolo Club 2.7 e serata con ospiti

club 2.7

 

Daniele Pecci, Claudio Insegno, i Jersey Boys e Miriam Bonaccorso

Teatro Brancaccino

3 giugno 2017

TeatroSenzaTempo Produzione Spettacoli Teatrali ha presentato il 3 giugno 2017, al Teatro Brancaccino di Roma, Club 2.7, uno spettacolo scritto e diretto da Mary Ferrara, direttrice dell’Accademia di Arti Drammatiche TeatroSenzaTempo insieme ad Antonio Nobili, con la regia associata di Mattia Di Napoli, responsabile anche dei movimenti coreografici, la direzione artistica di Enrico D’Amore e la direzione musicale di Emiliano Begni con una straordinaria band dal vivo.

Club 2.7 è uno spettacolo che vede protagonisti gli allievi del MIA – Musical Inside Academy – il laboratorio annuale tenuto presso l’Accademia di Arti Drammatiche TeatroSenzaTempo di Roma.

Dopo i precedenti spettacoli di fine anno, Footloose e Musicology, che tanto sono piaciuti al pubblico, Mary Ferrara ha deciso di proporre un lavoro intenso e difficile la cui realizzazione è realmente interdisciplinare: non solo recitazione, ma anche ballo e canto. Un proposito audace per dei giovani che non studiano musical, ma arti drammatiche e per questo maggiormente lodevole.

Uno dei problemi attuali in Italia nel mondo dello spettacolo è quello della settorialità sia nello studio che nel lavoro: in Italia non riusciamo a fare come all’estero, a cui però tanto guardiamo. Ovunque, nel mondo che prendiamo usualmente come riferimento, l’attore è attore completo e a tutto tondo: è recita, canta, balla e, a volte, suona anche.

In Italia, invece, si fa una distinzione netta tra attore di prosa e attore di musical, solo per dirne una.

Questo limite nasce spesso sin dal principio, ossia sin dalle scuole che, anziché mirare a dare una formazione completa ai propri allievi, indirizzano in percorsi specifici.

TeatroSenzaTempo è una di quelle Accademie che, seppur di Arti Drammatiche, cerca di dare ai propri allievi una formazione, almeno di base, globale, consentendo loro di mettersi a confronto con i propri limiti e di poter valutare, nel percorso, a cosa si sentano più vicini.

La scuola, in generale, deve fornire le norme, le regole, le basi, ma anche gli strumenti per utilizzare queste nozioni nel migliore dei modi facendole aderire con la propria personalità.

Discorso che lo stesso Claudio Insegno, ospite della serata con un premio alla carriera, e anche lui direttore, insieme a Marco Simeoli, di un’Accademia di teatro, la CTC – Casa del Teatro e del Cinema, ha tenuto a precisare. Non solo a parole, perché sono testimone diretto del percorso che anche i suoi allievi fanno.

Tornando a Club 2.7, lo spettacolo racconta in chiave drammaturgia e musicale la cosiddetta maledizione del 27, ossia mette in scena la straordinaria coincidenza che ha visto morire alla stessa età, 27 anni appunto, grandissimi artisti del panorama internazionale. A questi personaggi ne vengono aggiunti altri che, per lo stile di vita e le modalità della morte, possono ritenersi affini, nonostante l’età sia diversa.

In un non luogo, in una sorta di limbo nel quale non sanno come sono arrivati né dove potrebbe portare, tutti questi artisti si incontrano e si raccontano l’un l’altro e, forse per la prima volta, a se stessi.

Le loro anime tormentate cercano un po’ di pace, una pace che potrebbe non arrivare mai, perché le loro note, rimaste eterne, portano con sé una sorta di dannazione che sopravvive alla morte fisica.

Con tutto questo si sono dovuti cimentare questi ragazzi, confrontandosi con se stessi, i propri limiti, che ognuno ha superato in maniera diversa e personale, e con la citata interdisciplinarietà.

Inoltre, hanno dovuto affrontare un grande lavoro emotivo sui personaggi e una potente caratterizzazione fisica.

Club 2.7 è uno spettacolo riuscito, in cui ognuno ha raggiunto i diversi obiettivi che si era prefissato. Un grande lavoro di gruppo, in cui la coralità ben utilizzata ha saputo portare vantaggio ad ogni interpretazione personale.

I ragazzi hanno saputo ben rappresentare il mondo interno ed esterno dei propri personaggi, un po’ intimoriti forse dalla prova canora, comunque in generale soddisfacente, che, a volte, li ha portati a “distrarsi” dall’aspetto psicologico che, però, non è mai venuto meno, dimostrando un grande studio dei personaggi e una buona, a volte intensa, partecipazione emotiva.

In scena: Alice Adorni (Rino Gaetano), Davide Colnaghi (Jimi Hendrix), Stefano Di Giulio (Jim Morrison), Matteo Maria Dragoni (Kurt Cobain), Davide Fasano (Luigi Tenco), Virginia Menendez (Amy Winehouse), Serena Piraine (Mia Martini), Chicco Sciacco (Jeff Buckley) e le Anime, Giulia Bonanni e Giulia Capuzzimato. Inoltre la partecipazione di Cristina Frioni nel ruolo di Billy Holiday.

Molto belle le dinamiche di gruppo attraverso le quali questi giovani hanno dimostrato la capacità di occupare uno spazio riempiendolo senza sovrapporsi, riuscendo così a dare valore anche ad ogni interpretazione singola.

Molto bravi nel riuscire a rappresentare il linguaggio figurativo del testo attraverso un uso appropriato e naturale degli oggetti di scena e, soprattutto, attraverso il richiamo degli oggetti simbolo e feticci di ogni personaggio.

Molto bene anche l’aspetto coreografico, curato da Mattia Di Napoli assistito da Alessia Cutigni: i ragazzi sono riusciti a dare fluidità ai propri gesti riuscendo a restituire delle immagini.

Le numerose canzoni sono state eseguite dal vivo e caratterizzate da una forte aderenza al personaggio e al suo modo di muoversi e porsi.

A questo proposito preziosissima la presenza sul palco di una band, diretta dal Maestro Emiliano Begni (pianoforte), Stefano Ciuffi (chitarre), Sergio Tentella (batteria), Toto Giornelli (basso elettrico e contabbasso), Giuseppe Russo (sax baritono, tenore, soprano e flauto traverso), Alessio Ingravalle e Barbara Sperduti (vocalist).

La scaletta della serata ha previsto:

Paint it black – Rolling Stones

Don’t explain- Billie Holiday

Mi sono innamorato di te – Luigi Tenco

Ahi Maria – Rino Gaetano

You know I’m no good – Amy Winehouse

Break on through- Jim Morrison

All along the watchtower- Jimi Hendrix (anche se è di Bob Dylan)

E non finisce mica il cielo (Fossati per Mia Martini)

Lover you should’ve come over- Jeff Buckley

Something in the way, Lithium, Smells like teen spirits- Nirvana (Kurt Cobain)

Hear my train a comin’- Jimi Hendrix

club 2.7 club 2.7 club 2.7 club 2.7 club 2.7

 

Lo spettacolo ha occupato la prima parte della serata a cui è seguita una seconda parte ricca di ospiti.

Il direttore artistico Enrico D’Amore ha voluto invitare alcuni personaggi che con il loro lavoro sono dei punti di riferimento per questi giovani che studiano teatro, affinché portassero loro un messaggio.

Primo ospite è stato Daniele Pecci, che ha parlato dei propri studi e della passione per il Teatro classico e che vedremo questa estate protagonista al Globe Theatre di Roma con Enrico V.

Successivamente Miriam Bonaccorso ha presentato con la sua compagnia un estratto del nuovo lavoro che sta preparando e che avrà come soggetto la vita di Amy Winehouse.

In seguito sono saliti sul palco i grandissimi Jersey Boys, nella formazione composta da Claudio Zanelli, Marco Stabile, Alex Mastromarino e Giuseppe Orsillo.

Infine è stato consegnato un premio alla carriera a Claudio Insegno, attore e regista che in tantissimi anni ha dato tanto alla televisione e al teatro italiani e che la prossima stagione sarà protagonista come regista di tre musical.

 

claudio insegno jersey boys alex mastromarino

 

Club 2.7

scritto e diretto da Mary Ferrara

regia associata Mattia Di Napoli

direttore musicale Emiliano Begni

direttore artistico Enrico D’Amore

aiuto regia Mariella Rotondaro

assistente alla direzione musicale/preparazione cori Alessio Ingravalle

assistenti alle coreografie Alessia Cutigni e Serena Piraine

vocal coach Brunella Platania ed Enrico D’Amore

luci Mary Ferrara

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