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Danza, Interviste, Teatro, Teatro

Intervista a Sabrina Dattrino

sabrina

Sabrina Dattrino parla del suo nuovo progetto fotografico, Su Il Sipario, dedicato al mondo del teatro

Sabrina Dattrino, 35 anni, è una fotografa professionista che ha da poco lanciato un progetto fotografico sul proprio sito, dal titolo Su Il Sipario.

Sabrina, sei laureata in psicologia, hai vissuto e lavorato a Torino, poi hai deciso di lasciare l’Italia per realizzare il tuo sogno di esplorare il mondo, quale è stata la necessità primaria che ti ha spinta a lasciare l’Italia?

 Ho sempre avuto quel desiderio bruciante d’esplorazione e curiosità. Era un sogno che avevo sin da molto giovane, quello di perdermi in terre lontane e remote. Ho ancora vivide in mente le conversazioni con un’amica ai tempi della scuola riguardanti la Patagonia, l’outback Australiano, l’Africa…

Ai tempi erano solo i sogni di una ragazzina, sembrava tutto così “grande”, irraggiungibile…non pensavo che questi sogni sarebbero un giorno diventati realtà!
Con il passare degli anni il desiderio di viaggiare è diventato sempre più forte, fino al punto che non son più riuscita ad ignorarlo e così ho lasciato tutto e sono partita con biglietto di sola andata alla mano.

A quel punto ho finalmente potuto testare i miei limiti e nel confronto costante con le culture con cui sono entrata in contatto, ho scoperto chi fossi e quale fosse il modo più giusto per vivere la mia vita.

sabrina

Cosa hai fatto in questi 8 anni in giro per il mondo?

 Come premessa devo dire che per quanto riguarda i miei studi universitari, ero in ballottaggio tra psicologia e lingue. La decisione, col senno di poi, di iscrivermi a psicologia è stata vincente in quanto ha affinato quella sensibilità che m’ha aperto porte incredibili ed impensabili in giro per il mondo, sia a livello umano che lavorativo. Le lingue le ho migliorate (quelle che già sapevo) ed imparate di nuove viaggiando, ma non le ho mai ritenute tanto indispensabili quanto lo sono invece l’empatia e l’apertura per connetterti con ogni tipo di persona che ti capita sul percorso nel corso dei viaggi o della vita in generale.

In questi 8 anni ho esplorato, me stessa ed il mondo. Ho preso parte a progetti umanitari come foto reporter e volontaria, ho fatto tantissimo trekking in zone meravigliose, ho fotografato ogni singola cosa che catturasse la mia attenzione e potesse far riflettere sulla vita: dall’impermanenza racchiusa nella carcassa di un cammello che giace morto nel deserto Australiano, ai millenni di storia e cultura contenuti negli occhi dei volti dell’India, paese che ha lasciato un profondo segno nella mia vita.

Ho sfidato i miei limiti cercando di capire fin dove potessi spingermi ed ho incontrato persone meravigliose che mi hanno insegnato molto.

Sei tornata e ti sei trovata nel lockdown. Da questa situazione, essendo tu vicina al mondo dell’arte, hai maturato il progetto Su Il Sipario. Di cosa si tratta? Qual è stata la spinta motivazionale e quale è il messaggio che vuoi lanciare con questo lavoro?

 “Su il sipario” è la mia personale celebrazione della bellezza artistica. Nasce, come scrivo nel progetto, in conseguenza al vuoto che è stato lasciato quest’anno dalla chiusura di tutti i luoghi d’arte nel mondo.

Durante la pandemia sono rimasta bloccata in Giappone, quindi ho vissuto il lockdown italiano in modo marginale, tramite le parole di famigliari ed amici e i giornali. Ma ho comunque vissuto il vuoto artistico in prima persona anche là e da amante viscerale dell’arte è come se mi fosse stato tolto un tassello fondamentale della mia persona, lasciando così una voragine incolmabile.

Poi al rientro in Italia a fine anno scorso ho percepito la rabbia generale diffusa legata alle decisioni di tener chiusi tutti i luoghi di intrattenimento culturale per tutti questi mesi ed ho voluto creare qualcosa che potesse dare voce e volto a quella rabbia e frustrazione.

Come e con chi hai lavorato in questo progetto?

 Aiuto fondamentale in questo progetto è stato mio fratello. Avendo io vissuto così tanti anni fuori dall’Italia e non conoscendo nessuno a Roma, quando mi ci son trasferita non sarei mai riuscita a realizzarlo con questa velocità se non fosse stato per lui. Da attore e performer che vive e lavora qui da molti anni, Stefano ha una solida rete di contatti sul territorio, quindi ci siamo mossi in parallelo e, presentando la mia idea e background artistico, lui ha contattato alcuni suoi colleghi artisti mentre io i direttori artistici dei teatri. L’entusiasmo ricevuto in risposta è stato molto alto e questo ha facilitato di molto le tempistiche e la realizzazione.

dattrino

I tuoi scatti ritraggono l’artista al lavoro e poi davanti a una platea vuota. Cosa c’è dietro a questa ispirazione?

 La scintilla che ha dato vita a questa idea è stata una frase udita in televisione di un politico che affermava che i teatri possono anche rimanere chiusi perché non son fondamentali.

Purtroppo molte volte, figure pubbliche dall’ampia audience, non si rendono conto dell’impatto che le loro parole possono avere sulle persone, del dolore o frustrazione o rabbia che alcune affermazioni possono causare sulle masse. Quella frase è stata la mia famosa “goccia”. A quel punto ho deciso che avrei voluto trovare il modo di mostrare quanto fondamentale sia l’arte nella nostra vita e quanto pubblico e artisti siano indispensabili alla sopravvivenza reciproca, in quanto le due categorie si alimentano vicendevolmente e sono assolutamente imprescindibili.

Cosa ti aspetti il Governo debba fare per il settore dello spettacolo dal vivo?

 Quel che desidero più di tutto sono coerenza e rispetto. Decisioni politiche prese con una visione più sensibile del quadro generale nel rispetto di tutte le categorie. Perché le mutilazioni selettive distruggono animi, portafogli e, alla lunga, il Paese intero.

L’arte e la cultura sono fondamentali nella vita delle persone. Per gli spettatori è uno svago, un modo per far rinvigorire mente e corpo, ma per migliaia e migliaia di persone si tratta di lavoro, della stessa passione bruciante di cui parlavo nella prima domanda. Essere forzati ad accantonarla per cercar altri lavori significa snaturarsi, far violenza contro se stessi e lentamente annichilirsi.

Così come si ha libero accesso a supermercati, centri commerciali, etc, nel rispetto dell’igiene e distanziamento, lo si dovrebbe poter avere anche a teatri, cinema, ecc…

Progetti per il futuro? Pensi di rimanere in Italia o di andare via di nuovo?

 Una cosa che ho sempre cercato di fare nel corso degli anni è vivere il più possibile nel presente. Al momento vivo a Roma e sto continuando il mio percorso artistico  come fotografa qui, quando il futuro arriverà saprò che fare!

Per accedere alla galleria di Su il Sipario, cliccare sul link sottostante

www.sabrinadattrino.com/su-il-sipario

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Interviste, Teatro, Teatro

Giuseppe Zeno: che futuro per cinema e teatro?

cinema

Giuseppe Zeno: cinema, teatro e Coronavirus

Attore conosciutissimo e amato dal pubblico con all’attivo numerosissimi ruoli in spettacoli teatrali, film per il cinema e per la televisione, oltre che fiction e cortometraggi, interpretando spesso personaggi che hanno colpito il cuore di milioni di spettatori lasciando un segno.

Ciao Giuseppe, grazie per aver accettato il mio invito per questa intervista.

Io partirei proprio dal tuo essere un attore che si è dedicato con passione e professionalità al mondo dello spettacolo su diversi fronti: cinema, televisione e teatro.

In Italia c’è un vizioso pregiudizio che alimenta la pessima convinzione che un individuo possa essere solo una cosa, o attore di cinema o attore di televisione o attore di teatro, come se queste realtà potessero esistere solo separatamente. Tu avverti l’esistenza di questa distinzione? A cosa la imputi? Hai mai subìto questo pregiudizio?

giuseppe

Quella a cui fai riferimento è una distinzione che purtroppo in Italia viene fatta ancora oggi ed è difficile da togliere dalla testa degli addetti ai lavori.

Credo che, al di là dell’aspetto della comunicazione, del mercato, abbia a che vedere con una sorta di insicurezza, come se la voglia di affermarsi, di affermare il proprio lavoro, portasse i singoli colleghi, prima che gli addetti ai lavori, a creare categorie distinte.

E’ una mentalità distorta e limitativa.

Anche io ho vissuto questa situazione e forse ancora oggi la continuo a vivere in qualche modo, ma io so di aver voluto seguire un certo percorso, ne avvertivo l’esigenza.

Non è importante se faccio cinema o teatro, ma come lo faccio. Chiaramente cambiano il registro, l’approccio al lavoro, il linguaggio, la cifra interpretativa, tutte cose che fanno parte degli strumenti che ognuno ha. 

L’emergenza sanitaria legata al diffondersi del Coronavirus ha imposto la chiusura di cinema e teatri.

Tu avresti dovuto continuare una tournée di successo con lo spettacolo I soliti Ignoti, nell’adattamento teatrale di Antonio Grosso e Pier Paolo Piciarelli e tratto dalla sceneggiatura di Mario Monicelli, Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli e con la regia di Vinicio Marchioni.

Mi vuoi raccontare come avete vissuto il momento in cui avete capito che non era più possibile andare in scena?

A fine febbraio eravamo ad Ancona con I Soliti Ignoti; i primi di marzo eravamo in Puglia e avremmo dovuto fare repliche in Italia fino al 22 marzo. Abbiamo vissuto quei momenti con un grandissimo punto interrogativo.

Si trattava di combattere contro qualcosa di invisibile, la cui percezione era ancora sconosciuta, se non attraverso i drammatici episodi legati ai reali contagiati e ai reali ricoveri.

Ci chiedevamo cosa sarebbe accaduto; non pensavamo si sarebbe arrivati ad una totale chiusura. E’ stata una doccia fredda.

Credo che ognuno nel proprio lavoro abbia avuto le stesse sensazioni di incertezza e dubbio.

Ci sono altri progetti professionali a cui hai dovuto rinunciare?

zeno

In contemporanea con I soliti Ignoti ero sul set a Napoli con Serena Rossi per la fiction Mina Settembre, tratta dalla trilogia di Maurizio de Giovanni.

Dal 16 marzo sarebbe dovuto partire un altro progetto con Anna Valle. Ero riuscito a incastrare con grande difficoltà tre lavori contemporaneamente: non si pensa, ma ci vuole tanto impegno nel preparare più progetti contemporaneamente e riuscire ad incastrare tutto.  

A oggi, una delle ipotesi al vaglio è quella di riaprire i cinema e i teatri a dicembre 2020, mantenendo il distanziamento sociale. Quale pensi che sarà il futuro di cinema e teatro? Per gli attori sarà possibile girare un film mantenendo il distanziamento sociale? E recitare su un palco?

 Non è una soluzione praticabile. Per quanto si vogliano sposare tutte le tecnologie possibili, un attore vive di emozioni, di tatto, di tutte quelle componenti legate alla sfera sensoriale.

Puoi girare alcune scene, alcune sequenze, puoi creare delle situazioni ad hoc, ma non è possibile sviluppare una cinematografia o una serialità televisiva.  

Per il pubblico sarà possibile e semmai come sarà possibile mantenere il distanziamento sociale nei cinema e nei teatri?

Diventa impossibile. Il teatro già vive una stagione di crisi di pubblico. Se tu in un teatro fai entrare diciamo un terzo delle persone, non invogli le persone e ne risentirebbe il teatro in termini di rapporto costi/incasso.

Forse si potrebbero programmare due settimane per uno spettacolo anziché una, per suddividere il pubblico, ma si occuperebbe il teatro per maggior tempo e girerebbero meno compagnie.

Una soluzione potrebbe essere, secondo me, replicare lo spettacolo due o tre volte nella stessa giornata e gli attori potrebbero considerala come un’unica giornata di lavoro, accettando una paga a giornata.  

Che futuro attende i lavoratori dello spettacolo che di Arte vivono e cosa pensi lo Stato debba fare?

Foto di Massimiliano Fusco

cavalli

 Vedo che oggi i nostri politici stanno spendendo veramente pochissime parole per lo spettacolo. Penso che lo spettacolo sia legato all’intrattenimento e allo svago allo stesso modo del turismo e dovrebbe richiedere la stessa attenzione.

I seicento euro erogati dallo Stato non cambiano la vita a nessuno, non spostano gli equilibri e non danno a chi ha perso tanto la possibilità di vivere.

Una persona si assume anche delle responsabilità e dei costi in base al lavoro che fa e Lo Stato dovrebbe intervenire sulla base di ciò che ognuno ha perso. Sta poi alla coscienza di ogni singolo lavoratore sapere se ha bisogno o meno dell’aiuto dello Stato.

Certo la precarietà rientra anche un po’ nell’economia del nostro lavoro, ma in prospettiva la situazione è drammatica. Questo fermo e l’incognita su una possibile ripresa rischiano di lasciare per strada tutte le persone che lavorano nello spettacolo e le loro famiglie. Pensa anche ai festival estivi che sarebbero dovuti partire e che fanno da volano a moltissimi spettacoli.

Se si fa subito qualcosa i danni possono essere limitati, ma se lo stallo prosegue, lì diventa davvero drammatico.  

Cosa voi artisti, noi addetti ai lavori e pubblico appassionato potremmo fare per salvare il cinema e il teatro e chi ci lavora?

Noi attori ci stiamo riunendo un po’ tutti per cercare di mettere insieme  diversi tasselli e capire cosa si può fare col nostro lavoro.

Sono particolarmente sensibile a quello che è l’aspetto della categoria perché ho vissuto in passato, e non ti nascondo a volte anche adesso, dei momenti molto difficili. Se il gruppo riuscisse ad ottenere i risultati proposti, si potrebbe fare qualcosa di storico che nemmeno in passato si è riusciti a fare.

Tutto ciò può accadere solo attraverso una forte assunzione di responsabilità per la quale il problema del singolo diventa il problema di tutti, così da restituire dignità a questo lavoro e a chi lo fa. Solo così potremo essere una grandissima forza.

Io ci spero; se non accade ora non accadrà più.

Se non altro abbiamo l’obbligo morale di farlo per la futura generazione di attori.  

Cosa pensi del recente fenomeno del teatro on line? E’ fattibile un teatro fatto in questo modo?

g zeno

Non si può assolutamente fare. Non giudico chi lo fa; sicuramente il  proposito è nobile, ma crea un danno enorme alla categoria.

Quanti sono quelli che realmente possono lavorare e crearsi un indotto? Solo chi ha un seguito enorme, ma questa arte è fatta di tante persone che operano dietro e che ora stanno a casa senza a lavoro.

Se legittimiamo questa formula, si dimenticano tantissime figure professionali: trasportatori, scenografi, elettricisti, direttore della fotografia, sceneggiatori, microfonisti, attrezzisti…

Uno spettacolo teatrale, per quanto sia possibile farlo vedere attraverso una registrazione, nasce per essere visto attraverso una cornice ad occhio nudo, da quinta a quinta, da sotto a sopra.

Il teatro è fatto di tempi suoi, è fatto di sospiri, è fatto di silenzi, è fatto di sorprese, di colpi di scena, è fatto di una luce che si spegne all’improvviso. Tutti elementi che si possono godere solo dal vivo e che la televisione non può restituire.

Se si assoggettasse alle misure televisive, il teatro snaturerebbe se stesso divenendo altro.

Non sono contro ciò che fanno i colleghi, ma io, nel mio piccolo, ho scelto di non cavalcare quest’onda.

Siamo stati fermati? Allora fermiamoci. Fermiamoci anche per rispetto di chi non ha la possibilità di poter attingere ad un tipo di bacino di utenza legato ad una popolarità. Non dobbiamo far passare l’idea che l’attore possa esistere fuori da quel contesto.

Fermiamoci anche per rispetto di chi ha bar, ristoranti, cantieri a attività chiuse.

Soprattuto perché dall’altra parte non credo ci sia una seria volontà di sostenere gli attori. Molti miei colleghi sono disperati, ma questo non arriva, non si percepisce. E’una situazione molto, molto dura: parliamo di migliaia di migliaia di persone. Io, nel rispetto loro, ho deciso di fermarmi fino a che non si capirà cosa possiamo fare.  

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Danza, Interviste, Musical, Teatro, Teatro

Teatro e Coronavirus: parlano gli Uffici Stampa

 platea

Diamo la parola agli operatori teatrali liberi professionisti  il cui ruolo è forse poco conosciuto, ma tanto impegnativo quanto determinante

 

Questa sarebbe dovuta essere un’intervista ad alcuni Uffici Stampa teatrali in seguito al decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 4 marzo che decideva la sospensione degli eventi teatrali salvo che non si fossero rispettate determinate regole, tra cui la distanza di sicurezza interpersonale di almeno 1 metro (che a teatro va intesa come metro quadro, un metro per ogni lato), misura drastica che si era resa necessaria per l’evolversi della situazione epidemiologica legata al Coronavirus che sta mettendo in ginocchio il mondo intero.

L’intervista a più voci era pronta e sarebbe dovuta uscire oggi, 8 marzo 2020, ma il recentissimo nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri firmato proprio oggi e in cui si decide la sospensione degli “spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali (…)”  (art. 2, lettera b) mi ha costretto a rimetterci mano per rimodulare il discorso in base alla nuova situazione venutasi a creare con il sopra citato ultimo decreto emesso.

L’intenzione, però, è rimasta la stessa: dare voce ad una categoria di lavoratori del comparto degli spettacoli dal vivo che lavora per lo più in ombra, ma la cui alacre e continua attività è preziosa, determinante e fondamentale per teatri e compagnie.

Esce comunque oggi, 8 marzo 2020, senza farlo apposta nel giorno della Festa della donna, coincidenza appropriata visto che la grandissima maggioranza delle persone che svolgono questo lavoro sono donne. Mi sembra anche un bell’omaggio e un giusto riconoscimento a delle donne forte e indipendenti.

Hanno immediatamente risposto al mio invito Silvia Signorelli (C&S Comunicazione e Servizi, Ufficio Stampa Teatro Brancaccio, Brancaccino e Sala Umberto), Maya Amenduni (@AgenziaDiComunicazione, Giornalista e Ufficio Stampa), Mary Ferrara (Vice Presidente e Ufficio Stampa TeatroSenzaTempo), Fabiana Manuelli (Ufficio Stampa per numerosi teatri e spettacoli) e Cristina D’Aquanno (Ufficio Stampa e promozione e comunicazione del Teatro Vascello Di Roma).

Già il precedente decreto del 4 marzo aveva provocato profonda prostrazione trovando d’accordo le colleghe sulla misura adottata, ma non sulla modalità.

Quattro su cinque (Signorelli, Amenduni, Ferrara e Manuelli) hanno espresso preoccupazione per le ripercussioni pesantissime su un settore già molto provato; Maya Amenduni e Fabiana Manuelli condividono il pensiero che fosse un decreto alla Ponzio Pilato che scarica la responsabilità e gli oneri sui lavoratori del settore.

Mary Ferrara aggiunge che non estendere il decreto ad altri ambiti, limitandolo a quello artistico, sembra ridicolo. Dello stesso avviso Cristina D’Aquanno che ha definito la limitazione al settore artistico un  attacco alla cultura.

L’emanazione del decreto del 4 marzo, e sono certo ora anche quest’ultimo, ha creato un enorme caos nel lavoro di queste professioniste.

Sempre per quattro su cinque (Signorelli, Amenduni, Ferrara e Manuelli) la situazione di emergenza ha portato “un sovraccarico di informazioni immediate che sono chiaramente non considerate come un “lavoro” ed uno stress ulteriore (Silvia Signorelli)”; “a gestire una situazione di emergenza in cui ogni informazione deve essere ben calibrata e gestita con la massima accortezza, ogni parola pesata, ogni azione ben ponderata (Maya Amenduni); il lavoro di mesi vanificato e senza più certezze lavorative (Fabiana Manuelli)

Ancora diverso il punto di vista di Cristina D’Aquanno: “Nessun caos, uso i miei mezzi ora per avvertire più persone possibile della vera minaccia: la solitudine. Restando soli e chiusi in casa il cervello non si connette più e non riceve più stimoli e informazioni e piano piano si spegne (…)”

A questo punto, credo davvero che le risposte fornite alle successive domande, valgano ancora, e forse di più, in seguito al nuovissimo decreto di oggi.

Alla domanda Ora chi penserà al sostentamento di tutti i lavoratori del Teatro? le colleghe sono tutte d’accordo nell’affermare che non ci sarà da parte dello Stato alcun tipo di sostegno per la categoria dei lavoratori dello spettacolo (ricordo che lavorano tutti a partita Iva), riscontrando in questo, evidentemente, un’enorme ingiustizia.

Cristina D’Aquanno ravvisa addirittura “l’inizio di una destabilizzazione che parte dalla cultura per disperdere i popoli e il potere che genera l’unità delle menti”

Cosa sarebbe auspicabile che il Governo facesse?

Anche a questa domanda la risposta è unanime: si dovrebbe sostenere ed aiutare innanzitutto i produttori ed i gestori dei teatri senza i quali nessuno può lavorare: attori, registi, personale di scena, botteghino, tecnici, mascherine ed anche uffici stampa che sono sempre i fanalini di coda.

Servono interventi, fondi straordinari, ammortizzatori sociali, credito d’imposta per gli investimenti; forme di tutela per i lavoratori che  si sono visti saltare spettacoli, tournèe. Si dovrebbe pensare a un fondo straordinario per tutto il settore dello spettacolo, ma soprattutto per quei musicisti, attori, danzatori che non hanno i contributi di disoccupazione assicurati.

“Un governo con la G maiuscola dovrebbe pensare e sapere che la cultura è alla base della civiltà” – Silvia Signorelli

“La cultura paga sempre, in un paese come il nostro dovrebbe essere tenuta sotto stretta considerazione e non come ultima ruota del carro.” Mary Ferrara

Per Cristina D’Aquanno lo Stato dovrebbe solo “Dire la Verità”

Alla domanda su cosa pensano di fare ora con questa battuta di arresto forzata, se recuperare progetti accantonati o porre  le basi per nuovi progetti le risposte sono tutte all’insegna della propositività, senza lasciarsi andare o arrendersi (gli uffici stampa sono abituati a fare, disfare, ricominciare, mettere in discussione, recuperare, ripartire, ricostruire).

Sicuramente si perderanno moltissimi lavori e moltissimi soldi

“(…) ma sono da sempre abituata a reinventarmi e andrò avanti, sempre a testa alta, senza compromessi e senza aiutini…” – Silvia Signorelli

“Alcuni progetti saranno recuperati, altri purtroppo no. Ai nuovi progetti non bisogna rinunciare e forse in un momento così difficile,  al netto di questo decreto all’italiana e dell’assenza del teatro dal discorso pubblico (…) l’unica cosa da fare è quella di utilizzare questa sospensione obbligata per studiare, leggere e pianificare i nostri progetti.” – Maya Amenduni

“C’è intenzione di prendere spunto da questa inattività per creare rete. Ora più che mai, l’unione fa la forza.” – Mary Ferrara

“Per quel che mi riguarda, mi voglio concentrare sui prossimi eventi già fissati – che sono tanti – nella speranza che tutto ciò passi presto. Voglio essere fiduciosa.” – Fabiana Manuelli

“Porrò le basi per nuovi progetti, ora più che mai si conferma l’evidenza che vogliono sconnettere i popoli tra loro, le famiglie tra loro, i singoli individui tra loro. (…)” – Cristina D’Aquanno

Pur non essendo in grado di fare previsioni, ho chiesto loro quali pensano saranno le conseguenze a breve termine e quali quelle a lungo termine.

Di nuovo quattro voci concordi nell’affermare che le perdite economiche saranno pesantissime e non si limiteranno al mese di fermo, ma faranno sentire i loro effetti per moltissimi mesi. Fermare la stagione ora, significa che la stessa è terminata. Le ricadute economiche saranno drammatiche. Solo alcuni, pochi, spettacoli, potranno essere riprogrammati e sarà anche necessario convincere il pubblico a tornare a teatro.

“Sto già pensando a modelli di comunicazione che portino a stimolare un pubblico che sarà in parte difficile da far riavvicinare al teatro. Perché anche quando questo incubo finirà, ci porteremo dietro qualche trauma” – Mary Ferrara

Diverso il messaggio di Cristina D’Aquanno che invita “(…) tutti a fare un lavoro di introspezione e di preparazione spirituale (…) purificare l’anima e prepararsi a difendersi culturalmente documentandosi e potenziare il senso critico.”

Quindi, ho chiesto, quando tutto questo sarà finito, cosa aspetterà a tutti i lavoratori del settore?

Oltre al coraggio e al rimboccarsi le maniche è bello che ci sia la consapevolezza, da me sempre sostenuta e difesa, di fare finalmente rete.

“Sarà un periodo durissimo sicuramente ma possiamo e dobbiamo recuperare forze e volontà, serietà e professionalità”. Mi piacerebbe che per una volta si pensasse tutti insieme, si agisca e si reagisca in modo unitario senza pensare al proprio orticello ma guardando al futuro del teatro italiano che ci coinvolge tutti e non cercando di trovare le sovvenzioni e gli aiuti solo per la propria categoria o per il proprio teatro. Altrimenti saremo ancora e sempre una categoria di opportunisti e di presuntuosi che barcolla e annaspa perché incapace di una costruttiva e seria rinascita” – Silvia Signorelli

“Tanto coraggio e voglia di non farsi sopraffare” – Maya Amenduni

“Di rimboccarsi le maniche, ma siamo abituati. Di reinventarci forse e di fare ammenda su una cosa: è ora di dare una dignità professionale a questo settore. Un messaggio che una volta per tutte deve arrivare chiaro a istituzioni e pubblico (…). – Mary Ferrara

“Noi siamo abituati a non fermarci mai: siamo già pronti a ripartire, rimboccandoci le maniche e facendo meglio di prima.” – Fabiana Manuelli

“Un rinnovamento come la Fenice, abbiamo nuovi e multipli orizzonti da raggiungere attraverso l’immaginazione e l’esperienza acquisita a teatro, per ricostruire, conservare e proteggere il gioco dell’arte teatrale ovunque saremo.” – Cristina D’Aquanno

Ringrazio queste professioniste del settore spettacolo per la cura e la dedizione che mi hanno fornito nell’approfondire le conseguenze sociali ed economiche di questa nuova situazione di emergenza.

Silvia Signorelli

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Maya Amenduni

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Mary Ferrara

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Fabiana Manuelli

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Crisitina D’Aquanno

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         Chi volesse rispondere o aggiungere qualcosa potrà farlo contattandomi direttamente.

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