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Interviste, Musical, Teatro, Teatro

Intervista ad Andrea Palotto e Marco Spatuzzi

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Andrea Palotto torna alla regia con uno spettacolo che già tre anni fa ottenne un grande successo e che è tanto atteso dal pubblico che è desideroso di rivederlo: L’Ultima Strega, che torna in scena, con un cast in parte rinnovato, al Teatro Brancaccio di Roma.

L’Ultima Strega è il racconto romanzato della vera storia di Anna Goeldi, personaggio realmente esistito che fu l’ultima donna ad essere bruciata perché ritenuta una strega.

E’ un musical particolare nella sua struttura, potremmo dire anomalo, sicuramente moderno e che spezza gli schemi a cui lo spettatore è anche troppo abituato, intessendo tra loro una serie di storie dai molteplici risvolti.

E’ stato definito un musical drama, ovvero un racconto drammatico in musica. E’ vero, infatti, che, come per tutte le altre opere di Andrea Palotto (autore e regista) qui la musica è parte stessa della narrazione: non serve a spezzare, ma, anzi, è integrazione e prosecuzione del recitativo.

Data la struttura inusuale e moderna delle opere di Palotto (Lady Oscar, Non abbiate paura, Processo a Pinocchio…) sempre fortemente caratterizzata da un impianto musicale originale e di alto livello, ho voluto incontrare gli autori del testo e delle musiche, Andrea Palotto e Marco Spatuzzi, per conoscere meglio le origini di questo spettacolo.

Ho avuto il piacere di incontrare e intervistare Andrea Palotto e Marco Spatuzzi in occasione dell’allestimento dello spettacolo a Roma al Teatro Brancaccio.

Ecco qui il resoconto della nostra chiacchierata.

La tessitura musicale e le liriche de L’Ultima Strega sono esse stesse narrativa, come sempre negli spettacoli di Palotto.

Da dove nasce l’idea di questo spettacolo? Perché avete scelto questo soggetto?

Andrea:

Questo spettacolo nasce poco più di tre anni fa per volere di Marco (Spatuzzi). Mi contattò perché aveva in mente questo spettacolo sul personaggio storico di Anna Goeldi, l’ultima donna mandata a morte per stregoneria.

All’inizio ho provato una certa resistenza, perché trovavo l’argomento molto cupo. Poi ho ascoltato il primo brano che aveva composto, che poi è diventato il finale del primo atto e ho realizzato che collaborare con lui, con il quale ancora non ci conoscevamo, poteva essere un’ottima opportunità. Allora mi sono messo lì a cercare di capire come potessimo raccontare questa storia romanzandola un po’ e farlo diventare uno spettacolo che avesse non solo delle corde drammatiche, ma spaccarlo un po’ creando una sorta di romanzo-commedia brillante. Ci siamo messi a lavorare ai primi brani e al copione e nel giro di qualche mese è nata la prima bozza che ha portato, poi, alla prima rappresentazione.

Marco, come sei arrivato a voler scrivere musica intorno a un personaggio come Anna Goeldi?

Marco:

In realtà è uscita fuori quasi per caso perché cercavo personaggi storici, quindi realmente esistiti, in quell’epoca, ma per un altro tipo di storia. Io non sapevo nulla di lei, ma lessi la biografia e approfondì le notizie su di lei anche attraverso la visione di un film che esiste solo in lingua originale, un film lentissimo, molto particolare, Letzte Hexe, L’Ultima Strega appunto.

La sua storia, talmente particolare e coinvolgente, per certe cose moderna, mi ha stregato realmente e ho pensato di raccontarla. Ne ho parlato con Andrea, l’abbiamo letta ed effettivamente la storia di Anna Goeldi, che Andrea ha in parte ritoccato, è talmente ricca di spunti che ci ha coinvolto pienamente.

Andrea:

Sì, aveva dei legami con tanti aspetti della modernità. Non è solo la storia di una donna mandata a morte per stregoneria, ma la storia di una donna che viene infamata solo perché diversa dagli altri, solo perché la sua vita non era come quella di tutti gli altri, e questa modernità ci ha affascinato, anche per un forte potere di riconoscimento da parte del pubblico come qualcosa di attuale e quindi per il potere di immedesimazione.

Marco:

Ci sono temi fondamentali come la discriminazione verso lo straniero, chi viene da fuori, chi non si conosce; c’è la manipolazione delle menti attraverso l’ignoranza, infatti il protagonista maschile sfrutta l’ignoranza del popolo per i propri scopi, manipolando e utilizzando le persone come burattini a piacimento; l’esercizio del potere; la purezza della semplicità rappresentata dal fornaio; c’è l’amore filiale; l’amore innocente e puro tra due giovani. Ci sono tanti temi molto importanti che ci hanno portato a scegliere questa storia, tanti spunti musicali che mi hanno colpito a livello emotivo. Da questo punto di vista, come ispirazione, come stimolo, è stato molto facile, come realizzazione un po’ meno. Se c’è una cosa che mi accomuna ad Andrea (Palotto) è una certa modalità di creare gli spettacoli: noi amiamo spettacoli, musical molto teatrali, storie che sono molto intrecciate nella narrazione. Non ci piacciono i momenti canzone, pur rendendoci conto che questo può non piacere a tutti.

Però L’Ultima Strega non è un Musical convenzionale. Come nasce la matrice musicale?

Marco:

Con Andrea ne abbiamo parlato tanto: le idee musicali iniziali le abbiamo adattate alla storia. Secondo noi, per rendere al meglio la parte drammatica di questa storia, quasi tutti i brani, infatti, sono legati alla parte drammatica, questo tipo di musicalità era l’unica via, per non creare solo dei quadri musicali, ma una tessitura che fosse testo, drammaturgia. Abbiamo pensato a come intrecciare la musica nella narrazione senza rompere gli equilibri.

Voi parlate di storia cupa e drammatica, ma in realtà la musica non è così cupa: si ritrovano diversi stili e una partitura ricca, variegata, che prevede anche parti concertistiche e polifoniche e che nel complesso può essere definita epica.

Andrea:

Sì. C’è la solennità, c’è l’epicità di alcune musiche. C’è, poi una parte più brillante. E’ abbastanza vario. Marco ha un suo grandissimo stile e mantiene in esso molti colori: non si ferma su un colore unico ed è quello che ci piace delle storie che creiamo insieme. Spesso e volentieri ci piace raccontare un sorriso con una lacrima e una lacrima con un sorriso e questo succede anche col carattere musicale.

Io lo definisco un thriller a carattere musicale che contiene in sé tante sfumature.

Guardando lo spettacolo e parlando con i protagonisti è venuto fuori un elemento molto interessante, ossia il fatto che la storia raccontata è suscettibile di diverse interpretazioni o punti di vista da cui può essere analizzata. E’ un intreccio di storie che raccontano modi diversi di vivere la stessa realtà.

Andrea:

Per quello mi trovo bene con Marco. Quando descrivo il suo stile musicale e dico che è pieno di colori è perché è la stessa modalità che poi piace a me nel raccontare le cose nel romanzo che scrivo. Tendenzialmente, sia in scrittura che in regia, non mi piace mai concludere: non do una visione univoca e assoluta delle cose, ma mi piace che il pubblico possa dare una sua interpretazione dei fatti, tant’é che lasciamo sempre aperte delle interpretazioni, ognuno può spiegarsi i fatti in una maniera o nell’altra, si crea un confronto e si crea un continuum di un discorso autorale nelle riflessioni del pubblico.

Un modo sicuramente originale, inusuale e molto moderno che stimola la curiosità e l’interesse dello spettatore. Le storie di Palotto, infatti, sono sempre suscettibili di interpretazioni diverse.

Andrea:

Ci piace raccontare l’imprevedibilità della vita.

Marco:

Raccontiamo storie che possono avere mille interpretazioni.

Quindi, Andrea, anche nella scrittura tu non hai acquisito un tuo punto di vista?

Andrea:

Esatto. Ogni volta mi metto nei panni del personaggio di cui scrivo. In fase di scrittura cerco di avere un punto di vista sempre diverso a seconda del personaggio.

Aallora nella tua testa non c’è l’idea di raccontare un’unica storia.

Andrea:

No, non rispetto schemi. Seguo un istinto emotivo: scrivo la storia e poi va avanti da sé. Metto un inizio e poi un punto alla fine, ma questo è opinabile, suscettibile di slittamento a seconda degli stimoli che poi arrivano. In mezzo, accade una storia. Collaborando, poi, capita che partiamo in un modo, poi in scrittura diventa altro, perché ci stimoliamo a vicenda.

Marco:

Guarda la chiave l’ha detta prima: andiamo molto a livello istintivo ed emotivo. Non abbiamo strutture fisse.

Andrea:

Poi noi creiamo dei gruppi di lavoro. Questi spettacoli hanno una gestazione molto lunga perché creiamo dei gruppi di lavoro per testare le cose. Il lavoro autorale continua; in fase di regia poi il lavoro prosegue continuamente e questa è una cosa bella del lavoro che facciamo perché alla fine si lega tutto.

Se non avete mai assistito ad uno spettacolo di Andrea Palotto, spero che queste parole vi abbiano messo curiosità.

Se, invece, già avete avuto modo di apprezzare il suo lavoro, con questa intervista avete avuto modo di approfondire un po’ la genesi drammaturgica e musicale di questo bellissimo spettacolo. A qualunque delle due categorie apparteniate, L’Ultima Strega vi aspetta al Teatro Brancaccio dal 27 ottobre al 6 novembre 2016 per affascinarvi con la sua storia e le sue melodie.

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   Andrea Palotto                                                  Marco Spatuzzi

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Eventi, Interviste, Teatro, Teatro

Intervista a Luca Andreini per Rumoroso Silenzio.

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Rumoroso Silenzio, lo spettacolo scritto e diretto dal giovanissimo Luca Andreini, oggi diciannovenne, si afferma come l’evento teatrale e sociale di questo anno 2016. Uno spettacolo che nasce da un progetto condiviso e vissuto appieno sin dall’origine da un gruppo di giovanissimi professionisti, che costituiscono la produzione e accademia di forme sceniche più giovane d’Italia.

Teatro Nuovo di Bergamo, TNB, è il nome di questa produzione che, sostenuta dal patrocinio di Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato 10 febbraio, Università Degli Studi Di Bergamo, Provincia di Bergamo, Camerca di Commercio di Bergamo e Comune di Seriate, e che vede come contribuente la Fondazione della Comunità bergamasca, ha debuttato con Rumoroso Silenzio il 12 febbraio 2016 al Gavazzeni di Seriate (BG) registrando un sold out già settimane prima della data e girando, poi, per diversi teatri del nord Italia confermando un grandissimo successo di pubblico e critica: 6000 spettatori sui 6525 posti disponibili in sette date.

Rumoroso Silenzio è uno spettacolo dal profondo valore storico, civile, sociale ed estetico, che spazia tra narrazione, figura ed arti visive, ambientato nel contesto dell’esodo degli Istriani Fiumani e Dalmati, strage italiana del ‘900 da più di sessant’anni dimenticata.

Rumoroso Silenzio, però, non è il mero racconto di una tragica verità storica, bensì una richiesta d’amore contestualizzata in un certo periodo storico.

Parliamo di questo spettacolo e della sua genesi direttamente con l’autore e regista, Luca Andreini.

Luca, hai cominciato a scrivere testi teatrali molto precocemente, a quindici anni, un’età nella quale di solito i ragazzi pensano a tutt’altro che all’impegno civile. Cosa scatta nella testa di un ragazzo così giovane che prende questa strada?

Prima di Rumoroso Silenzio ho scritto tre spettacoli, ma questo è il primo a livello professionale. Il mio è stato inizialmente un caso isolato. Tutto è nato da un bisogno di fare qualcosa per me stesso, sollecitato dalla forte necessità di trovare un riscatto nei confronti di un impegnativo, seppur giovane, passato che già tanto aveva inciso sulla mia sfera emotiva.

L’idea era quella di allestire uno spettacolo teatrale: guardando le società e le compagnie con cui già mi muovevo e avvertendo l’assenza di alcuni elementi per me fondamentali, il mio bisogno di riscatto personale si è tramutato nel bisogno di fare qualcosa per gli altri, nel voler prendersi cura della gente.

Ripeto sempre in prova a tutti di mettere al centro la gente, che è quella che ci dà soddisfazione.

Teatro Nuovo di Bergamo, TNB, è la produzione che hai fondato insieme ad un gruppo di altri giovanissimi ed è stata riconosciuta come la realtà più giovane d’Italia.

Sì, siamo una compagnia, ma, più esattamente, ci siamo costituiti come produzione di forme sceniche: in ogni lavoro che decidiamo di mettere in scena partiamo dalle forme sceniche ponendo alla base la prosa e affiancando poi danza, attorialità e musica, cercando di unire tutto in un prodotto omogeneo.

Teatro Nuovo di Bergamo consta di 12 artisti e alcuni elementi che fanno parte dell’apparato organizzativo. Questa realtà, riconosciuta come la realtà più giovane d’Italia, esiste ed opera a livello indipendente da quando ho 15 anni, quindi da  quattro anni, anche se giuridicamente è stata costituita da un anno e mezzo.

Rumoroso Silenzio “racconta le vicissitudini di una coppia di amanti, Ferdinando e Norma, le cui vite, intrecciandosi con l’inesorabile scorrere della storia, diventano il simbolo del disperato tentativo di salvare il proprio amore, la propria giovinezza e la propria identità di italiani. Nello spettacolo l’orrore delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata confluisce nella vita dei due protagonisti sotto forma di perdita, di perdita della propria vita, della propria nazionalità, della propria identità, delle proprie cose, delle proprie case”.

Sembra chiaro da queste tue parole, che Rumoroso Silenzio non sia uno spettacolo sulle foibe, come in molti hanno erroneamente sostenuto, ma una storia d’amore in un dato periodo storico.

Esatto, l’intenzione non era quella di raccontare le foibe, ma raccontare una storia di due giovani che vivono in quel momento storico. L’intento era quello di parlare di identità, di radici e di un senso di riappacificazione col passato, che si collega al senso della costituzione di questo gruppo di lavoro.

Lo spettacolo è stato ideato per parlare di questo: avevamo deciso di mettere in scena una storia d’amore che noi definiamo, più esattamente, una richiesta d’amore al mondo. Sono diversi i personaggi che, senza dirlo, ma facendolo capire, chiedono qualcosa al pubblico, alla gente. Non sapevamo come farlo: è difficile creare una simile suggestione con la sola fantasia. Per una storia che parlasse di questo abbiamo deciso di appoggiarci ad un contesto storico e valutandone alcuni è venuta fuori la possibilità di utilizzare questa situazione storica che non conoscevamo. Ci siamo addentrati nella materia, abbiamo studiato questa vicenda  che mi ha appassionato ancora di più e le due cose, la richiesta d’amore e l’ambiente storico, si sono unite, ma l’intenzione iniziale non era di parlare di questa storia qua perché non la conoscevamo.

In quel periodo stavo leggendo un libro di Gianni Oliva che raccontava in parte questa vicenda; ho scoperto poi che ne aveva scritti altri più mirati e precisi sempre su questo argomento e ho avuto un primo approccio. Poi, poiché non mi bastava, ho cominciato a viaggiare e a sentire i racconti della gente approfondendo meglio la tematica con incontri mirati e sono andato avanti. Sono successe poi tante cose, ho avuto tante possibilità: ho scoperto  che c’era un altro lavoro che parlava di questi argomenti, quello di Simone Cristicchi, anche se lo spettacolo non ha nulla a che vedere con il lavoro, di successo, di Cristicchi; poi sono stato a Trieste e ho parlato con tanta, tanta gente.

E’ curioso e bello il fatto che parli sempre al plurale. Domanda provocatoria: chi è l’autore di Rumoroso Silenzio?

Ho scritto io questo spettacolo dal momento in cui sono venuto a conoscenza di questa realtà storica. Però, da quel momento lì in poi, siccome per mia filosofia non voglio fare tutte le cose da solo, essendo legato alla realtà del gruppo, ho coinvolto subito gli altri e ci siamo messi a studiare la vicenda insieme, nonostante il testo fosse già completo e compiuto. Nonostante lo abbia scritto e diretto io, questo progetto è nato da un bisogno condiviso.

Hai appena detto che l’intento era quello di parlare di identità, di radici e di un senso di riappacificazione col passato. Quando parli di identità, cosa intendi: un’identità personale o nazionale?

Entrambe le cose con decisione. Si parlava di identità personale innanzitutto e poi, visto il contesto storico, è normale che si estenda anche a quel tipo di amore e di identità.

Infatti nello spettacolo i due tipi di identità emergono allo stesso modo: non c’è un tipo di identità che emerge di più rispetto all’altro.

Come avviene questo processo di riappacificazione col passato e di conquista di un’identità? Quali strumenti vengono offerti al pubblico?

Lo spettacolo si alterna tra presente e passato: la storia d’amore nasce dal racconto di un personaggio che per molti è stato il custode di un magazzino (anche se in scena è un luogo indefinito, un cumulo di sedie che diventano tante cose). Lo spettacolo prende avvio dal racconto di questo custode che comincia a narrare la storia degli oggetti che lo circondano; da questo racconto parte un flash inarrestabile che va a guardare al passato e si comincia a raccontare la storia di questi due personaggi attraverso queste sedie, attraverso gli oggetti, attraverso i significati di memoria, questi oggetti che ritornano in vita e diventano persone. A inizio spettacolo c’è un momento identificato come nascita che rappresenta appunto le persone che escono dagli oggetti e ritornano ad essere se stesse grazie a questo racconto.

I due personaggi sono spinti da due desideri: Norma, la protagonista femminile, vuole scappare nell’immediato da questa situazione che attanaglia l’Istria, mentre Ferdinando vuole rimanere perché vuole portare via con sé tutte le sedie, i mobili e le suppellettili in scena. Nel finale di spettacolo troviamo i due personaggi insieme: Ferdinando abbandona per un attimo la compagna per recuperare alcune delle sedie dimenticate prima di partire e si capisce, attraverso giochi di ombre, che la ragazza, rimasta sola, viene rapita e uccisa.

Dopo questa uccisione, tutt’altro che cinematografica, rappresentata dalla potenza delle arti visive, si ritorna al presente e ritroviamo il custode dell’inizio che svelerà di essere nientemeno che Ferdinando anziano, il quale, per far pace col suo passato e perdonarsi l’errore di essere andato via preferendo la sedia alla compagna, ha fatto da custode agli oggetti della sua compagna per sessant’anni.

Trovo in tutto questo una forma alta di poesia. Mi pare di capire che sia dato grande valore al senso estetico. Sono curioso di sentire il testo.

Sì, l’elemento estetico è fondamentale, ho dato prevalenza a questo. La drammaturgia è volutamente  invadente, nonostante la poesia ponderata, per un contesto storico così delicato.

Quello che abbiamo cercato di fare, è stato proporre uno spettacolo non per le persone direttamente interessate o che hanno vissuto questa esperienza, ma abbiamo cercato di fare una cosa totalmente diversa e di farlo per chi solo conosceva o nemmeno sapeva. Anche se trattiamo di un contesto storico pesante e importante, abbiamo concentrato le intenzioni sulla poesia, sul discorso dell’identità e sulla bellezza dello spettacolo.

Ci sono parti musicali o un sottofondo musicale?

C’è un musicista che suona dal vivo creando in sottofondo alcune atmosfere e due danzatrici di teatro danza che riempiono la scena nei momenti di coralità: tutto avviene spesso in contemporanea all’azione degli attori.

Come abbiamo già sottolineato, siete la compagnia più giovane d’Italia: vi siete ritrovati in 12/15 ad avere interessi comuni molto forti. Come pensi di avvicinare i giovani ad uno spettacolo simile? Come gli altri giovani possono ritrovarsi in questo spettacolo? Quale è la chiave per arrivare a loro?

Quello che abbiamo cercato di fare quando abbiamo creato non lo spettacolo, ma il pacchetto spettacolo, siccome era molto complicato arrivare con delle parole dello spettacolo e con gesti di quel tipo a dei giovani, perché c’era sempre in ballo il contesto storico, è stato coinvolgerli partendo delle  scuole attraverso tante iniziative che ruotano attorno allo spettacolo stesso, portando sul palco tantissimi ragazzi prima degli spettacoli, tantissimi dopo,  alcuni anche durante lo spettacolo, organizzando molti momenti di incontro, open day di montaggio, prove aperte, tavoli di discussioni universitari, arrivando a portare in scena spettacoli visti da dietro le quinte per far apprezzare il mondo del Teatro. Si è provato a fare qualcosa di diverso per il teatro, cioè rendere virale un prodotto teatrale.

In parte ci siamo riusciti con queste iniziative, in parte con lo spettacolo: vedere ragazzi giovani sul palco che fanno e dicono determinate cose, sprona anche gli altri a provarci. C’è stata una grandissima partecipazione e desiderio di essere coinvolti.  

C’è stato un eccellente riscontro e siamo molto, molto soddisfatti. C’è stata una partecipazione degli studenti molto attenta e coinvolta e molta curiosità nel sapere come ci si organizza, a quali rischi siamo andati incontro e come si fa.

Voi avete girato il nord…

Io ero molto preoccupato, non sapevo come sarebbe andata questa esperienza. Mi sono detto: “proviamo! Facciamo sette, otto date di prova e vediamo la risposta, per poi costruire qualcosa quest’anno 2017”.

Quale futuro desidereresti per questo spettacolo?

Mi piacerebbe molto che passasse attraverso le scuole. E’uno spettacolo che per come è costruito e per le strategie utilizzate per arrivare ai giovani  può entrare nel circuito del, diciamo così, teatro ragazzi.

Nel contesto delle scuole darebbe maggior stabilità per altri progetti, potremmo andare avanti. Ci stiamo lavorando.

Eppure lo spettacolo ha avuto tantissima risonanza a livello nazionale.

Sì, però è una cosa che, come tutte le cose di quel genere, lasciano il tempo che trovano.

A livello teatrale è un periodo complicato. E’ come muoversi nelle sabbie mobili: fai tanto, ma continui ad andare a fondo. E’ difficilissimo, soprattutto qui dove la dimensione teatrale non è felice.

Purtroppo ci siamo trovati a dover collaborare con quelle che si sono rivelate le istituzioni teatrali del momento e che si occupano di prendere decisioni anche per conto degli artisti; così, anche le cose belle fatte con sacrificio rischiano di arenarsi. Quello che è successo è una cosa grandissima che ho cercato di sfruttare al meglio. Essere una realtà indipendente ha richiesto un doppio sforzo, ma è stato motivo di orgoglio e spunti. Nonostante il prodotto sia già stato veicolato è difficile sopravvivere come produzione indipendente quando ti vai a relazionare con realtà grosse. Però siamo proiettati alla prossima stagione. Abbiamo istituito una segreteria speciale per lavorare sulle date dell’anno prossimo e riprenderemo a  fine settembre da Milano.

Non ha in cantiere nulla di nuovo? Dì la verità, perché se rispondi di no non ci credo.

Abbiamo un’idea grande più di questa per il 2018: vorremmo uscire cercando collaborazioni importanti per ascendere al gradino successivo. Vorremmo rivisitare e attualizzare la storia di Cenerentola nel periodo della prima guerra mondiale. Scritto in parte da me, in parte da altri.

Inoltre posso dirti che Rumoroso Silenzio diventerà un libro! E’ un caso anomalo: di solito, infatti, sono i romanzi a diventare copioni, invece in questo caso il copione diventerà un romanzo. Lo sto già scrivendo.

Ringrazio Luca per questa bellissima chiacchierata e direi che a questo punto non possiamo sottrarci dalla necessità di assistere a questo spettacolo che nella prossima stagione toccherà altre città italiane. Nel frattempo, aspettiamo il libro!!!

 

 

TNB/TEATRO NUOVO DI BERGAMO

Produzione ed accademia di forme sceniche

IGSFA GROUP PRODUCTIONS

Di: Andreini Luca

Info: ufficiostampa_igsfa@libero.it

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Facebook: https://www.facebook.com/igiovanisannofarearte

 

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Intervista ad Antonio Melissa per Amalfi

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Antonio Melissa studia pianoforte e canto e si esibisce con diverse cover band aggiudicandosi vari premi in concorsi canori e manifestazioni nazionali. Si appassiona successivamente alla danza, maturando presto una forte passione per il Musical Theatre.

Conferisce il Diploma Accademico presso il Lim – Laboratorio Ials Musical e successivamente approfondisce lo studio della recitazione all’Accademia di Arti Drammatiche Teatro Senza Tempo. Segue numerose Masterclass e Laboratori con grandi professionisti del settore.

Dopo diverse esperienze lavorative che lo vedono coinvolto in corti, videoclip e programmi televisivi, esordisce come autore e regista oltre che interprete con l’opera “Zero”

Entra a far parte della compagnia new generation per la Tournée del Musical “Forza Venite Gente” regia M.Paulicelli, nel ruolo di capo arabo.

E’ autore e regista del Musical Snoopy Show; recita a fianco di Ivana Monti ed Enzo Garinei; è protagonista del dramma Around Macbeth ispirato all’opera Shakespeariana.Sperimenta il teatro danza in diversi spettacoli ispirati alle Opere Dantesche e con spettacoli sperimentali come “Silent Movie Ghost” di Mino Freda.

Attore professionista, docente di movimento scenico alla DAREC, insegnante di recitazione presso la Danzarmonia Academy di Roma diretta da Sabrina Moranti, è stato protagonista e aiuto regista in “Uomo Tra Gli Uomini – Cos’è la santità se non un sì”, scritto e diretto da Sabrina Moranti e andato in scena al Teatro Sistina il 25 e 26 aprile scorsi.

Attualmente Antonio è protagonista di Amalfi Musical, spettacolo che sarà in scena fino ad ottobre nella suggestiva cornice dell’Arsenale della Repubblica di Amalfi e in altre location circostanti.

E’ proprio di questo spettacolo che parleremo nell’intervista.

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Antonio, ho avuto occasione di intervistare Ario Avecone, autore e regista di Amafli Musical che mi ha raccontato come sia nata l’idea di questo spettacolo, il cammino che ha fatto e la sua struttura.

Tu in Amalfi Musical sei il protagonista, che si chiama come te. Raccontami questa esperienza.

Sono entrato quest’anno nel cast a seguito di audizioni che si sono tenute a livello nazionale e che hanno ottenuto un buon riscontro con aspiranti provenienti da tutta Italia.

Io ho il ruolo del protagonista che si chiama Antonio; per la verità mi alterno nel ruolo con Ario, anche se prendo parte alla maggior parte delle repliche.

Antonio è un bel personaggio; è l’eroe della storia, un cavaliere amalfitano che torna a casa dopo un periodo nel Ducato di Napoli e trova la sua città cambiata, non più spensierata come prima, ma sotto il dominio longobardo e l’assedio saraceno.

Ritrova i suoi amici, Ottavio (Jacopo Siccardi) e Carlo (Michelangelo Nari/Pasquale Raia), con cui decide di organizzare una rivolta per liberare la città e ritrova l’amore di una volta, Giovanna (Martina Cenere/Myriam Somma), la protagonista femminile della storia.

Antonio è un uomo dai nobili valori, uno spirito audace, esperto del combattimento a corpo e con le armi. Nello spettacolo ci sono molti combattimenti; quello finale con la spada è molto avvincente e la gente indietreggia per paura di essere colpita. 

So, infatti, che lo spettacolo è molto fisico e interattivo in qualche modo.

Sì, ci sono diversi combattimenti sia a corpo che a spada nei quali c’è una verità scenica molto forte: ci colpiamo realmente, non possiamo fingere tanto le botte. Certo le botte sono ovviamente trattenute, esercitando anche una resistenza muscolare, ma le spade sono vere, pesanti. E’ tutto molto avvincente.

Da parte del pubblico, che è dentro la scena a pochi centimetri da noi, c’è grandissima partecipazione: la gente entra in questo mondo. L’Arsenale è già un set storico bellissimo che rapisce lo spettatore. In più, poi, grazie all’atmosfera creata con gli effetti, le luci magnifiche e gli attori in costume, si compie davvero un viaggio indietro nel tempo.

Ci sono poi anche interventi diretti sul pubblico, durante l’assedio saraceno, in cui alcuni spettatori vengono presi in ostaggio e minacciati con tanto di pugnali: è, quindi, uno spettacolo interattivo e avvincente.

E’un lavoro proprio bello. Anche se io ricopro il ruolo del protagonista, in realtà siamo tutti protagonisti. Ne escono tutti vincenti, è uno spettacolo abbastanza equilibrato nei ruoli e sono tutti ottimi ruoli. 

 

Come ti sei preparato a questo personaggio? Hai dovuto imparare a tirare di scherma?

In realtà, avevo già una preparazione: ho fatto scherma e ho già interpretato coreografie con la spada medievale perché ho ricoperto un altro ruolo in cui utilizzavo la spada.

Anche Jacopo Siccardi è molto preparato: ha fatto scherma a livello agonistico e insieme riusciamo a costruire nuove coreografie di combattimento. Capita, infatti, che apportiamo delle varianti a seconda degli spazi in cui ci esibiamo. 

Hai dovuto togliere qualcosa di te per affrontare questo personaggio?

In effetti mi hanno quasi sempre dato ruoli da cattivo o personaggio ambiguo: sono stato Scar ne Il Re Leone,  un Cappellaio Matto molto pungente ne Il Mondo di Alice, Il Male in Uomo tra gli Uomini.

Qui, invece, sono l’eroe buono, quello che perdona: il mio personaggio, infatti, si trova a vivere anche il tradimento dell’amico Carlo.

Antonio è un uomo di nobili valori, non si sporca mai del sangue di nessuno nonostante i combattimenti.

Cosa, invece, hai portato di te nel personaggio?

Di me ho portato tutta la dimensione fisica, di movimento, tutta la dinamica corporea. Insegnando biomeccanica e dinamica teatrale in fin dei conti mi sono trovato anche facilitato nei movimenti, negli spostamenti anche scenici, non solo nei combattimenti a corpo e con la spada. Essendo una location molto particolare, non c’è un palco, abbiamo uno sviluppo enorme di spazio. Il fatto di avere questa preparazione fisica mi ha aiutato parecchio. 

Cosa mi dici per ciò che riguarda la vocalità?

Amalfi Musical è uno spettacolo molto cantato e, quindi, anche il mio personaggio canta molto: nei reprise, nei duetti e anche nelle canzoni corali.

Su questo fronte c’è stato uno studio molto attento per soddisfare una visione precisa che Ario già aveva e riuscire ad esprimere quello che voleva anche nella dimensione vocale di Antonio. 

Con Ario ho parlato della impostazione musicale di questo spettacolo? Tu cosa mi dici?

Amalfi Musical tocca l’opera, seppur sfiorandola, e si potrebbe definire un’Opera Musical.

Se proprio volessimo provare a fare un confronto, potrebbe avvicinarsi, a livello musicale, a Notre Dame de Paris.

La musica rapisce, è una partitura molto bella, con tanti reprise e molti motivi utilizzati anche come sottofondo musicale al recitato.

E’ davvero poco lo spazio non musicale.

Quali altre caratteristiche fanno di questo musical uno spettacolo da non perdere?

Amalfi Musical è uno spettacolo veramente bello; un atto unico senza tempi morti, dal ritmo serrato.

Ha un grande valore storico perché racconta eventi realmente accaduti: Sicardo è esistito veramente ed era un principe longobardo, dominatore di Benevento, Salerno e della Costiera amalfitana.

Anche Giovanna è un personaggio reale: si tratta di Giovanna d’Aragona che, dopo  la morte del marito, il Duca di Amalfi, si risposò col maggiordomo Antonio da cui ebbe due figli e per questo fu rinchiusa, ad opera del fratello, nella Torre di Amalfi dove morì di fame.

Lo spettacolo, quindi, presenta dei riferimenti storici reali, seppure romanzati.

Come è questa nuova esperienza di Amalfi Musical per te?

E’ uno spettacolo bellissimo di cui sono veramente entusiasta; un importante progetto che porta ad Amalfi valore aggiunto e che sta riscuotendo un grandissimo gradimento da parte del pubblico che si emoziona sempre molto.

Tra di noi ci siamo trovati subito molto bene sia dal punto di vista professionale che umano. Si è creato un bellissimo rapporto tra tutti caratterizzato da una grande sinergia e tanto entusiasmo e abbiamo  fatto subito gruppo, creando anche un ambiente rassicurante oltre che molto professionale.

Inoltre siamo stati accolti ad Amalfi come in una grande famiglia: la gente ci riconosce, ci riempie di attenzioni e si preoccupa che non ci manchi nulla.

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Antonio nel ruolo de Il Male in Uomo Tra Gli Uomini

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Un Re Lear senza poesia e senza cuore

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