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Recensioni, Teatro, Teatro

Il bacio

Teatro San Babila di Milano

30 gennaio 2018 Prima

Recensione di Carlo Tomeo

foto carlo

Ci troviamo in un bosco rappresentato da pannelli sul fondale della scena che riportano immagini stilizzate di alberi con foglie dai colori autunnali, una panchina al centro del palcoscenico dove va a sedersi, all’inizio della commedia, una donna visibilmente preoccupata. Poco dopo la raggiunge un uomo dal temperamento estremamente vivace, che parla velocemente come se volesse dimostrare a tutti i costi che la vita gli sorride. La donna appare all’inizio infastidita, poi inizia a interloquire con l’uomo il quale le rivolge domande e le chiede di dividere con lui la panchina.

Più che un vero e proprio dialogo quello che si svolge fra i due è la descrizione da parte dell’uomo dei vari panorami che si possono cogliere dai diversi punti del bosco che è percorribile attraverso i sentieri, ciascuno dei quali ha un colore e una lunghezza diversi.

La donna lo ascolta distrattamente, s’intuisce che ha un pensiero costante nella mente che la turba. Ha un appuntamento che considera decisivo per la sua vita ma non ne ama parlare con l’uomo, non subito per lo meno. L’uomo invece tende a raccontarsi: lui era un attore comico che ha lasciato l’attività per ritirarsi in campagna e godere della vita salubre che questa sembra offrire. La donna però continua a essere indifferente a tali discorsi e si allontana.  La luce si spegne.

Quando si riaccende li ritroviamo ancora sulla panchina. La donna è tornata sui suoi passi: l’ora dell’appuntamento, in fondo non è così vicino e lei preferisce aspettare nel bosco. L’uomo le propone di visitare altri panorami visibili da quel luogo, percorrendo ogni volta un sentiero diverso. La donna, che appare sempre preoccupata per l’appuntamento che l’aspetta, comincia ad aprirsi di più al dialogo, perché comprende che così facendo, la sua preoccupazione si attenua e racconta di sé e della sua famiglia. L’uomo parla ora in modo meno concitato e sembra prendersi di più a cuore lo stato d’animo della donna che è tutt’altro che allegro.

Sono diversi momenti dello scorrere del tempo quelli cui assistiamo e ogni frammento è introdotto dallo spegnersi e quindi dal riaccendersi delle luci di scena.

A evitare di fare spoiling scriverò solo che il bacio del titolo è il momento clou della confidenza che i due hanno raggiunto, dove porterà quel bacio non lo sappiamo. Capiamo però che l’uomo ha compreso che la donna non le ha raccontato tutta la verità della sua vita come lo stesso ha fatto lui. Ma è sempre l’uomo che non vuole arrendersi proprio adesso e desidera vivere agli albori dell’autunno della sua vita un’esistenza migliore. Le foglie degli alberi hanno colori bellissimi, ma destinate a cadere e rappresentano il simbolo della vita dei due personaggi che ormai stanno vivendo la seconda età e, sotto la spinta dell’uomo, non vorrebbe arrivare all’inverno della terza età senza aver vissuto, almeno ora, una vita più degna di quella che non sempre hanno vissuto in passato.

Altro elemento chiave della commedia è rappresentato dalla lunghezza e dai colori diversi dei sentieri che conducono in vari punti del bosco che i due personaggi percorrono e che simbolizzano i vari momenti della loro vita vissuta e che si raccontano a vicenda. C’è il sentiero dal colore blu che è più lungo e rappresenta i momenti più difficili, quello giallo, più breve, in cui si è creduto di più nella bellezza dell’esistenza, e così via.

I due attori sono entrambi di un’espressività molto intensa che riesce a coinvolgere emotivamente il pubblico. Questo lo si avverte nel silenzio quasi religioso degli spettatori che hanno riempito la sala. Sia Barbara De Rossi che Francesco Branchetti danno il meglio della loro arte e Branchetti ha saputo trovare la chiave giusta per una regia dal tocco lieve ed elegante che sa toccare le corde sentimentali dello spettatore.

Bella anche la musica di sottofondo di Pino Cangialosi che si mantiene su tonalità eleganti e che fanno da perfetto leitmotif alla vicenda.

      

Il bacio

di Ger Thijs

traduzione di Enrico Luttmann

regia  Francesco Branchetti

con  Barbara De Rossi e Francesco Branchetti

scene Alessandra Ricci

musiche Pino Cangialosi

costumi Francesco Branchetti

produzione Foxtrot Golf

si ringrazia Roberta Cucchi dell’ufficio stampa

in scena al Teatro San Babila di Milano fino al 4 febbraio

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Recensioni, Teatro, Teatro

Recensione La storia d’Itaglia

la storia d'Itaglia

Al Teatro de’ Servi si ride a crepapelle con La storia d’Itaglia

30 gennaio 2018. Prima

 

Al Teatro de’Servi si ride a crepapelle con La storia d’Itaglia, lo spettacolo scritto da Alessandro Tirocchi, Maurizio Paniconi e Claudio Pallottini, diretto da Marco Simeoli e prodotto dalla Compagnia A.M.O.

Giovanni Persichetti (Alessandro Tirocchi), “una quasi specie di rocker” col nome d’arte di Rocco Jeckerson; Andrea Mangano (Maurizio Paniconi), uno pseudo scrittore snob; Michele Tarantino (Daniele Derogatis), ristoratore veracemente pugliese, vengono urgentemente convocati alla scuola che frequentano i loro figli dalla professoressa di italiano e storia, Incoronata D’Onofri (Valeria Monetti), donna rigida e severa, dotata di frustino e soprannominata dagli alunni Froilan Merkel.

I tre padri si ritrovano nel teatro della scuola perché i loro figli, Janis, Tancredi e Oronzo, sono tre meritevoli alunni autori di un lavoro di gruppo sulla storia d’Italia che aveva come tema quello di riscrivere la storia d’Italia come fosse una commedia teatrale.

Entusiasta di questo lavoro, propone/impone ai tre uomini, con modi molto convincenti, sollevando moti di pietismo e sfruttando il senso di colpa di tre padri poco presenti nella vita dei propri figli, di mettere in scena il testo scritto dai loro figli.

I tre uomini, dapprima reticenti, accetteranno e dovranno affrontare i modi decisi e bruschi della professoressa Merkel.

Durante le prove usciranno fuori le storie personali di questi padri e la qualità del rapporto con i loro figli. Si parla, ridendo e scherzando, del rapporto padre-figlio e del valore del dialogo all’interno della famiglia, attraverso le confessioni dei tre uomini, che metteranno da parte l’orgoglio per confrontarsi come uomini nel loro ruolo genitoriale.

Piano piano uscirà fuori anche un aspetto diverso della professoressa Incoronata che nasconde, dietro le sue buone intenzioni, un desiderio di rivalsa e riscatto nei confronti della propria vita.

La storia d’Itaglia è una divertentissima, esilarante commedia, che racconta col sorriso vizi e virtù del nostro Paese e che, dietro alle soluzioni comiche, nasconde anche qualche spunto di riflessione intima.

La storia d’Italia viene un po’ rivisitata da questi curiosi personaggi e raccontata attraverso alcune figure emblematiche, come Romolo, Remo e Mimmo (come? Non ricordate il terzo gemello?), Giulio Cesare che decide di saltare una seduta al Senato e Mazzini, Cavour e Garibaldi che arrivano all’Unione d’Italia per un capriccio di Anita (splendida la caratterizzazione dialettale dei personaggi).

Lo spettacolo è una girandola di gag e situazioni comiche, alcune anche non sense. Non è facile raccontare una storia all’interno di una simile trascinante confusione, eppure i protagonisti ci riescono benissimo, mantenendo sempre un ritmo incalzante e dando un’ anima ai propri personaggi.

Diversamente non poteva essere essendoci alla regia Marco Simeoli che lascia la propria impronta attraverso una direzione effervescente che molto ricorda I Picari, la compagnia fondata nel 1995 e con cui portò in scena tantissimi esilaranti spettacoli.

In effetti, La storia d’Itaglia può essere considerata una “picariata” 2.0, rivista e rielaborata con il linguaggio di oggi, ma attraverso canoni comici che sono sempre gli stessi e resistono al tempo: la battuta rapida, comica e a tratti pungente, il fraintendimento che crea situazioni ambigue e divertenti, gli scambi e i gesti rapidi e concitati che creano effetti contrari a quelli presenti nelle intenzioni dei personaggi.

Il ritmo, la velocità, il rispetto di certi tempi sono gli ingredienti fondamentali affinché le battute leggere funzionino diventando ficcanti e scatenando la risata e qui si ride davvero tanto.

Alessandro Tirocchi, Maurizio Paniconi, Daniele Derogatis e Valeria Monetti sono quattro furetti del palco, schizzano da una parte all’altra in ottima sinergia creando ogni volta situazioni folli a cui è impossibile resistere senza ridere, anche sguaiatamente.

Lo spettacolo, poi, regala alcune preziosissime chicche come le frequenti citazioni di Lorella Cuccarini e dei suoi passi divenuti ormai storici e delle Sorelle Bandiera. Vedremo poi sul palco un cimelio della storia della tv italiana indossato da Valeria Monetti.

A riequlibrare un po’ i toni di questo pazzo spettacolo, oltre alle già citate riflessioni sul rapporto padre-figlio, sono le inserzioni musicali, quali, per esempio, il Va’Pensiero cantato in apertura da un coro dal vivo e la bellissima e intensa interpretazione da parte di Valeria Monetti della canzone di De Gregori, Viva l’Italia. Simboli, non unici, non di un retorico patriottismo, ma di un’adesione piena all’idea dell’Italia che vorremmo, nel tentativo di recuperare il senso profondo di un ideale con la speranza di poterlo, un giorno, concretizzare.

Le scene, che riproducono la sala teatrale di una scuola, ingombra di piccoli banchi e piccole sedie e oggetti di scena di vario tipo sono di Fabrizio del Prete. I costumi, di varia ispirazione, storici e patriottici, di Rita Pagano.

la storia d'Itaglia la storia d'Itaglia la storia d'Itaglia

La Compagnia A.M.O.

presenta

La storia d’Itaglia

Di Alessandro Tirocchi, Maurizio Paniconi e Claudio Pallottini

Regia Marco Simeoli

Con Daniele Derogatis, Valeria Monetti, Alessandro Tirocchi, Maurizio Paniconi

Costumi Rita Pagano

Scene Fabrizio Del Prete

Aiuto regia Maria Caso

 

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Recensioni, Teatro, Teatro

Recensione La scuola delle scimmie

scimmie

Teatro Filodrammatici

28 gennaio 2018

Recensione di Carlo Tomeo

foto carlo

“La scuola delle scimmie”, il nuovo testo teatrale di Bruno Fornasari, tratta dell’argomento che mette in rapporto la scienza con la religione, fino a condurre al fanatismo cui quest’ultimo possa arrivare. È un fanatismo che può riguardare diverse religioni e per dimostrare questo Fornasari ricorre a due fatti realmente accaduti in due secoli e in due paesi diversi.

Nel 1925 un professore di scienze del Tennesse venne processato perché aveva violato la legge del suo Stato che prevedeva non venisse insegnata nelle scuole la teoria dell’evoluzionismo di Darwin, essendo in contrasto con la religione cristiana, che si fondava esclusivamente su quanto riportato nella Bibbia.

Nel 1915, in Italia, un professore di scienze naturali ritorna a insegnare nel quartiere multietnico che aveva lasciato, dopo che un suo fratello, convertitosi all’Islam venne ucciso in Siria. Il professore, che, secondo la preside, dovrebbe limitarsi a insegnare la propria materia, comprende il rischio che le diverse etnie che convivono nel medesimo luogo, rischino di portare alla radicalizzazione di certi comportamenti e in particolare le differenti fedi religiose possano  costituire elemento di estremismi e pericoli.

Il professore per evitare tali estremismi racconta ai suoi allievi la storia del suo collega americano del secolo scorso, nel cui paese è tuttora vietato l’insegnamento della teoria di Darwin, e cerca di spiegare che le religioni tutte sono frutto di un’evoluzione scientifica di altre e molteplici religioni. (È appena il caso di far notare, anche se non viene dichiarato nella pièce, che tuttora l’insegnamento della teoria di Darwin è vietato in diversi paesi,  per esempio anche in Turchia, e nel 2004 l’allora ministra della pubblica istruzione italiana Letizia Moratti, cercò di vietarla anche in Italia, ma fortunatamente, prima di farne un D.L. affidò a un gruppo di esperti, tra cui Rita Levi Montalcini, il compito di redigere un rapporto su Darwin e l’evoluzionismo. Alla fine ricomparve l’indicazione dell’insegnamento di Darwin nella sola terza media, escludendo le elementari),

La preside della scuola, che è in crisi per la diminuzione del numero degli iscritti, vuole a tutti i costi evitare polemiche o “svegliare” negli animi degli allievi, in modo speciale tra quelli musulmani, idee pericolose e per questo motivo abolisce nei programmi l’insegnamento della teoria di Darwin, minacciando di licenziare il professore.

L’argomento scelto da Bruno Fornasari è di estrema attualità ed è capace di risvegliare nel pubblico un tema non sempre considerato nella sua giusta dimensione. Tuttavia egli fa di più e, ha costruito una regia assolutamente originale, “mischiando” i due secoli, tanto che i vari momenti che appaiono in scena appartengono ora al Novecento ora al secolo attuale: sarebbe stato facile (direi quasi naturale) costruire nei due atti, di cui è composta la pièce, le due vicende separate, quella del 1915, interamente nel primo atto, e la successiva nel secondo. Ma “mescolare” le azioni che si svolgono in due secoli diversi, oltre che far venire in mente qualcosa di simile alla teoria degli universi paralleli (ma in questo caso ci troviamo nello stesso pianeta, oltre che in due secoli diversi) rende tutta la vicenda, o meglio le due vicende rappresentate, più dinamiche e inoltre evidenzia con maggior vigore il concetto dell’attualità del tema.

Altro elemento di forza è la concitazione dei dialoghi che riesce a creare  maggiore attenzione nello spettatore nel seguire la vicenda, oltre che rendere, in alcuni casi, quel tocco di vivacità che è altro elemento che caratterizza l’arte del regista (basti ricordare “N.E.R.D.S.”).

La compagnia è formata da sette attori scelti tra veterani ed elementi  più giovani che interpretano più personaggi, tutti molto bravi e ben diretti . Cito solo alcuni che si sono distinti maggiormente soprattutto per i ruoli che hanno recitato. Oltre all’attore Tommaso Amodio che sostiene il solo ruolo del professore di oggi, sono da citare Sara Bertelà, nel doppio ruolo della madre del professore del ‘900 e in quella della preside, Giancarlo Previati, interprete del padre nel 1925 e dello zio nel 2015, Emanuele Arrigazzi che impersona il personaggio di Menken  nel 1925 e del padre nel 2015. Tra i personaggi non in scena non si può evitare di applaudire Francesco Frongia che ha fornito i video necessari alla messa in scena che, peraltro si è avvalsa di tutti bravissimi tecnici. In particolare, per i movimenti coreografici, di Marta Belloni  e, per le scene e i costumi, di Erika Carretta.

D’altra parte si tratta di un lavoro che avrà un gran seguito e non può che servirsi di personale di alta professionalità.

Ma cosa significa il titolo? Lo ha dichiarato in un’intervista lo stesso Fornasari: “Le scimmie del titolo siamo noi perché, se l’uomo derivasse dalle scimmie, non ci sarebbero le scimmie oggi e la scuola delle scimmie  è il modo in cui le scimmie imparano, sia nel rapporto culturale, che è quindi nello studio. sia nei rapporti interumani, tra di loro, quindi nella vita che è una scuola di vita paradossale: quello di cui io ho voluto parlare è del fanatismo, dell’estremismo, dell’inclinazione ad essere estremisti, diffusa fra tutte le persone che non sempre (per fortuna!) l’atto estremo lo fanno”

Spettacolo molto apprezzato dal pubblico, stante ai numerosi e calorosi applausi che tutta la compagnia, più volte richiamata sul proscenio, ha ricevuto. Un altro bel successo del Teatro Filodrammatici.

La scuola delle scimmie

testo e regia di Bruno Fornasari

con Tommaso Amadio, Emanuele Arrigazzi, Luigi Aquilino, Sara Bertelà, Silvia Lorenzo, Giancarlo Previati, Irene Urciuoli

scene e costumi Erika Carretta

disegno luci Fabrizio Visconti

video Francesco Frongia

movimenti coreografici Marta Belloni

assistente scene e costumi Federica Pellati

direzione tecnica Silvia Laureti

assistenti alla regia Gaia Carmagnani, Ilaria Longo

produzione Teatro Filodrammatici di Milano

con il sostegno di Regione Lombardia e Fondazione Cariplo

progetto NEXT 2017/2018

prima nazionale

si ringrazia la Sig.ra Antonietta Magli dell’ufficio stampa

in scena al Teatro Filodrammatici di Milano fino all’11 febbraio.

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